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TESTO Suscitare cambiamento, stupore, compassione

don Angelo Casati  

I domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore (Anno C) (04/09/2022)

Vangelo: Mt 4,12-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 4,12-17

12Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, 13lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, 14perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia:

15Terra di Zàbulon e terra di Nèftali,

sulla via del mare, oltre il Giordano,

Galilea delle genti!

16Il popolo che abitava nelle tenebre

vide una grande luce,

per quelli che abitavano in regione e ombra di morte

una luce è sorta.

17Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».

Raccolgo frammenti, frammenti di pensieri. Il primo fa indugio su parole come "conversione", "convertirsi", parole che, come altre, nel tempo si sono indebolite, scolorite e andrebbero riaccese. Il brano del vangelo di Matteo annoda la notizia dell'arresto del Battista all'inizio dell'annuncio del vangelo da parte di Gesù. E una delle cose sorprendenti è la perfetta coincidenza, a copia, tra le parole di Gesù e quelle di Giovanni, di cui peraltro Gesù era stato discepolo: "Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino". "Convertitevi", la parola greca, è invito a cambiare la mentalità, il cuore, la direzione. La direzione da riscoprire è quella del Regno di Dio che ora si è fatto vicino a noi in Gesù di Nazaret.

Rimettere dunque nel nostro orizzonte Dio e i suoi pensieri, Gesù e le sue scelte. Bellissima oggi l'invocazione al salmo: "Convertici a te, Signore". Si tratta di una persona a cui volgersi, come orizzonte. Verso dove punto? Nascono domande sulla mia mentalità: in fondo, sinceramente, qual è il mio orizzonte, quello che ispira le mie scelte? Si tratta del mio modo di vedere la vita. Che cosa tengo come passione nel cuore? Importante la direzione. Non basta - chi non lo vede - un invito generico allo sforzo: "Sforzatevi, pedalate". Perché, se poi uno sta andando nella direzione sbagliata, a furia di pedalare, si troverà sempre più lontano e smarrito. Ebbene convertirsi, aprire a Dio, è l'appello di Isaia al suo popolo, un popolo abbagliato dalla suggestione di una alleanza politica alternativa, quasi non contassero orizzonti in cui iscrivere le scelte, messi a tacere profeti e veggenti.

L'esito? La decostruzione, le immagini sono di una lucidità disarmante. Eccole: "Pertanto dice il Santo d'Israele: "Poiché voi rigettate questa parola e confidate nella vessazione dei deboli e nella perfidia, ponendole a vostro sostegno, ebbene questa colpa diventerà per voi come una breccia che minaccia di crollare, che sporge su un alto muro, il cui crollo avviene in un attimo, improvvisamente, e s'infrange come un vaso di creta, frantumato senza misericordia, così che non si trova tra i suoi frantumi neppure un coccio con cui si possa prendere fuoco dal braciere o attingere acqua dalla cisterna"". Dovremmo ricordarlo: rifiuto della profezia, vessazione dei deboli e perfidia sono una breccia nel muro. Dovremmo ricordarlo.

E, dovremmo ricordare anche una delle ultime parola del brano di Isaia: "Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza". Mi intriga questo sgusciare nel testo della parola "calma", perché di questi tempi mi appare una parola in esilio. Sono altre le parole di moda: la fretta, la semplificazione, l'impetuosità, in uno stordimento continuo, ossessivo. Guai rallentare, sostare, discernere: lo slogan, non il pensiero. Ed ecco invece l'invito a una sosta, a un indugio, a una riflessione: "Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza". Ma ora vorrei condividere con voi un altro pensiero: il brano di Matteo se da un lato sottolinea una continuità tra il Battista e Gesù, dall'altro evoca un cambiamento radicale.

E' scritto di Gesù che "si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: "Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! "". Gesù per l'annuncio non sceglie, come il Battista, il deserto, né rimane a Nazaret, un villaggio isolato. Si immerge in spazi più ampi, sceglie una città di confine, sulla riva di un lago, crocevia di carovane, sceglie Cafarnao. L'annuncio ora è per strade e case. E la discontinuità non è solo topografica. Ancora più abbagliante è la discontinuità nello stile del suo annuncio. Che non conosce le parole dure, veementi, rocciose del Battista, ma quelle di un Rabbi che racconta la misericordia; non un asceta del deserto, ma il Figlio dell'uomo che mangia e beve con pubblicani e peccatori, annunciando la salvezza per le loro case. Non il deserto dunque, ma Cafarnao.

Mi passa in cuore una domanda, mi viene spontaneo chiedermi se i cristiani di oggi, per fedeltà al loro Signore e ai segni dei tempi, non siano chiamati ad uscire da territori protetti, per lo più ecclesiastici, per andare ad abitare a Cafarnao, come il loro Maestro. Stare, con la passione del vangelo, nei luoghi dei grandi cambiamenti, delle nuove sfide, delle quotidiane domande, quelle che vengono da strade e da piazze e da case, in ascolto, senza aria di maestri, ma semplicemente compagne e compagni di viaggio. Mi affascinava nel brano di Matteo, il commento alla scelta di Cafarnao: "sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti!". Non occupare posti, ma abbracciare "genti", la parola al plurale. Finisco condividendo con voi alcune parole di papa Francesco nel suo viaggio apostolico tre anni fa in Marocco.

Diceva: "La nostra missione di battezzati, di sacerdoti, di consacrati, non è determinata particolarmente dal numero o dalla quantità di spazi che si occupano, ma dalla capacità che si ha di generare e suscitare cambiamento, stupore e compassione; dal modo in cui viviamo come discepoli di Gesù, in mezzo a coloro dei quali noi condividiamo il quotidiano, le gioie, i dolori, le sofferenze e le speranze... Penso che la preoccupazione sorge quando noi cristiani siamo assillati dal pensiero di poter essere significativi solo se siamo la massa e se occupiamo tutti gli spazi. Voi sapete bene che la vita si gioca con la capacità che abbiamo di "lievitare" lì dove ci troviamo e con chi ci troviamo. Anche se questo può non portare apparentemente benefici tangibili o immediati. Perché essere cristiano non è aderire a una dottrina, né a un tempio, né a un gruppo etnico. Essere cristiano è un incontro, un incontro con Gesù Cristo".

Generare e suscitare cambiamento, stupore e compassione. Come Gesù.

 

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