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TESTO Rinascere dentro l'amore di Dio

don Maurizio Prandi

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (23/10/2022)

Vangelo: Lc 18,9-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Al termine della condivisione sulla pagina di vangelo che abbiamo appena ascoltato, Claudio ha detto una cosa che mi ha fatto venire in mente una definizione di preghiera molto semplice, che alcuni anni fa avevamo condiviso tra le comunità della missione a Cuba. La definizione non è mia ma di don Michele che era appena arrivato nella parrocchia a lui affidata e non conoscendo ancora bene lo spagnolo voleva esprimersi nel modo più semplice possibile: preghiera è una buona relazione con Dio, preghiera è una buona relazione con i fratelli. Queste parole mi sono venute in mente perché Claudio sottolineava come a questi due modi di pregare corrispondessero due stili di vita molto, molto diversi:
- Da una parte uno stile competitivo, dove il problema più grosso è quello del confronto (nel senso deteriore del termine) del misurarsi, è problema perché la competizione genera mentalità di conflitto, di supremazia, di prevalenza nei confronti dell'altro. Potrai anche vantare molti adempimenti in più, ma nei confronti di un Dio che non esiste, perché come abbiamo ascoltato nella prima lettura, non ti preferisce perché hai pagato la decima di tutto. Non dico il Dio che ci ha raccontato Gesù, ma neppure quello scritto nel Primo Testamento. Su questo stile competitivo ricordo alcune parole di Maria Montessori: Tutti parlano di pace ma nessuno educa alla pace. A questo mondo, si educa per la competizione, e la competizione è l'inizio di ogni guerra. Quando si educherà per la cooperazione e per offrirci l'un l'altro solidarietà, quel giorno si starà educando per la pace.
- A questa solidarietà da offrirci l'un l'altro collego il secondo stile di vita proposto da Claudio: lo stile fraterno, dove la consapevolezza di sé, la consapevolezza di aver ferito l'altro, danneggiato l'altro (chi faceva il pubblicano di mestiere non guardava in faccia a nessuno) porta a non misurare a propria vita su quella degli altri, porta a non avere uno sguardo duro nei confronti degli altri. Non si considera padrone di sé il pubblicano e con quella preghiera inizia un cammino, che, come diceva don Marino alla veglia missionaria, è di lenta e paziente rinascita dentro l'amore di Dio (abbi pietà di me...).

Un po' su quest'onda, grazie ad un pensiero di Alessandro abbiamo detto che non soltanto due stili di vita ma anche due volti di Dio differenti. Sì, perché non possiamo dire che il fariseo non dica la verità di sé, se stiamo alle parole nude e crude, non possiamo dire che quelle del fariseo, le parole della sua preghiera, o di tante nostre preghiere, siano false. Sono parole vere, dicono il vero: è vero che il fariseo è un osservante, è vero che le cose che dice le ha fatte, è vero che ha fatto anche più dello strettamente comandato: digiuna due volte, e paga la decima addirittura di tutto!
Ma come è il suo cuore nei confronti di Dio? Non soltanto è in competizione coi fratelli, forse è in competizione anche con Dio stesso, parla tra sé, qualcuno addirittura traduce con rivolto a se stesso, nomina Dio ma è lui al centro!

Ci domandavamo anche da dove nascesse la giustificazione. Don Angelo Casati scrive che è la preghiera stessa che giustifica e quindi quel tornò a casa sua giustificato davvero potremmo semplicemente tradurlo con torno a casa sua stando meglio. Posso dire (e non è un criterio così usuale per fare discernimento sulla preghiera!) che è dal mio sguardo sugli altri che posso capire se la mia è una preghiera sporca, sprecata, che non giustifica. Se il mio sguardo è di superiorità - "non sono come gli altri e nemmeno come questo pubblicano", - se mi sento superiore e giudice, la mia non è preghiera.
Se l'immagine che diamo come chiesa è quella di chi sta ritto come il fariseo e guarda dall'alto in basso, non c'è preghiera (don A. Casati)

Parlando insieme di questo brano di vangelo ci sembrava infine di poterlo collocare nel solco di quella cura, di quella preoccupazione che Gesù ha per ognuno di noi, per la fede di ognuno di noi che poi alla fine è la cosa più importante, quella che anche Gesù spera possa rimanere: una parabola raccontata proprio per quelli che confidavano in sé in quanto giusti, credo che Gesù li voglia aiutare e voglia dire loro che c'è ancora spazio per cambiare, c'è ancora modo di scoprire il volto di Dio perché la giustizia non è nel piccolo orizzonte degli adempimenti per quanto importanti, la giustizia non è lasciare a bocca aperta Dio di fronte alla capacità di alcuni di adempiere la legge, la giustizia (e mi pare che il pubblicano perlomeno lo intuisca), è nello spazio sconfinato della misericordia. Tante volte lo diciamo: la giustizia di Dio è la sua bontà, la giustizia di Dio è la sua misericordia. L'oscillazione qui è tra il credere in sé stessi e nelle proprie capacità o credere in Dio e nella sua misericordia che ci aiuta a conoscere ed accettare la nostra fragilità, la nostra debolezza senza rimanere schiacciati.
Mi sembra pronto, quest'uomo, a ricevere la conversione, a lasciarsi trasformare dall'amore di Dio; chiediamo questo dono per la Chiesa, per ognuno di noi.

 

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