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TESTO Pregare per aver fede e fiducia

padre Gian Franco Scarpitta  

XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (16/10/2022)

Vangelo: Lc 18,1-8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 18,1-8

In quel tempo, Gesù 1diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: 2«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. 3In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. 4Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, 5dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». 6E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. 7E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? 8Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Compito del giudice è dirimere le controversie e risolvere i singoli casi con obiettività e imparzialità, senza discriminare nessuno e restando al di sopra delle parti per emettere verdetti giusti ed equi, secondo la legge. La sua mansione è quella di condannare chi ha colpa riservando al reo una pena proporzionata ai suoi misfatti (Dt 25, 1 - 3); analogamente di assolvere l'innocente garantendogli tutela e libertà. Dio stesso viene spesso definito come il Giudice giusto e ideale, che difende la causa dell'orfano e della vedova, del povero e del forestiero (Is 1, 17), i quali gridano a lui che li ascolta e non mancherà di intervenire in loro favore. Certamente la giustizia di Dio si differenzia da quella umana dei tribunali perché in lui il giudizio è affinato alla misericordia (Gc 2, 13) e piuttosto che sopprimere il colpevole usa pazienza affinché questi si redima e si converta; tuttavia Dio è sempre l'imperativo del giudice giusto che, ben lungi dai favoritismi e dalle preferenze, mira a rivendicare il diritto dei deboli e degli innocenti. Qualsiasi giudice non può esimersi dal dovere difendere con obiettività gli innocenti, specialmente quando questi siano poveri e indifesi. Soprattutto quando fra questi vi siano “orfani e vedove”, categorie sociali considerate fra le più derelitte e oppresse, poiché rimasti privi gli uni dei genitori, le altre del coniuge e pertanto non supportate da figure autorevoli in grado di sostenerli e difenderli in ambito sociale.

Particolarmente il giudice deve rendere giustizia agli orfani e alle vedove, ma il paradosso di questa parabola propostaci da Gesù è che il giudice in questione è un uomo cinico, refrattario e insensibile, privo di retta coscienza e di equilibrato senso del dovere. “Non teme Dio”, il che vuol dire che si sente libero di agire senza alcun riferimento etico e senza vincoli di coscienza.

Ebbene, poiché la vedova lo importuna continuamente senza sosta, quest'uomo al servizio della legge si convince a farle giustizia. Non perché riconosca i diritti legali di questa donna, ma perché si vede tormentato dalle sue continue geremiadi. Si convince a farle giustizia per non essere più importunato da lei.

La parabola nei suoi contenuti assomiglia a un altro racconto lucano “dell'amico importuno” che a mezzanotte va a chiedere in prestito tre pani a un vicino, mentre questi è ormai adagiato nel suo letto con tutta la sua famiglia: si alzerà a darglieli non già per amicizia o per generosità, ma perché si sente esasperato dalle sue pressioni e insistenze (Lc 11, 5 - 8). Nelle relazioni umane ci si può aiutare gli uni gli altri ai fini di liberarsi gli uni degli altri; si possono strappare i consensi, possono aver luogo i “si” di convenienza, ci si può adagiare sul “vivi e lascia vivere” correndo il rischio della frivolezza e della superficialità. Ci si può abbandonare alla fatalità o al caso, vanificando la vita stessa o almeno parecchi dei suoi aspetti, come la relazione reciproca.

Nella logica di Dio tutto questo non ha luogo: quale Padre amorevole e misericordioso è sempre motivato nei nostri confronti, capace di superare ogni banalità e di guardare tutti e ciascuno con la dovuta profondità, come quando si ammira qualcosa di prezioso e di irrinunciabile.

Dio non è mai importunato dalle nostre preghiere, ma si compiace che quali suoi figli non esitiamo a rivolgerci a lui in ogni occasione. Quale Padre misericordioso, ascolta sempre la preghiera di chiunque motivato dall'amore di misericordia che lo caratterizza, per il quale appunto ciascuno di noi ha il suo valore unico e irripetibile. Se un amico importuno o un giudice infingardo cedono solamente dietro pressione, Dio non è mai infastidito, ma presta attenzione a tutti senza discriminazione, fatta eccezione per il grido dei poveri, dei reietti e dei disperati. Il suo atteggiamento non è quello del giudice iniquo o dell'amico infastidito, ma quello del Padre che non perde mai il suo tempo nel prestare attenzione alle richieste dei suoi figli.

La preghiera continua e incessante è espressione della fiducia in Dio ed è appunto questo il senso primario della parabola lucana. La fede comporta un'attitudine di fiducia nei riguardi del Signore, di apertura e di confidenza libera e senza riserve. Credere vuol dire affidarsi, vincere la premura e l'ansia di procedere da soli senza criterio e privi di orientamento; fuggire la tentazione di eccedere nella fiducia in se stessi e con umiltà concedere che sia Dio a progettare e a realizzare in noi.

L'episodio spettacolare della battaglia fra Mosè e Amalek nella città di Refidim, dove Mosè sollevando le mani al cielo ottiene l'appoggio del Signore nella lotta, allude alla certezza che solamente da Dio procedono forza e costanza nella lotta e che a nulla vale confidare solamente nelle proprie forze o nelle proprie competenze. Fare affidamento al Signore degli eserciti (1 e 2 Sam), trarre da lui il coraggio e la forza necessaria è espresso con l'apertura delle mani verso l'alto e anche questo gesto è allusivo alla fede che comporta la fiducia l'autodonazione.

In questo senso la fede è anche la rampa da cui spicca il volo la speranza, ma questa fiducia incondizionata la si accresce solamente con il ricorso alla preghiera.

Aver fiducia in Dio porta a vivere la fede con radicalità, poiché fidarsi di Dio è familiarizzare con lui guardandolo con occhi di assoluta libertà e confidenza; la preghiera è il mezzo con cui esprimere questa fiducia disinvolta, l'espediente con cui ci si affida, ci si eleva e ci si dona, vivendo l'incontro con un Altro che scopriamo sempre più vicino e nostro solidale amico.

La preghiera è apertura, confidenza e filialità spontanea con Chi non manca mai di ascoltarci e appunto per questo è l'espediente valido di accrescimento della fede. Aprirsi a Dio senza esitazione, con la convinzione di una Padre misericordioso sempre attento ad ascoltarci e a interagire con noi nell'intimità, dischiude sempre più alla fiducia in lui e di conseguenza alla serenità e alla buona disposizione nelle vicende della vita di tutti i giorni. Di conseguenza il nostro credere è sempre più motivato e radicato, capace di consolidarci anche nella prova e nella disperazione. Mancare all'orazione o diminuirne gradualmente la frequenza può condurre al contrario a considerare superflua la fede stessa, poiché produce atrofia e aridità spirituale, con conseguenze lesive per lo stesso vivere. Se la fede è una fiamma da attizzare continuamente, la preghiera è l'alito che attizza questa fiamma, il soffio che le permette di innalzarsi ad oltranza o almeno ad evitare che si smorzi del tutto.

La domanda di Gesù è allora pertinente: “Quando il Figlio dell'Uomo tornerà, troverà la fede sulla terra?” Saremo stati in grado di familiarizzare con Dio al punto da essere speculari di amore e di misericordia? Saremo stati in grado di usare radicalità e fissità nella nostra fede, affidandoci unicamente a Dio come Padre al punto che questo avesse un riverbero nella nostra vita a edificazione di tutti?

 

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