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TESTO Il quarto peccato

don Alberto Brignoli  

XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (25/09/2022)

Vangelo: Lc 16,19-31 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 16,19-31

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: 19C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. 20Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, 21bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. 22Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. 23Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. 24Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. 25Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. 26Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. 27E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, 28perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. 29Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. 30E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. 31Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Cosa c'è di male a divertirsi e a essere felici? Cosa c'è di sbagliato nel vestirsi bene, elegantemente, con un aspetto ben ordinato e curato? È anche una forma di rispetto verso gli altri... Cosa c'è di male a ritrovarsi con gli amici a far festa, possibilmente condividendo una buona tavola e del buon vino? Anzi: banchettare insieme, spesso, è la panacea di tanti mali. Addirittura, la nostra meravigliosa lingua italiana, per descrivere una situazione di tensione che poi si risolve pacificamente, utilizza questa espressione: “Finire tutto a tarallucci e vino”, per dire quanto sia importante il momento della convivialità per stemperare gli animi e riportare serenità là dove si era perduta. E soprattutto, cosa si fa di male quando si vuole andare alla ricerca di momenti di felicità e spensieratezza con gli amici, per di più in una realtà come la nostra dove, a prevalere, sono lo stress, la rabbia, la tristezza, l'infelicità, la solitudine, e chi più ne ha più ne metta per descrivere una società e un'epoca dove veramente di motivi per stare allegri ce ne son ben pochi? Ancor meglio, quando ci si trova in un'età nella quale, tutto sommato, si riesce ancora a divertirsi, a fare esperienze nuove, magari a viaggiare, a conoscere altri mondi e altri modi di vivere: approfittiamone, se possiamo, mentre ancora si è giovani, perché poi - ammesso che ci venga consentito di arrivare al termine della nostra vita sazi di giorni - l'unico piacere che ci resta è davvero quello della tavola... glicemia glicata, LDL, transaminasi e trigliceridi permettendo, ovviamente! Sì, almeno la buona tavola che per noi abitanti della penisola italica è un culto, quasi un rito sacramentale: non toccateci la nostra meravigliosa cucina!

Certo che... se ci si mette anche la Parola di Dio a criticare e condannare il piacere di banchettare bene, non ci resta proprio nulla di cui gioire! Il profeta Amos prima e la parabola del Vangelo di Luca poi, questa domenica non ci lasciano tranquilli nemmeno quando abbiamo le gambe sotto il tavolo! Che poi, se uno va al banchetto perché invitato... meglio ancora! Non lo si può nemmeno accusare di buttare via soldi nel mangiare, perché non sono i suoi. Ma anche qualora i soldi fossero i suoi, e con i suoi soldi organizza una festa per parenti e amici, cosa gli si può dire? Nulla, soprattutto se i soldi se li è guadagnati onestamente: sarà poi libero di spenderli come vuole! Sì, perché dell'amministratore di domenica scorsa non c'era dubbio che fosse ladro e disonesto: ma del ricco di oggi non si può proprio dire nulla, dal punto di vista della sua moralità. Cosa aveva fatto di male? Stando al racconto di Luca, nulla.

Proprio così: non aveva fatto nulla. Nulla di male. Purtroppo per lui, però, neppure nulla di bene. Eh, già: perché non è sufficiente essere onesti e arricchirsi dignitosamente e onestamente senza rubare nulla a nessuno e senza fare nulla di male agli altri, cosa giusta e sacrosanta. Bisognerà anche fare in modo di non dimenticarsi di fare il bene... Perché, altrimenti, si cade nel peccato “del quarto tipo”.

Stando all'atto penitenziale che recitiamo ogni volta che veniamo a messa, i primi tre “tipi” di peccato riguardano “pensieri, parole e opere”, e sono peccati che in genere abbiamo molto ben presenti: il “quarto tipo” ci sfugge via sempre un po' “di corsa”, ma non credo di esagerare se dico che, forse, è peggiore degli altri tre. Perché le “omissioni” delle quali spesso nemmeno ci rendiamo conto (quantomeno, al momento) sono tutte quelle occasioni in cui “omettiamo”, “tralasciamo” di fare il bene che possiamo fare, e non facciamo nulla. Nulla di male, forse: ma neppure nulla di bene. E ciò che è peggio, è che “pensieri, parole e opere” possiamo anche commetterli da soli senza che nessuno ci vada di mezzo; le omissioni, purtroppo, no, perché le loro conseguenze le pagano gli altri, quelli, cioè, che da noi avrebbero dovuto ricevere il bene e non lo hanno ricevuto.

