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TESTO Commento su Is 66,18-21; Sal 116; Eb 12,5-7.11-13; Lc 13,22-30

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XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (21/08/2022)

Vangelo: Is 66,18-21; Sal 116; Eb 12,5-7.11-13; Lc 13,22-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 13,22-30

In quel tempo, Gesù 22passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. 23Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: 24«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. 25Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. 26Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. 27Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. 28Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. 29Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. 30Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

Luca scrive il suo Vangelo quando le comunità cristiane si sono costituite un certo bagaglio di esperienza e hanno perso l'aggancio con il contesto etnico e religioso degli interlocutori di Gesù.
Queste comunità erano costituite da un numero sempre maggiore di convertiti provenienti dal paganesimo e un piccolo numero di ebrei. In tale situazione non è difficile ipotizzare tensioni tra i diversi gruppi. Ecco per cui la domanda, che nel Vangelo di oggi viene rivolta a Gesù, affiora talora anche sulle nostre labbra: “Sono pochi quelli che si salvano?”
Per entrare nel regno dei cieli, sembra dirci oggi Gesù, non basta un'appartenenza iniziale esteriore e conclamata, come quella di coloro che gridano “Abbiamo mangiato e bevuto alla tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Gesù ha ripetuto spesso questo concetto: “Non chiunque mi dice: “Signore, signore” entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del padre mio...”.
Alla vita fatta da riti, si deve unire la vita di fede. La fede deve innervare l'esistenza, la preghiera deve sposarsi all'impegno di carità, la liturgia deve aprirsi alla giustizia e al bene.
La porta stretta della salvezza richiama invece la necessità della effettiva corresponsabilità dell'uomo. La porta diventa il simbolo della reciprocità (dentro, fuori, salvezza, perdizione) dell'incontro e del confronto. La strettoia è appunto l'opera di trasformazione che impegna la vita cristiana fino allo spasimo che molto spesso è anche in netta contraddizione con il comune sentire. Il cristiano è allora colui che, attraverso un lento e progressivo lavorio personale, trasforma la sua persona, affinandola, secondo i parametri del Vangelo della vita.
Si perde solo chi decide di non amare o si chiude nel possesso di sé o dell'altro, rinunciando con ostinazione alla reciprocità del dono e della comunione.
La salvezza a cui siamo chiamati non può mai ridursi all'ordine, all'avere (possesso), neppure solo a quello dell'essere (la propria pienezza), ma si realizza e si amplifica in quello della relazione e della comunione.
La via della porta stretta valorizza la fatica esaltante di una redazione libera e reciproca, in cui in concreto matura la familiarità, l'intimità di una comunione che consentirà di conoscere e poi di essere riconosciuti.
Noi dobbiamo ogni giorno condividere con Gesù la sua passione che è liberazione dai peccati, vivere nella verità, operare nell'amore, camminare nella speranza, superare con la fede travagli, situazioni individuali e familiari, condizioni culturali e sociali che sono la nostra pena quotidiana.
Infine non si tratta di sciogliere questo problema della porta stretta su parametri quantitativi e qualitativi. È l'amore che salva, un amore sincero, autentico, un amore che è già sulla terra beatitudine interiore dei poveri, degli affamati, degli assetati, dei puri, di coloro che piangono, di miti e mansueti, degli operatori di pace, dei misericordiosi, dei perseguitati per causa della giustizia, prima di essere la loro pienezza di gioia e felicità nel cielo.

DOMANDA
- Come singolo, come coppia, come famiglia, come comunità quanto mi impegno a instaurare una reciprocità d'azione verso il prossimo fondata sull'amore?

Claudio Righi

 

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