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TESTO Tre scelte per la nostra giustificazione

diac. Vito Calella

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (23/10/2022)

Vangelo: Lc 18,9-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 18,9-14

In quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Ben Sira, animato dallo Spirito Santo, ci insegna che «il Signore è giudice e per lui non c'è preferenza di persone» (Sir 35,15).

Dio vuole la salvezza di tutti, ma rispetta la libertà di ciascuno di noi.

Per noi cristiani, il desiderio di Dio Padre di offrire la salvezza all'umanità intera, con la sua proposta di una nuova ed eterna alleanza, si è compiuto attraverso la missione del Figlio amato, venuto nel mondo, morto sulla croce e risuscitato; e grazie al dono dello Spirito Santo, effuso nel cuore di ogni essere umano.

L'evangelista Giovanni ci aiuta a contemplare «l'unigenito Figlio del Padre, pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14d), che è la Parola definitiva del Padre. Egli «si è fatto carne ed è venuto ad abitare» (Gv 1,14a) nella storia della nostra umanità. In Gv 3,16 l'evangelista ci dice che «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, affinché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna».

La vita eterna è alla nostra portata se crediamo in Gesù Cristo morto e risuscitato e ci consegniamo all'azione liberatrice, santificante e unificatrice dello Spirito Santo, che già abita in noi.

La salvezza è l'inizio della vita eterna, perché è prima di tutto un'esperienza di liberazione. Abbiamo bisogno di essere riscattati da tutto ciò che ci rende schiavi e non ci fa felici nella nostra vita, inseriti nel concreto contesto storico e sociale di questo mondo.

Se saremo veramente liberati dalle nostre schiavitù, avremo la possibilità di promuovere rapporti di rispetto e armonia con noi stessi, con gli altri e con tutte le creature che compongono la meravigliosa opera della natura su questo pianeta Terra. Il regno del Padre in questo mondo diviene una rete di relazioni autentiche di rispetto che ci fanno godere della bellezza della comunione, in opposizione a qualsiasi altro tipo di rapporto segnato dalla divisione, dalle guerre, dall'opposizione dell'uno contro l'altro.
Ma tutto questo dipende dalla nostra libertà.

Ognuno di noi è chiamato a scegliere di diventare un vero discepolo di Gesù.

La Parola di Dio di questa domenica ci guida a compiere tre libere scelte: l'opzione fondamentale dell'umiltà, quella preferenziale per i più poveri e sofferenti e infine la scelta missionaria dell'evangelizzazione.
L'opzione fondamentale dell'umiltà

L'opzione più importante è la seguente: avere il coraggio di assumere un atteggiamento costante di umiltà davanti a Dio e agli altri. Una delle peggiori forme di schiavitù, che pietrifica i nostri cuori e danneggia le nostre relazioni con gli altri, si chiama superbia o orgoglio.

Questo demonio schiavizza le persone che fanno affidamento esclusivamente su se stesse. Perciò si aggrappano alla sicurezza dell'idolatria del denaro, ricercano lavori lucrativi, confidano solo nel progresso umano delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, non si preoccupano del loro rapporto con Dio.

I pubblicani del tempo di Gesù erano uomini di finanza, al servizio dell'impero romano. Nei Vangeli conosciamo i pubblicani di nome Matteo e Zaccheo. Oggi Gesù ci presenta nella parabola la figura del pubblicano che entra nel tempio per pregare.

I pubblicani del tempo di Gesù sono uno specchio delle persone di oggi che esaltano il loro “Io”, si aggrappano al potere del denaro, all'attivismo del loro lavoro imprenditoriale, al potere del “sapere” e del piacere illimitato dove tutto diventa lecito. Queste persone prosperano facilmente grazie alla corruzione e promuovono le ingiustizie contro i più poveri e vulnerabili della nostra società.

