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TESTO La misericordia è il volto del Padre

don Antonino Sgrò

XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (11/09/2022)

Vangelo: Lc 15,1-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

4«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. 7Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

8Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. 10Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Forma breve (Lc 15, 1-10):

In quel tempo, 1si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

4«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. 7Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

8Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. 10Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

Un genitore può essere soddisfatto o deluso di un figlio. Nel primo caso gli attribuirà il riconoscimento che merita; nel secondo troverà un modo equilibrato per stimolarlo a far meglio tenendolo al riparo da ogni forma di scoraggiamento paralizzante. Nell'immaginario collettivo un padre non cambia mai, è sempre fedele all'amore per i figli, anche a rischio di non essere ripagato nell'anzianità di tutto il bene profuso nell'arco della vita; i figli invece rappresentano un'incognita e possono riservare sempre sorprese.

Il padre della parabola si trova dinanzi a due prese di posizione tanto sconcertanti quanto inattese. Presumiamo che egli abbia educato i figli col medesimo metro, stabilendo un dialogo schietto e trasfondendo loro i valori della condivisione, libertà e responsabilità. Colpisce anche il fatto che egli parli col cuore in mano, facendo trapelare la pienezza dei suoi sentimenti di gioia e tenerezza. In tal senso, risulta chiaro che questo padre è anche una madre, peraltro mai menzionata nel racconto; egli rappresenta la pienezza dell'essere genitore, come accade in quelle famiglie in cui, in assenza di uno dei due, l'altro coniuge funge da padre e madre insieme.

A fronte di tanta sincerità e magnanimità, appare inspiegabile la presa di distanza dei figli dalla casa e dalla mentalità paterne, ma possiamo iscrivere tale scelta nel mistero della libertà umana e del desiderio di autonomia tipico dei giovani, che a un certo punto vogliono camminare con le proprie gambe, percependo come indebita ingerenza un consiglio non richiesto o addirittura la semplice presenza del genitore. Ciò risulta evidente per il figlio minore, la cui pretesa dell'eredità spinge fino all'estremo il bisogno di autonomia, poiché presuppone che il padre sia come morto. «Pochi giorni dopo...raccolte tutte le sue cose», la partenza. Il dirigersi verso «un paese lontano» fa trapelare l'assenza di qualsiasi travaglio interiore; eppure se in quel frangente avesse dialogato col padre piuttosto che ascoltare solo la propria ‘pancia', sarebbe potuto crescere senza farsi male.

Se sorprende il cambio di atteggiamento del ragazzo, espresso solo adesso ma probabilmente covato da tempo, ancor più strabiliante è l'inerzia del padre. Perché non ha fatto nulla per fermarlo? Eppure, considerata la sua esperienza di vita e la conoscenza del figlio, aveva sicuramente previsto che questi si sarebbe perso. C'è una libertà umana insondabile, ma esiste anche una libertà divina altrettanto oscura per noi. Non che un genitore approvi la rovina dei figli, ma questo genitore celeste rispetta la libertà umana corrotta che addirittura considera Dio l'origine dei propri mali e perciò lo rinnega. Che tristezza vedere oggi tanta gente che tratta Dio da avversario della propria libertà: la parabola mostra proprio il contrario!

Eppure immaginiamo che il padre dissemini il sentiero del figlio, e persino il burrone nel quale precipita, di nostalgie, richiami, appelli alla conversione. Sono questi ultimi che inducono il giovane a tornare o la mancanza di pane? A giudicare dalle parole che il ragazzo rivolgerà al padre, in cui ripropone il monologo interiore formulato quando prese la decisone di rientrare, il suo cambiamento appare acerbo e interessato: difatti ripete tutto ma non le parole «trattami come uno dei tuoi salariati», poiché ha capito che il genitore lo ha già perdonato e non vuole abbassarsi al rango di servo, come prima aveva pensato. Il padre è disposto anche a farsi prendere in giro; non gli importa se il figlio ha le carte in regola, ma che si lasci guardare e amare da lui. Per questo quando lo vide da lontano «gli corse incontro» e colmò così la distanza che il figlio aveva creato.

Qui capiamo l'eccedenza della misericordia: certe fratture che noi creiamo sono per sé insanabili e solo per volere divino si ricompongono; il segno di tale guarigione è la dimensione della festa. È proprio in questa festa, organizzata personalmente dal padre, che il figlio maggiore non sa e non vuole entrare. Egli era rimasto col genitore, ma il suo cuore era lontano da lui. Distanti dal Padre, siamo preda dei peggiori sentimenti che distruggono la fraternità, come l'invidia. Per chi ne è vittima, l'antidoto che Dio propone è sempre la gioia, perché Egli sa che i figli ribelli sono in realtà figli che chiedono amore. Il finale è aperto, nel senso che dalla parte umana l'esito della relazione col Signore e col prossimo rimane incerto, mentre dalla parte divina resterà sempre aperta la possibilità della riconciliazione piena e definitiva.

 

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