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TESTO Motivi per rendere grazie nella fede

padre Gian Franco Scarpitta  

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (09/10/2022)

Vangelo: Lc 17,11-19 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 17,11-19

11Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. 12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza 13e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». 14Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. 15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, 16e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? 18Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». 19E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

Sono trascorsi più di due anni dal terribile lockdown che ci relegò per due interminabili mesi a casa senza mai poter uscire, mentre imperversava nella popolazione la paura del coronavirus, allora considerato nemico sconosciuto e indistruttibile. Che io ricordi, durante quelle lunghissime settimane si auspicava la ripresa delle attività, si attendeva con ansia di poter tornare alle comuni consuetudini e ai divertimenti, e la paura e l'angoscia suscitata dalla cronaca di innumerevoli morti e ricoverati in terapia intensiva non di rado spronava all'orazione anche chi non aveva mai pregato. Nelle liturgie celebrate on line e nelle orazioni a distanza presso i fedeli e i gruppi ecclesiali si impetrava al Signore la fine di questa disavventura, si chiedeva che avesse fine al più presto quell'incubo increscioso che metteva in ginocchio l'economia e destabilizzava la vita sociale e quando io stesso ebbi a impartire dal sagrato la benedizione alla Città con il Crocifisso Miracoloso custodito dalla nostra chiesa riscontrai non poche consolazioni e soddisfazioni da parte di chi si sentiva “sostenuto”, “incoraggiato” dal Crocifisso.

Non appena però le restrizioni sociali furono ridotte, si cominciò a ritornare alla vita di sempre e che io ricordi, nella chiesa in cui operavo solo una persona fece applicare una Messa per ringraziare Dio dello scapato pericolo. Anche nei mesi successivi, pochissima gente si sentì motivata ad elevare azioni di grazie o atti di riconoscenza al Signore per averci liberati dalla gravità di un malessere che era diventato ormai un dramma per tutti. Oggi, grazie ai vaccini e ai progressi della scienza medica, il covid è diventato una malattia quasi comune e non incute più terrore e sgomento come due anni or sono; ma salvo rare eccezioni, neppure oggi da parte dei credenti si è soliti rendere grazie a Dio allo stesso modo in cui allora lo si scongiurava. Anzi, il covid è diventato anche il capro espiatorio per giustificare non poche negligenze, come la mancata ripresa della partecipazione alla Messa e alle varie attività parrocchiali e alle pratiche religiose. Non si è considerato abbastanza che avremmo anche potuto (e potremmo) non trovare via d'uscita a questa deprimente situazione, o comunque che avremmo potuto protrarre ancora più a lungo lo stato di disagio che ci aveva interessati. Almeno da parte cristiana e credente, sia pure nella fretta di tornare alle nostre consuetudini, avremmo dovuto esprimere maggiormente riconoscenza al vero Padrone della storia e degli eventi, che nulla opera senza una determinata finalità.

Tutto questo fa pensare come la nostra fede, che già ha di per sé delle lacune evidenti, sia poco associata alla riconoscenza. Si prega spesso nelle circostanze di estremo bisogno, ma una volta superata la crisi la preghiera torna a lasciare il tempo che trova, omettendo qualsiasi sorta di gratitudine e di riconoscenza.

Nel caso dei dieci lebbrosi che corrono tutti da Gesù speranzosi di guarire dal loro male, alla fine soltanto uno si mostra riconoscente. Anziché continuare a correre saltando di gioia come tutti i suoi compagni risanati, si ferma, si e ricomincia a correre in senso inverso per poi prostrarsi di fronte a Gesù, pieno di gratitudine deferente. Luca tende a sottolineare che è un Samaritano, cioè uno dei personaggi di cui si parla in una ben nota parabola sul concetto di “prossimo” e che sottende anch'essa come questa categoria di persone, i Samaritani, siano del tutto estranei alla cultura religiosa dell'unico Dio giudaico, orientati verso un pensiero pagano e culturalmente ostile, che li rende impuri ai contemporanei di Gesù. Un personaggio quindi di origine impura e reietta che, unico, corre a rendere lode a Gesù, riconoscendo in lui una capacità del tutto sovrana di azione e di deliberazione; concepisce che solo lui ha il dominio sul male e sulla morte propriamente di Dio, in grado di abbattere le barriere del pregiudizio e dell'isolamento sociale che il male di lebbra all'epoca comportava. Ritiene Gesù particolarmente Signore e libero padrone della storia e degli eventi. Questa volta è Gesù stesso a farsi “prossimo” a questo Samaritano, non soltanto rendendo a lui vicina la misericordia del Padre, ma soprattutto esaltando quella che di fatto è una fede molto più speculare e trasparente di quella dei cosiddetti “fedeli” anche suoi discepoli.

Fede e rendimento di grazie dovrebbero sempre procedere congiuntamente, perché la gratitudine è essa stessa conseguenza ed espressione del credere. Chi ringrazia dimostra di credere davvero, perché dicendo semplicemente “grazie” riconosce che Dio agisce segnatamente nella sua storia rendendosi partecipe della nostra vita e che il suo agire in noi è incommensurabile se messo a raffronto con le labili intraprendenze umane. Se la fede è apertura del cuore alla rivelazione di Dio, la gratitudine è espressione che questa rivelazione viene accolta senza esitazione e senza riserve e quindi è conferma stessa del credere. Non fuori luogo è anche la provvisorietà della nostra vita e della sussistenza della terra, comprovata peraltro dai danni autolesionistici che causano la distruzione sempre più rapida del nostro ecosistema, dell'atmosfera rendendo dubbia anche la sopravvivenza futura della nostra casa comune, per la quale non è mai abbastanza rendere grazie al Creatore impegnandosi su tutti i fronti per un miglioramento costante del pianeta. Diceva Giobbe: "Il Signore ha dato, il Signore ha tolto. Come piacque al Signore, così è avvenuto. Se da Dio ci aspettiamo il bene, perché non dovremmo aspettarci anche il male?"

La nostra civiltà è quella del “grazie” che ci si scambia nei reciproci regali a carattere commerciale, nelle feste o nelle occasioni in cui è scontato (nelle usanze) che qualcuno ci faccia dono di qualcosa per cui è educazione ringraziare. Inoltre si vive nella logica del do ut des, per cui non si da niente per niente oppure ringraziare è una semplice formalità.

Sia nei confronti di Dio che del prossimo, occorrerebbe riscoprire la gratuità di ogni dono messa in relazione alla nostra immeritatezza: in fondo ciò che abbiamo non è mai meritato e quello che abbiamo ricevuto non dev'essere mai motivo di vanto, ma appunto non può che spronarci al rendimento di grazie profondo, sincero e motivato. Appunto espressione di fede radicale e convinta.

 

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