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Paolo Curtaz  

XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (02/10/2022)

Vangelo: Lc 17,5-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 5gli apostoli dissero al Signore: 6«Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.

7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? 8Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? 9Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Invece li ho visti, di alberi nel mare.
Foreste. In luoghi impossibili. In mezzo a tempeste ed onde.

Li ho visti gli alberi trapiantati là dove tutti hanno gettato spugna. E li ho visti portare frutti. Pochi, piccoli, a volte. Ma frutti.

Uomini e donne che non si arrendono. Perché discepoli del seminatore. Perché innamorati dell'Unico che ci svela l'Uno. Perché sedotti dalla Parola del Maestro. Amati che scelgono di amare.

Li ho visti perseverare, resistere, osare, trapiantare, dare speranza.

Mossi dalla fede. La fede di chi incontra un Dio di cui fidarsi.
E si accoda a lui.

Ho visto portare alberi di speranza e di consolazione nelle periferie sgretolate delle nostre città. E Parole di vita in mezzo a urla di violenza e di morte. E ascolto. E sorrisi. E carezze. E tempo da donare.
Per amore, solo per amore.

Ho visto foreste nate dalla fede, anche se minuscola. Ho visto alberi danzare in mezzo all'oceano di solitudine delle nostre città.

Come un granello

Non la fede arrogante di chi confonde la propria ostinazione con la verità.

Non quella urlata e impugnata come un'arma per gridare addosso agli altri fratelli “colpevoli” di non credere. Non la fede che si propone come un mattone inamovibile, prendere o lasciare. Non la fede di chi pensa di parlare al posto di Dio.
Ma quella piccola. Come la mia. Come la tua.

Piccola perché autentica davanti all'immensità. Piccola come di chi ancora si stupisce davanti all'immensità della luce autunnale o le ombre di un bosco o la generosità di un gesto di compassione. Piccola perché sa che la forza e l'efficacia è nel seme, non nel seminatore.

E la Parola, seminata nei nostri cuori, cresce in mezzo alla zizzania ma tende verso il sole che la fa maturare.
Piccola perché vera. Perché umile.

E l'umiltà è la consapevolezza di sapere esattamente dove siamo. Discepoli.

Allora anche un fede piccola come la mia, come la tua, pianta foreste.
Nelle nostre vite, anzitutto. E in quelle degli altri.

In questo orribile tempo di disboscamento dell'anima, siamo seminatori di infinito.

Inutili, cioè necessari

Come prendere coscienza di avere una fede piccola che sa spostare le foreste?
Come capire se la nostra è una fede vera?

Se siamo servi. Se la nostra vita si mette a servizio della Vita.

Se la nostra esistenza impara ad amare e sceglie di amare, imitando colui che si è fatto servo.

Servi inutili, dove il significato del termine inutili, come fa notare l'amico Ermes Ronchi, è senza pretese, senza esigenze, senza rivendicazioni. Ci basta sapere di essere discepoli del Dio servo per amore. E non pretendiamo di essere applauditi e riveriti, riconosciuti e gratificati.

Non pretendiamo, in un delirio di onnipotenza, che Dio si metta a servirci.

Siamo felici di avere capito cosa è la vita. Cosa è il mondo. Cosa è la Storia.

Siamo nati per scoprire quanto siamo amati e quanto, lasciandoci amare, siamo capaci di amare.
Servi dell'amore. Servi per amore.

Siamo noi ad essere inutili, non il nostro servizio epifania del volto di Dio.

Consapevoli di accogliere in noi una foresta rigogliosa, maturiamo il desiderio adulto e deciso di volere, a nostra volta, donare quanto abbiamo ricevuto.

Abacuc

Abacuc è sconfortato, come non capirlo? Il piccolo e ostinato popolo di Israele deve continuamente lottare per sopravvivere in mezzo ai giganti: gli egiziani e gli assiri prima, i babilonesi poi... tutta la storia è un susseguirsi di invasioni e colpi di stato, di tragedie e di ingiustizie.
Ora ai confini di Israele premono i Caldei.

Il re d'Israele, un idiota, pensa solo a farsi costruire un palazzo.

Il profeta, esasperato, rivolge la propria preghiera a Dio: ha un bel difenderlo di fronte al popolo, ma come si fa a suscitare la fede in un popolo esasperato?

Dio risponde invitando Abacuc e Israele alla fede, a conservare la fede, la fiducia.

Come Lazzaro domenica scorsa, Dio promette di stringere tra le proprie braccia con immenso affetto il giusto che vive a causa della fede.

Profeti di ieri e di oggi si scontrano continuamente con la stessa disarmante obiezione: dov'è Dio quando l'uomo scatena la propria violenza? Quando prevale la tenebra? Quando il giusto è irriso e disprezzato?

E la Parola oggi risponde: solo con la fede possiamo osare.

Fidarsi

Abacuc è invitato a fidarsi, Timoteo riceve una commovente lettera da Paolo incarcerato ed è invitato a fare memoria della propria vocazione episcopale, gli apostoli, dopo un primo galvanizzante momento di euforia per i successi conseguiti dal Nazareno, cominciano a scontrarsi con il proprio limite e con l'ostilità di alcuni farisei e sentono la fiammella (timida) del credere lentamente vacillare.

Fidatevi, dice la Parola, fidati, affidati, diffida delle tue presunte certezze.

La fede è il ragionevole abbandonarsi nelle braccia dell'amato, nel gesto incosciente e ovvio del bambino che si getta fra le braccia del padre.

Abacuc non lo sa, ma l'ennesimo scontro con una cultura straniera obbligherà Israele a riscoprire le proprie radici e diventare (tornare ad essere?) segno nel mondo.

Paolo non lo sa, ma le sue parole doloranti e aspre saranno prese dallo Spirito Santo e riempite di Dio così che noi, oggi, leggiamo la Parola di Dio sulle labbra screpolate di Paolo lo scoraggiato e irrequieto apostolo.

Pietro e Giovanni e gli altri non lo sanno, ma la loro fede, più piccola di un granellino di senapa, crescerà e diventerà un immenso albero alla cui ombra ci riposiamo noi, pavidi discepoli del terzo millennio, anche quando i cristiani smontavano la credibilità della Chiesa pezzo per pezzo...

Leggerezza

La nostra non è la fede dei meriti, come quella dei farisei. Non possiamo porre una dogana alla porta della Chiesa facendo entrare solo coloro che se lo meritano. Siamo tutti servi che fanno il proprio dovere, non esistono, agli occhi di Dio, migliori o peggiori.

Dio dona a ciascuno secondo la propria necessità, non secondo il proprio merito.

Siamo solo dei servi della Parola. Cioè il mondo è già salvo, non dobbiamo salvarlo noi.

A noi è chiesto di vivere da salvati, a guardare oltre, al di là e al di dentro.

A noi Gesù chiede di vivere come uomini di fede, a camminare nel nostro cammino con un cuore compassionevole e gravido di pace, fecondo e accogliente. Con leggerezza.

Siamo servi inutili che Dio rende preziosi. Ed annunciare il Regno è talmente bello che ci dimentichiamo delle nostre necessità.
Per il resto lasciamo a Dio fare il suo mestiere.

Libri di Paolo Curtaz

 

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