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TESTO La pratica della gratuità arricchita di speranza accresce la nostra fede

diac. Vito Calella

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XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (02/10/2022)

Vangelo: Lc 17,5-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 17,5-10

In quel tempo, 5gli apostoli dissero al Signore: 6«Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.

7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? 8Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? 9Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Perseverare con fede nel difficile contesto storico e culturale

Non è facile vivere con fede la nostra quotidianità, a causa di tutto ciò che accade intorno a noi. Nel mondo, in quest'anno 2022, si stanno verificando cinquantanove guerre. Ogni conflitto porta violenza, distruzione, inquinamento, arroganza, accuse reciproche, fake news, discordia e divisioni. Oggi il dramma delle guerre ci arriva attraverso le reti di comunicazione sociale. Le cattive notizie attirano più attenzione rispetto agli eventi di solidarietà, inclusione, ospitalità, paziente cucitura di pace e sinodalità, che continuano ad accadere senza fare rumore.

Il profeta Abacuc vide lo stesso quadro cupo e spaventoso nel piccolo regno di Giuda, pochi anni prima della prima deportazione del popolo a Babilonia (597 a.C.). Mentre la maggioranza del popolo praticava l'ingiustizia, dimenticava i comandamenti di Dio, soffocava la propria fede facendo prevalere i propri istinti egoistici, il profeta si sentì confortato da queste parole di speranza, da scrivere, leggere speditamente: «Ecco, soccombe colui che non ha l'animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede» (Ab 2,4).

L'apostolo Paolo, scrivendo a Timoteo, lo esortò a non scoraggiarsi, a «riavvivare il dono di Dio che era in lui, ricevuto mediante l'imposizione delle mani» (2 Tm 1,7b). Timoteo fu collaboratore di Paolo e vescovo della chiesa di Efeso. L'apostolo Paolo gli chiese che lo Spirito Santo gli desse «forza, carità e prudenza» (2 Tm 1,8a). perché potesse perseverare e continuare ad avere il coraggio di testimoniare la sua fede: «Non vergognarti di dare testimonianza al Signore nostro» (2Tm 1,8a).

Oggi i ministri ordinati, i vescovi insieme ai loro presbiteri e diaconi, inviati mediante l'imposizione delle mani dell'ordinazione sacramentale a guidare e rafforzare la fede del popolo, sono spesso amareggiati dalla risposta superficiale della maggior parte dei cristiani. Condividono queste sofferenze con le suore, con tutti i responsabili delle comunità, ministri, catechisti, animatori pastorali. Tutti insieme cercano di discernere il modo migliore per evangelizzare nel contesto culturale attuale, ricco di molte possibilità di autorealizzazione individuale, sociale, religiosa e di false promesse. Le proposte di vita cristiana si mescolano all'esaltazione del piacere che promuove relazioni umane di uso e consumo immediato e temporaneo. La coerenza della testimonianza cristiana convive con l'ideale di prosperità economica incentrato sull'assolutizzazione del lavoro al servizio dell'idolatria del denaro. Viviamo nel supermercato delle proposte religiose cristiane. All'interno della nostra Chiesa cattolica è possibile ricevere diverse proposte di spiritualità tradizionaliste e innovative. L'incoraggiamento dell'apostolo Paolo a ravvivare il dono dello Spirito Santo e ad essere testimone della fede in Gesù Cristo risuona con forza anche oggi. Il vangelo di questa domenica inizia con una forte invocazione degli apostoli, rivolta al Signore Gesù: «Aumenta la nostra fede!» (Lc 17,5).

L'aumento della fede corrisponde alla piccolezza del granello di senape

La risposta di Gesù alla richiesta di «aumentare la fede» risulta strana poiché Gesù chiede ai suoi apostoli di avere una fede paragonata a un granello di senape, che è uno dei più piccoli in natura: «Spero che abbiate fede come un granello di senape» (Lc 17,6a). L'aumento della fede dipende da qualcosa di molto piccolo, come un granello di senape.
Cosa significa la piccolezza di questo seme?

