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TESTO Il giustificato e il non assolto

padre Antonio Rungi

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (23/10/2022)

Vangelo: Lc 18,9-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Al centro del Vangelo di questa XXX domenica del tempo ordinario c'è un'altra breve parabola di Gesù che Luca riporta nel suo Vangelo della Misericordia come è definito il testo lucano. Infatti di misericordia, perdono e giustificazione si parla nella parabola che Gesù illustra ai suoi ascoltatori in cerca di quel sentirsi più importanti e superiori agli altri, in quanto l'essere umano tende a questo ( e sembra una cosa normale), ma diventa problematico se, in considerazione della fede e dei valori cristiani dell'umiltà, della peccaminosità, della fragilità personale, qualcuno si senta superiore agli altri, solo perché fa determinate cose, magari solo di facciata e neppure sentite nel profondo del suo cuore, come è nel caso del fariseo al tempio. Costui vanta di tutto e di più davanti a Dio, quasi ad assolvere se stesso e addirittura porsi al posto di Dio stesso, considerata la sua presunta perfezione raggiunta nella pratica della legge. Gesù racconta questa parabola, al solo scopo di far ricredere alcuni che avevano l'intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri. Forte richiamo a guardarsi dentro e scorgere tutto il male che possiamo conservare gelosamente e omertosamente, senza far trapelare nulla di quel mondo di immoralità che abbiamo costruito con le nostre azioni e mani. E allora Gesù va nel merito di chi è davvero giusto e giustificato davanti a Dio e chi non lo è affatto, nonostante che egli si creda di essere nell'assoluta perfezione dell'essere e dell'agire.

La prima costatazione è il fatto che siano due gli uomini che salgono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. Si parla di uomini e non di donne. Segno evidente che l'arroganza, la presunzione e l'illusione di essere i migliori riguarda in prima istanza proprio il genere maschile. La cultura dominante della mascolinità era evidente al tempo di Cristo e la è ancora oggi in tante realtà politiche, nazionali, religiose e sociali che ben conosciamo e che anche in questi giorni assurgono alla cronaca a livello mondiale.

Gesù illustra il comportamento di entrambi. Infatti dice che il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Si tratta non di una preghiera, ma un'autoesaltazione, un gloriare e glorificare se stesso senza nessun riscontro negli altri. Superbia ed orgoglio sono al massimo grado. Preghiera quindi inesistente, inascoltata e contrastata.

Dall'altra parte dell'umanità c'è il pubblicano, che, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Il peccatore che si riconosce peccatore e quindi non si ritiene per niente retto e giusto. Proprio cosciente del suo stato di peccatore si rivolge a Dio chiedendo misericordia. Conclusione di questa parabola e monito per quanto la meditano nella sua essenzialità e semplicità è quella che Gesù fissa in una lapidaria espressione: “Io vi dico: questi, cioè il pubblicano, il peccatore, a differenza dell'altro, il fariseo e l'apparente giusto, tornò a casa sua giustificato. Gesù quindi ammette che nel comportamento del pubblicano c'è tutta la base di un pentimento sincero e di una volontà autentica di cambiare strada e atteggiamento.

Alla fine Gesù ci consegna un detto tra i più conosciti ed utilizzati anche nel nostro modo di parlare di tutti i giorni, quando ci troviamo di fronte a delle persone arroganti, orgogliose, che si vantano delle loro presunte perfezioni. Dice Gesù: “Chiunque si esalta sarà umiliato” La storia ci attesta davvero continuamente tutto questo, relativamente alle persone orgogliose e perfezioniste che sono state umiliate in tanti modi e circostanze della loro stessa vita e storia; mentre chi invece si umilia la storia lo porta alla gloria e lo esalta nel modo più onorevole possibile, Basta pensare ai santi, persone umili e spesso umiliate che mai hanno alzato la testa ed hanno contrastato i prepotenti e gli arroganti del loro tempo, se non attraverso la predicazione del vangelo e della dottrina cristiana. Sono tanti gli esempi di persone umili che poi hanno avuto la giusta considerazione, se non in vita, dopo la loro morte. Lezione per quanti si credono superiori agli altri e perfetti in tutto e per tutto e si ergono a giudici severi di chi magari è limitato, ma nei suoi limiti si riconosce per quel che è, cioè povera creatura e non certamente un Dio. Noi il Nulla, Dio il Tutto. La vera umiltà conduce alla santità. L'orgoglio non far approdare il crede a nessuna meta che conti davvero davanti a Dio e alla stessa storia umana. Nel canto del Magnificat, la Beata Vergine Maria ci ricorda tutti che Dio “ha disperso i superbi nei pensieri dei loro cuori, ha rovesciato i potenti dai troni ed ha innalzato gli umili. Ricordarsi di questo ci aiuta a crescere in quell'umiltà che rende grande la nostra persona davanti a Dio e alla storia.

 

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