TESTO Una logica "illogica"
padre Gian Franco Scarpitta S. Vito Equense
XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (11/09/2022)
Vangelo: Lc 15,1-32
In quel tempo, 1si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:
4«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. 7Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
8Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. 10Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
Forma breve (Lc 15, 1-10):
In quel tempo, 1si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:
4«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. 7Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
8Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. 10Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
Che la logica di Dio prenda le distanze da quella dell'uomo è appurato da molti riferimenti biblici e da parecchi episodi illuminanti, ma quello della relazione fra Dio e l'uomo peccatore ne rafforza maggiormente il concetto. Dio non ama l'uomo nonostante il suo peccato; lo ama appunto perché è peccatore, vittima del peccato e se la sua realtà peccaminosa è il reale nemico da combattere, la sua persona di uomo resta sempre prediletta da Dio e oggetto delle sue attenzioni.
Se l'atteggiamento di Dio nei confronti degli uomini seguisse il partito della rivalsa e della rappresaglia, noi uomini saremmo scomparsi già da millenni dalla faccia della terra. Se Dio avesse infatti voluto trattarci con gli stessi parametri con cui gli uomini sono soliti risolvere le cattiverie gli uni contro gli altri, la sua ira e la sua collera ci avrebbero sterminati sin dall'inizio della nostra esperienza terrena. Fortunatamente il procedere di Dio è incompatibile con le prerogative umane di giustizia e nella misura in cui l'uomo tende ad allontanarsi dalla comunione con il suo Creatore, questi adopera tutte i procedimenti possibili per recuperarlo, poiché non vuole che nessuno si perda. Vanoye affermava che Dio si atteggia nei nostri confronti come se ad averci offesi fosse stato lui: cerca la nostra riconciliazione, la nostra comunione, nulla omettendo affinché comprendiamo la perniciosità del peccato e ci orientiamo verso di lui una volta per tutte.
Ma consa induce l'uomo a comportarsi in senso opposto alla volontà di Dio? Le risposte sono parecchie, ma a mio giudizio quelle più evidenti risguardano il lassismo e la relativa comodità che la scelta peccaminosa comporta. Si preferisce cedere al Tentatore perché il peccato presenta soluzioni di comodo, scelte poco compatibili con la virtù e con il sacrificio, promesse di felicità passeggere ravvicinate. In una parola, il peccato si commette perché è la via più semplice e garantita, mentre la virtù e l'obiettiva ottemperanza ai moniti della morale e della legge divina comporta sottomissione, umiltà e non di rado sacrificio e immolazione, mentre i benefici e i vantaggi sopraggiungono in un secondo momento. Un'altra motivazione che induce a peccare, per quanto potrebbe sembrare inverosimile, è data dall'idolatria, cioè dalla tendenza a sostituire Dio con un comunissimo elemento umano. Spesso ci si crea un Dio a misura d'uomo e addirittura ci si affida a un idolo, identificando questo per il vero Dio. “Hanno venerato e adorato la creatura al posto del Creatore”, afferma Paolo (Rm 1, 25). Oppure, “coloro che hanno per Dio il loro ventre, si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi”(Fil3, 18), realizzando così per sé una vera struttura di peccato.
Ambedue le argomentazioni si intravedono nell'episodio di cui alla Prima Lettura di oggi.
Il popolo d'Israele suscita l'ira del Signore adesso che si è "prostituito" a un Dio plasmato con metallo fuso, al quale attribuisce tutti i poteri e le facoltà del vero Dio Onnipotente. Gli rendono culto perché credono che sia stato quel pezzo di metallo a favorire la fuga d'Israele dall'Egitto. Stanchi e stremati dall'attendere che Mosè finalmente discenda dal monte dove Dio lo aveva convocato, preferiscono prostrarsi a un'icona che essi stessi si costruiscono anziché perseverare nella fiducia e nella speranza nel vero Signore che aveva operato per loro meraviglie. Preferiscono una fede a misura d'uomo, una via preferenziale di comodità. Niente di più facile infatti che modellarsi un vitello fondendo dell'oro e prostrarvisi davanti con la convinzione che questo oggetto visibile apporti più vantaggi del vero Dio ineffabile e invisibile.
Dio esterna propositi catastrofici di annientamento e di distruzione per quegli infedeli idolatri, ma quando Mosè intercede a loro favore, ricordando i benefici da Lui realizzati in Abramo, Isacco e Giacobbe e appellandosi all'amore e alla fedeltà con cui Dio ha sempre trattato il suo popolo, ecco che il Signore cambia atteggiamento: addirittura si pente delle minacce rivolte al popolo e ritrae tutti i suoi progetti di punitivo annientamento. Certamente, Dio non ha bisogno che qualcuno gli suggerisca come procedere, ma l'intercessione di Mosè è molto eloquente e significativa, perché attesta a come Dio consideri la validità della preghiera di un solo uomo che gli è fedele e come questi venga reso partecipe dei disegni divini. L''uomo peccatore agli occhi di Dio è troppo prezioso perché non possa essere recuperato. In Gesù Cristo Figlio di Dio fatto uomo, che preferisce la compagnia dei peccatori e dei pubblicani, Dio ci dice non soltanto che il peccatore ha valore inestimabile, ma che qualsiasi soggetto umano peccatore ha valore inestimabile. Ogni singolo individuo è prezioso. E infatti in Cristo avviene la riconciliazione di tutti gli uomini, guardati ciascuno con occhio di riguardo come soggetti importanti, soprattutto quando siano interessati dal peccato. Il paragone che Gesù stende fra un peccatore e l'unica pecorella che si smarrisce allontanandosi dal gregge sottende a un allevatore meticoloso e pedante fino all'inverosimile, il quale si preoccupa perfino di un minuscolo e sparuto capo di bestiame. Effettivamente nessun pastore che abbia oltre un centinaio di pecore avrebbe modo di preoccuparsi dell'unica che si smarrisce poiché gli resterebbe la garanzia di un intero gregge che produrrà comunque abbondantemente per l'azienda. Qui si vuole però sottolineare che il pastore è (per l'appunto) scrupoloso, pignolo e forse anche gelosissimo di ogni singolo elemento del suo gregge e non perderebbe alcuna delle pecore di cui è padrone.
Che dire poi del famosissimo episodio denominato “la parabola del Padre misericordioso”, il quale lascia libero il proprio figlio sprovveduto di delapidare tutte le sue sostanze e quando questi resta senza un soldo, trovandosi a vivere di stenti e di inopia assoluta, decide di fare ritorno alla casa paterna? Il genitore è ben lungi dall'usargli rimostranza, distacco e velenosa riprovazione e non considera di punirlo trattandolo come (umanamente parlando) meriterebbe, cioè con le privazioni, le restrizioni, le vessazioni riservate ai reprobi e agli schiavi. Al contrario, senza neppure ascoltare le ragioni del figlio, non appena lo vede spuntare gli corre incontro e lo abbraccia e lo bacia ordinando una considerevole festa in suo onore.
Tale è Dio nei confronti dell'uomo che si perde rovinosamente nel peccato: un pastore geloso e preoccupato all'eccesso; un padre premuroso e ansioso che il proprio figlio torni a casa sua non importa il male che ha commesso; un premuroso Padre di misericordia che ama l'uomo nella misura in cui questi si ostina a smarrire se stesso nelle effimeratezze e nelle illusioni di vita che la mancata comunione con Dio comporta. E' il peccato il morbo da esorcizzare, ma non l'uomo che lo commette.