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TESTO La porta del Regno è aperta: non lasciamo che si chiuda!

don Alberto Brignoli   Amici di Pongo

XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (21/08/2022)

Vangelo: Lc 13,22-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 13,22-30

In quel tempo, Gesù 22passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. 23Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: 24«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. 25Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. 26Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. 27Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. 28Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. 29Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. 30Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

“Chi prega si salva, chi non prega si danna! Il salvarsi, insomma, senza pregare è difficilissimo, anzi impossibile... ma pregando, il salvarsi è cosa sicura e facilissima”: così affermava, a metà del XVIII secolo, Sant'Alfonso Maria de' Liguori in uno dei suoi più famosi trattati sulla necessità della preghiera. Questa - e altre sue famose massime - divennero la base su cui molti dei nostri genitori e dei nostri nonni forgiarono la loro spiritualità: e non possono non tornare, alla nostra memoria, le molte preghiere, i molti rosari, le molte giaculatorie, le numerose litanie che erano sempre sulla bocca delle nostre nonne, continuamente, soprattutto in chiesa, dove, entrando, rimanevi colpito da questa specie di “sacro ronzio” che perdurava lungo tutta la celebrazione della santa messa... ben diverso da quel bisbiglio che spesso riempie le nostre chiese oggi, dove sembra che non riusciamo proprio a stare in silenziosa preghiera senza dover dire al nostro vicino di banco le ultime notizie del giorno in paese... Erano donne e uomini di preghiera, perché erano davvero convinti che la preghiera fosse l'unico modo sicuro per salvarsi: e possiamo stare certi che per loro fu così, anche solo per l'obbedienza e il rispetto che portavano verso tutto ciò che riguardava il sacro.

Eppure, il Vangelo di oggi ci dice che pregare non basta per salvarsi, e che la salvezza non è poi così semplice da ottenere, anzi: è come tentare di entrare in una porta stretta, lasciata appena socchiusa da un padrone di casa che da un momento all'altro la può chiudere, e una volta chiusa, chi è dentro è dentro, e chi è fuori è fuori. E ciò che fa ancor più impressione, è notare chi sono quelli che rimangono fuori, e chi sono invece quelli che stanno all'interno. Dentro, ci stanno “Abramo, Isacco, Giacobbe e tutti i profeti”, ovvero coloro che sono stati amici di Dio su questa terra non per le tante parole dette o le tante preghiere fatte (cose che non sono certo loro mancate), ma perché hanno compiuto la volontà di Dio, sfidando ogni avversità e ogni tipo di prova messe sul loro cammino non solo dai nemici del Signore, ma a volte da Dio stesso. Credendo e sperando contro ogni speranza, sono entrati a far parte del Regno di Dio. Seduti alla mensa del Regno, insieme con loro ne arriveranno altri, “da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno”, ovvero - secondo un'immagine biblica molto presente nei profeti - da tutte quelle nazioni che non appartengono alla fede d'Israele, eppure sono in grado di ottenere anch'esse la salvezza a scapito di coloro che, pur appartenendo al popolo della Promessa, ne restano, invece, esclusi.

Chi sono, allora, questi “esclusi” dal Regno perché incapaci di entrare per la porta socchiusa? Gesù ci parla di loro, ma in realtà parla “a” loro, perché si rivolge direttamente ai suoi interlocutori, rispondendo a un tale che voleva sapere il numero di coloro che si sarebbero salvati. Il Maestro è in deciso viaggio verso Gerusalemme, ma al termine di questo capitolo, scaltramente consigliato dai farisei, dovrà attendere un attimo perché - a detta loro - ricercato da Erode che lo vuole mettere a morte. In realtà, come sappiamo, sono i farisei e le autorità religiose che cercano di metterlo a morte per le sue parole e per i gesti da lui compiuti: poco prima di questi fatti, nello stesso capitolo 13, aveva raccontato la parabola del fico sterile con una chiara allusione alla sterilità spirituale del popolo eletto, e aveva guarito una donna nella sinagoga in giorno di sabato. Gesù non fugge dal suo destino, ma sa di avere ancora molto da insegnare a un popolo che, guidato e formato dai suoi capi, è convinto di essere in possesso della salvezza per il solo fatto di essere il popolo eletto, di avere ricevuto da Dio la Legge, i comandamenti, la sinagoga, il tempio con tutti i riti annessi e connessi. La salvezza, quindi, era una cosa “per pochi eletti”, ovvero i depositari di queste promesse di Jahvè.

Gesù sembra assentire ai suoi interlocutori: sì, la salvezza non è per tutti, è una cosa difficile da ottenere, non però attraverso l'appartenenza al popolo eletto, e nemmeno attraverso preghiera e culto. Perlomeno, non solo attraverso questo, perché questo non basta. Non basta pregare e supplicare il Signore dicendo “Signore, aprici!”; non basta nemmeno ribadire la propria appartenenza al popolo eletto e la propria presunta amicizia con Dio, rivendicando di aver mangiato e bevuto con lui e aver ascoltato i suoi sermoni in piazza. Perché il Signore avrà la risposta pronta, di fronte a queste suppliche: “Non so di dove siete. Allontanatevi da me”.

E perché mai il Signore li caccia? Perché li esclude dalla salvezza? Perché chiude loro in faccia la porta del Regno? Lo spiega in maniera lapidaria: “Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia”. Quella che per loro era motivo di salvezza e di giustizia, ossia l'appartenenza al popolo eletto, per Gesù non significa automaticamente essere giusti: anzi, li definisce operatori di ingiustizia perché il loro rapporto con Dio non è basato su opere di giustizia, ma su un culto formale, fatto di preghiere, di sacrifici, di riti purtroppo accompagnato da gesti di ingiustizia, come quello di impedire a una persona malata di essere guarita in giorno di sabato, come quello di opprimere il popolo con il peso di leggi e comandamenti che rendono il popolo schiavo delle istituzioni. Gesù è venuto a portare una legge che libera, la legge dell'amore e della giustizia: e di fronte all'amore e alle opere di giustizia non ci sono norme, leggi, istituzioni, culti e preghiere che tengano.

È l'amore che ci apre la porta del Regno di Dio: rivendicare la nostra amicizia con Dio e la nostra presunta pretesa di salvezza per il solo fatto di pregare, andare a messa, andare in chiesa e compiere con i precetti della nostra fede cristiana, non è sufficiente, se non sappiamo essere operatori di giustizia.

Allora, pregare non serve? Allora, non è vero, e non valido, affermare che “chi prega si salva e chi non prega si danna”? Certo che è vero e che è valido: ma non basta. Alla preghiera (fatta con il cuore e non con le labbra) devono corrispondere opere di giustizia e di amore.

Come non puoi amare una persona facendo di tutto per lei, ma senza dirle mai “Ti amo”, “Scusami”, “Ho bisogno di te”, “Grazie che ci sei”, così non puoi pensare di amare una persona riempiendola solamente di queste belle parole che scaldano il cuore, senza poi dimostrare nei fatti e nelle opere che ci tieni a lei. Perché altrimenti rimani chiuso fuori dalla porta del suo cuore, automaticamente, senza bisogno che lo faccia lei; proprio come Dio, che non sbatte la porta del Regno di Dio in faccia a nessuno, anzi, ci consegna l'unica chiave che la possa aprire, quella dell'amore.
Forza, quindi: evitiamo di rimanere chiusi fuori!

 

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