Come quel povero, di nome Lazzaro, della cui povertà tutti si erano dimenticati, omettendo di aiutarlo: in primis, quel ricco (anonimo, pensa un po'... si era dimenticato pure il suo nome?) alla porta del quale Lazzaro “stava” (una sorta di “Stabat Mater” che assimila il suo dolore a quello del Calvario), anch'egli rivestito e ben coperto, sì, ma non di porpora e lino, bensì di piaghe; anch'egli bramoso di banchettare, sì, ma di ciò che avanzava al ricco; anch'egli in compagnia di amici, sì, ma...a quattro zampe... beh, almeno loro si accorgono di Lazzaro e si prendono cura delle sue piaghe! Lazzaro e i suoi cinque fratelli (sei in tutto...guarda un po'? Il numero dell'imperfezione... certo, perché la ricchezza non ti dà mai tutto!) non si accorgono di Lazzaro, e omettono di aiutarlo: del resto, che colpa ne hanno? Magari non sapevano nemmeno di averlo fuori della porta di casa! Magari quella vita se l'era cercata! Magari era un fannullone finito in disgrazia! Questo, purtroppo, dal racconto non lo possiamo sapere.

Una cosa, però, la sappiamo: il ricco sapeva bene di questo povero, perché conosce il suo nome, e sa che Lazzaro significa “Dio lo ha soccorso”, certo, e sa bene che lui, questo, non lo ha fatto. E per di più, nemmeno da morto la pianta di fare “il di più”: ordina ad Abramo (il suo capostipite, non uno qualsiasi) di mandargli Lazzaro con un goccio d'acqua (certo, il vino lo aveva finito tutto in vita...), e dato che questo non è possibile, allora gli ordina di mandarlo sulla terra dai suoi cinque fratelli per farli spaventare e dire loro di cambiare vita, e di non omettere mai più di fare il bene a chi, come Lazzaro, ha solo il male intorno a sé... Che uomo ridicolo! In vita non ha mai avuto pietà di chi soffriva fuori dalla porta di casa; da morto, acquisisce un senso di pietà, e lo fa verso chi gioisce banchettando ogni giorno lautamente dentro le mura di casa sua! Non c'è niente da fare: un ricco cieco, impietoso e omittente, capace in vita di vedere le sofferenze dei più poveri e nonostante questo ignorante del loro dolore, anche da morto resterà cieco, impietoso, omittente e ignorante del male altrui.

Ma ormai, c'è ben poco da fare: tra i suoi inferi e il seno di Abramo c'è un grande abisso, impossibile da attraversare. E sapete una cosa? Lo ha scavato lui, durante la sua vita, con le sue omissioni nei confronti di Lazzaro. Un abisso che i potenti e i ricchi della terra, lungo la storia, hanno contribuito ad allargare e approfondire con le loro omissioni. Del resto, se avessero conosciuto l'umiltà della Madre di Dio, l'avrebbero sentita cantare, magari in latino, come a molti di loro, nostalgici, piace ascoltare:

“Depósuit poténtes de sede et exaltàvit húmiles;

esuriéntes implévit bonis et dívites dimísit inànes”.

Che bello, caro ricco “epulone” se avessi ascoltato queste parole quando stavi banchettando lautamente... Che bello, se quel “ricordati, figlio” che Abramo ti rivolge con ferma compassione lo avessi ascoltato quando eri ricoperto di porpora e lino finissimo...

Ma quando la vita ti ricopre con una pietra sopra, per quanto bello e prezioso possa essere il tuo sepolcro rispetto alla fossa comune nella quale avranno gettato Lazzaro, non puoi più confessare di aver “molto peccato” anche in omissioni, perché la partita della vita è finita. Game over.

 

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