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TESTO Il denaro? Strumento di amore, non veicolo di peccato

padre Gian Franco Scarpitta  

XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (18/09/2022)

Vangelo: Lc 16,1-13 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 16,1-13

In quel tempo, 1Gesù diceva ai suoi discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. 2Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. 3L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. 4So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. 5Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. 6Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. 7Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. 8Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. 9Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.

10Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. 11Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? 12E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?

13Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

Forma breve (Lc 16, 10-13):

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli: 10«Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. 11Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? 12E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?

13Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

“Ogni scelta comporta una rinuncia e chi non sa a cosa rinunciare probabilmente non sceglierà mai niente” E' un assioma di verità che andiamo verificando nel nostro vissuto quotidiano, professionale e soprattutto vocazionale. Diventa ancora più veritiero quando la scelta in questione è Gesù Cristo e il suo vangelo. Scegliere Gesù e incamminarsi al suo seguito non comporta infatti una sola rinuncia, ma il sacrificio di dover fare a meno di tante altre scelte opzionali. Il discepolato cristiano comporta l'umiltà dell'abbandono delle proprie posizioni e delle certezze su cui ci si era inizialmente adagiati; comporta la rinuncia a determinate impostazioni di pensiero, a particolari ritmi di vita e a una mentalità lassista ed edonistica che marcia controcorrente. Ma ciò che stiamo imparando dalla lezione liturgica di questa Domenica è la verità di fondo che la scelta di Cristo non è compatibile con l'idolatria del denaro e del successo economico. Su questo lo stesso Gesù è abbastanza categorico: “O Dio o mammona”.

E su questo vi è anche una motivazione fondamentale non trascurabile. Essere asserviti al denaro, considerare il guadagno come una finalità e non come uno strumento per una vita dignitosa quanto basta, riporre la fiducia nelle sole sicurezze economiche, tutto questo comporta sempre che ci si lasci avvincere dal vortice della cattiveria e della disonestà, perché la cupidigia e la voluttà esasperata sono alla radice di tutte le altre perversioni. Dice Paolo: “L'attaccamento al denaro è la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da se stessi tormentati con molti dolori”(1Tm 6, 10). Anche l'esperienza diretta ci illustra del resto come le più grandi atrocità e i malesseri di questo mondo scaturiscono dalla bramosia illecita di guadagno e dall'ostinazione a voler accumulare e accrescere ad ogni costo il proprio potenziale economico. La concupiscienza di potere e di ricchezza, che non soddisfa mai chi ne è succube, produce inevitabilmente lussuria, orgoglio, accresce l'egoismo e la volontà di dominio sugli altri, conduce a sconoscere i diritti altrui e a prevaricare soprattutto sui deboli e sugli indifesi. L'idolatria del denaro genera disonestà, che a sua volta è matrice di sospetto, tensione, odio e violenza fra gli uomini singoli e le nazioni.

La volontà incontrollata di guadagno, l'idolatria delle ricchezze, il successo a tutti i costi sono all'origine dei conflitti, delle faide, degli omicidi per regolamento di conti. Sempre in nome del profitto illecito e disonesto tantissimi giovani cadono vittime della droga e sulla loro pelle altri accrescono il loro impero finanziario. L'idolatria del denaro genera odio e scatena le guerre fra cosche mafiose. Il business e il profitto spropositato sopprimono tantissimi posti di lavoro o riducono le possibilità occupazionali.

Gesù si mostra abbastanza convinto di questa realtà, quando afferma la lusinga perniciosa della ricchezza disonesta, nella cui trappola tutti quanti si cade, quando si voglia persistere nell'idolatria dei soldi e nella loro attrattiva oltre misura. Chi brama di possedere, in un modo o nell'altro cade sempre nella morsa della disonestà, ma quello che è peggio è che “i figli delle tenebre sono più scaltri dei figli della luce”. In questo racconto parabolico, nel quale un amministratore disonesto viene minacciato di licenziamento dal suo padrone, ma riesce poi a salvarsi per la sua raffinata scaltrezza, Gesù rileva come il datore di lavoro alla fine lodi quel disonesto amministratore. Non perché approvi la sua immoralità, ma perché loda la scaltrezza e la furbizia che nella disonestà possono sempre essere utili ai fini di guadagnare. Il padrone non ama essere menato per il naso, ma ammette che quel suo dipendente è abbastanza sveglio, astuto e levantino in grado di combinare ottimi affari con la ricchezza disonesta.

Amos dal canto suo denuncia come commercianti già facoltosi e benestanti approfittino dell'ingenuità e della buona fede dei clienti per truccare le bilance o per barare sui conti, in modo da trarre illecito profitto dai loro affari. Il denaro in quel caso è uno strumento di cattiveria e di ingiustizia a vantaggio di pochi e scapito di tanti altri ed è ben lungi dal costituire uno strumento di carità e di condivisione. L'idolatria apporta infatti nequizie e illiceità di cui sono vittime le persone meno abbienti mentre va potenziandosi la ricchezza dei malvagi e dei disonesti. Possiamo anche considerare tutti quegli ulteriori esempi di lavoratori sfruttati e sottopagati, tutte quelle remunerazioni ingiuste che parecchi salariati sono costretti ad accettare a testa china, le sopraffazioni che parecchi impiegati e operai devono subire senza possibilità di riscatto. Il tutto mentre i loro datori di lavoro, cosi facendo accrescono i loro guadagni e il loro capitale.

In definitiva chi sceglie Mammona in luogo di Cristo, si decide per un sistema aberrante, demoralizzante di ingiustizie e di sopraffazioni, del quale comunque egli stesso resterà inevitabilmente vittima. La ricchezza spropositata infatti non può che apportare, accanto alle illusioni e alle chimere, una conclusione di capitolazione e di disfatta, poiché le insoddisfazioni della cupidigia lacerano e rovinano lo spirito e corrodono la serenità interiore.

Scegliere Gesù Cristo vuol dire invece optare per la serenità, la pace e la vera ricchezza in una vita semplice ma dignitosa, che prescinda dal successo economico e sappia individuare nel denaro nient'altro che un veicolo di condivisione e di solidarietà, capace di apportare molti più benefici della concupiscienza e dell'idolatria del denaro. Occorrerebbe adoperare a fin di bene e a vantaggio degli altri la stessa astuzia e temerarietà che l'amministratore disonesto adopera per i suoi soli comodi; ovvero essere ferventi nel bene nella misura e con le stesse capacità con cui i figli delle tenebre operano nel male; edificare così il Regno con le stesse risorse di volontà con altri debilitano il regno caduco che essi stessi si sono creati.

 

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