La piccolezza del granello di senape indica che il nostro cuore umano è libero da ogni attaccamento ai beni materiali, al denaro, agli istinti egoistici del piacere e della paura, alla consapevolezza di essere potenti quando possediamo “conoscenze tecniche e scientifiche” e quando ci buttiamo nell'attivismo del fare. Vogliamo liberarci da tutto questo e riconoscere la fragilità e la vulnerabilità della nostra condizione umana. Siamo piccoli come un granello di senape, nonostante la nostra dignità e responsabilità in tutta l'opera della creazione.

Quanto più accettiamo la nostra povertà, tanto più lasciamo agire lo Spirito Santo con i suoi doni e frutti di «forza, carità (gratuità) e prudenza (sobrietà)» (2Tm 1,7b).

Quanto più consegniamo a Dio la nostra condizione radicale di fragilità e vulnerabilità, riconoscendoci peccatori e incapaci di bastare a noi stessi, tanto più «lo Spirito Santo ci aiuta a custodire al centro della nostra coscienza il bene prezioso» (2 Tm 1, 14) che ci è stato trasmesso dalla predicazione apostolica: la centralità dell'evento della morte e risurrezione di Gesù.

Tutta la predicazione apostolica contenuta nei libri del Nuovo Testamento ha il suo centro nell'evento della morte e risurrezione di Gesù.

Quindi “avere fede” non significa memorizzare nozioni catechetiche di teologia e regole morali di condotta cristiana, ma è anzitutto un'esperienza di comunione profonda ed esistenziale con Gesù Cristo, morto e risuscitato. Diventiamo “uno” in Cristo Gesù, arrivando a interpretare tutto ciò che accade nella nostra vita come la nostra compartecipazione al mistero della sua morte e risurrezione.

E possono succedere cose che nemmeno avremmo immaginato: l'impossibile per le nostre capacità è reso possibile da Dio: una conversione di vita, una cura, una luce in mezzo a tante tenebre. Il linguaggio di Gesù ci stupisce, perché nulla è impossibile a Dio quando impariamo ad arrenderci a Lui con tutta la nostra povertà: «Potrete dire a questo gelso: 'Sradicati e piantati nel mare! Ed esso vi obbedirebbe» (Lc 17,6).

Aumenta, Signore, la nostra fede con la pratica della gratuità arricchita di speranza!

«Aumenta la nostra fede!». Centrati e unificati nel mistero della morte e risurrezione di Gesù, come dice l'apostolo Paolo nella lettera ai Galati, arriviamo a dire: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me, e la vita che ora vivo nella carne la vivo per fede nel Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me, senza rendere inutile la grazia di Dio» (Gal 2,20-21a).

Allora ognuno di noi assumerà la vera vocazione cristiana che è la diaconia, è il servizio gratuito senza voler ricevere nulla in cambio. Vivere la gratuità dell'amore in tutte le nostre relazioni è il modo migliore per vivere come Gesù morto e risuscitato. Scrivendo ai Corinzi, l'apostolo Paolo dice: «Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi. In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo consegnati alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale. Cosicché in noi agisce la morte, in voi la vita» (2Cor 4,7-12).

In questo modo possiamo capire il significato di essere «servi inutili».

Gli schiavi, al tempo di Gesù, lavoravano nella casa del padrone senza mai percepire l'utile del salario. Lavoravano gratis! Lo stile di vita della diaconia dei cristiani corrisponde perfettamente a questo lavoro gratuito:, donarsi senza voler ricevere in cambio l'utilità della retribuzione salariale.

Irradiare gratuità in tutte le nostre relazioni è il modo migliore per accrescere la nostra fede. Il granello di senape della nostra fede in Cristo morto e rissuscitato diventa l'albero della gratuità dell'amore. Il nostro corpo diventa come un albero che porta frutti concreti di solidarietà, accoglienza, rispetto, perdono.

«Siamo servi inutili, abbiamo fatto quanto dovevamo fare» (Lc 17,10).

Ai frutti della gratuità dell'amore si accresce la speranza: il nostro corpo, donato nella gratuità dell'amore, vivrà per sempre senza essere destinato alla morte eterna, perché ha contribuito alla realizzazione del Regno del Padre e questo ci basta.

 

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