Il demonio della superbia o dell'orgoglio può rendere schiave anche persone apparentemente molto religiose, che praticano fedelmente il culto, memorizzano i comandamenti della Sacra Scrittura, pagano adeguatamente la decima. La superbia del sentirsi giusti e santi davanti a Dio e agli altri rende queste persone incapaci di vedere l'agire misericordioso e fedele di Dio Padre e corrono il rischio di vivere un rapporto commerciale di fede con il nostro Creatore, Redentore e Santificatore. Per loro, la pratica religiosa è come un certificato di garanzia per meritare il premio della salvezza di Dio. La loro immagine di Dio è quella di un giudice contabile che premia i giusti e punisce i peccatori. L'orgoglio del sentirsi migliori e più giusti degli altri li porta a giudicare dall'alto in basso i peccatori, disprezzandoli senza avere un briciolo di carità. E non sentono il bisogno di conversione!

Nei Vangeli conosciamo il caso del fratello maggiore nella parabola del Padre misericordioso di Lc 15,25-32, che rappresenta quei farisei sempre pronti a criticare Gesù e la sua scelta prioritaria di andare incontro ai più poveri e peccatori. Oggi abbiamo davanti a noi il chiaro esempio del fariseo della parabola di Luca 18,11-12.

Siamo tutti peccatori e abbiamo bisogno della misericordia del Padre, abbiamo bisogno dell'esempio di obbedienza del Figlio e della gratuità dell'amore divino insito nello Spirito Santo.

Il primo segno rivelatore che stiamo compiendo la scelta fondamentale dell'umiltà è la nostra pratica fedele e quotidiana della preghiera, decidendo di dedicarle tempi e spazi privilegiati nella nostra vita quotidiana e partecipando fedelmente alle celebrazioni della nostra comunità. Ma oggi vogliamo imparare a vivere la preghiera più autentica, quella del pubblicano nella parabola. Egli, come accadde con Matteo e come vedremo con Zaccheo domenica prossima, riconobbe la schiavitù del proprio “IO” legato all'idolatria del denaro, si sentì responsabile della corruzione praticata e delle ingiustizie promosse contro i più poveri. Battendosi il petto, senza avere il coraggio di alzare gli occhi in alto, pronunciò la confessione e l'assunzione della sua umiltà: «Mio Dio, abbi pietà di me, sono un peccatore!» (Lc 18,13). Ben Sira, con la sua saggezza, ci aveva già detto: «La preghiera degli umili squarcia le nubi» (Sir 35,21).
L'opzione preferenziale per i poveri e i vulnerabili

Il Signore Dio «non è parziale a danno del povero e ascolta la preghiera dell'oppresso. Non trascura la supplica dell'orfano, né la vedova, quando si sfoga nel lamento» (Sir 35,16-17).

Gesù stesso, durante la sua missione pubblica, fece chiaramente la sua opzione preferenziale per i più poveri. Ma il Signore libera i poveri dalla loro angoscia (cfr. Sal 33) attraverso di noi!
Nulla accade con un tocco di magia.

Ciascuno di noi può diventare un “angelo” inviato da Dio per portare conforto, solidarietà e riscattare la dignità perduta o minacciata dei più sofferenti che incontra sul cammino della sua vita. La condivisione con loro diventa per ciascuno di noi una scuola di umiltà, perché l'incontro con loro ci aiuta a porci davanti al nostro Creatore, Redentore e Santificatore con il cuore spezzato che si lascia trasformare dalla gratuità del suo amore.
L'opzione missionaria dell'evangelizzazione

La seconda lettera di Paolo a Timoteo ci offre la bella testimonianza dell'apostolo, che arrivò a definirsi «un aborto» perché fu «persecutore della Chiesa di Dio» (1Cor 15,7.9). Prima della sua conversione era un fariseo come quello della parabola raccontata da Gesù. Ma dopo l'incontro con Cristo risuscitato, che si era identificato nei cristiani perseguitati, Paolo scelse di annunciare il Vangelo a tutti i popoli: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede... Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l'annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero» (2 Tm 4,7.17).

Assumendo dunque queste tre scelte, la nostra vita diventerà luminosa. Sostenuti dall'umile preghiera, condividendo ciò che abbiamo e ciò che siamo con i poveri e dediti all'opera missionaria di evangelizzazione, siamo già membri del Regno del Padre.

 

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