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TESTO Commento su Giovanni 1,6-8.19-28

mons. Vincenzo Paglia  

III Domenica di Avvento (Anno B) - Gaudete (11/12/2005)

Vangelo: Gv 1,6-8.19-28 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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6Venne un uomo mandato da Dio:

il suo nome era Giovanni.

7Egli venne come testimone

per dare testimonianza alla luce,

perché tutti credessero per mezzo di lui.

8Non era lui la luce,

ma doveva dare testimonianza alla luce.

19Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». 20Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». 21Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. 22Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». 23Rispose:

«Io sono voce di uno che grida nel deserto:

Rendete diritta la via del Signore,

come disse il profeta Isaia».

24Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. 25Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». 26Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, 27colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». 28Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

"Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni". Il Vangelo ci conduce ancora una volta al Giordano e ci inserisce in quella folla accorsa da ogni parte per ascoltare questo singolare profeta. In sua compagnia è più facile svegliarci dal torpore dell'egoismo e disporci ad accogliere il Signore. Il Natale è prossimo e la liturgia, chiamata "Gaudete" dalla prima parola del canto d'ingresso, esprime la gioia della Chiesa per l'avvicinarsi dell'incontro con il Signore. Il profeta Isaia ci immerge in un clima di gaudio con il "lieto annunzio" della guarigione ai malati, della liberazione agli schiavi e ai prigionieri, della consolazione ai poveri e agli angosciati. Stava per sorgere il grande e definitivo "anno della misericordia" del Signore. L'Avvento spinge a entrare con maggiore decisione nel clima di un'attesa che sta per compiersi. Il Signore, infatti, è vicino; è vicino alla sua Chiesa, a ciascuno di noi. La predicazione del Battista scuote da quel torpore che attutisce l'attesa e fa alzare gli occhi verso colui che viene a salvare. Anche lui alza gli occhi da se stesso. Lo dice chiaramente: non è lui il Salvatore; non si è lasciato travolgere dalla gloria e dal successo nel vedere tanti che accorrono a lui. Noi, per molto meno, ci sentiamo dei piccoli messia e, comunque, pretendiamo di stare sempre al centro dell'attenzione. Nella sua umiltà, tuttavia, egli non si tira indietro né si nasconde, anzi, nella coscienza della responsabilità che gli è stata affidata, afferma davanti a tutti: "Io sono voce di uno che grida nel deserto: 'Preparate la via del Signore'.

Alla lezione di umiltà segue quella sulla responsabilità; una particolare responsabilità: essere "voce". Ogni cristiano dovrebbe applicare a se stesso le parole di Giovanni: "Io sono voce". I credenti sono "voce", ossia comunicatori del Vangelo. Paolo, consapevole di tale responsabilità, ammoniva se stesso: "Guai a me se non predicassi il Vangelo!". Il credente, prima che un cumulo di opere e di azioni, è una voce, è una testimonianza. Questa è la vera forza del Battista. Certo, è una forza debole. Cos'è infatti una voce? Poco meno che nulla: un soffio; basta davvero poco per non farci caso, né ha poteri esterni che possano imporla. Eppure è forte, tanto che molti si accalcano attorno a quella parola. La ragione sta nel fatto che quell'uomo non indica se stesso; non parla per attirare su di sé l'attenzione altrui; non blocca la gente desiderosa di guarigione e salvezza sulle sponde di quel fiume, anche se benedette. Quella voce rimanda oltre, verso qualcuno ben più forte e potente: "In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, uno che viene dopo di me, al quale io non sono degno di sciogliere il legaccio del sandalo", dice Giovanni; e lo afferma ancora oggi.

È vero, infatti, che in mezzo a noi c'è uno che noi non conosciamo, oppure a cui poco badiamo. Abbiamo tutti bisogno di continuare ad ascoltare il Vangelo per scoprire il vero volto del Signore, per comprendere il suo cuore e i suoi pensieri, per capire la sua misericordia e sperimentare la sua forza di cambiamento. Se non riscopriamo il volto del Signore non sapremo neppure parlarne. Saremo cristiani malati di afonia evangelica. C'è una responsabilità dei discepoli nel non essere "voce", mentre tanti attendono qualcuno che indichi il Signore. Gregorio Magno ammoniva i cristiani: "Guardatevi dal rifiutare al prossimo l'elemosina della parola". Il compito della Chiesa e di ogni cristiano è tutto qui: essere una voce che sa parlare al cuore degli uomini per dire loro che il Signore è vicino, che ama tutti e particolarmente i più poveri. Per questo, pur nella nostra povertà, possiamo applicare anche a noi le parole di Isaia: "Lo spirito del Signore è su di me... mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai poveri... a promulgare l'anno di misericordia del Signore" (Is 61, 1-2). Gregorio Magno, nel brano citato, aggiunge: "In questo modo, se non trascurate di annunciare la sua venuta per quanto siete capaci di farlo, meriterete di essere annoverati da lui, come Giovanni Battista, nel numero degli angeli".

 

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