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TESTO Una fede contradditoria?

don Alberto Brignoli  

XX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (14/08/2022)

Vangelo: Lc 12,49-53 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 12,49-53

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 49Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! 50Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!

51Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. 52D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; 53si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

Non è che il Signore, nel Vangelo di oggi, ci dia una gran mano, per superare il momento che stiamo vivendo a livello continentale e mondiale più in generale. Viviamo, infatti, situazioni di conflitto alle nostre porte, e altri venti di guerra si intravedono in varie parti del mondo, dove le superpotenze ci tengono a mostrare i propri muscoli, casomai ci fossimo dimenticati dell'arsenale che è in loro possesso. Per non parlare di quei conflitti mai assopiti, e che periodicamente ritornano alla ribalta, soprattutto quando i mass media si accorgono di non avere notizie da esporre sul bancone delle vivande perché il popolino - sempre affamato di cose sensazionali - se ne possa cibare. Ma che facciano notizia o no, decine, centinaia di conflitti rimangono vivi in ogni parte del mondo: e quando colpiscono la nostra sensibilità, il grido unanime che si leva al cielo da questa nostra “valle di lacrime” è uno solo, “Pace!”. Che, oggi, è l'esatto contrario di ciò di cui ci parla il Vangelo... e allora, ci viene da dire: “Ma di chi possiamo fidarci?”.

A chi possiamo affidarci, in un mondo di conflitti grandi e piccoli, estesi o circoscritti, locali e globali, se anche Colui che noi invochiamo come Principe della Pace, e al quale chiediamo - l'abbiamo fatto nel salmo - di venire presto in nostro aiuto, ci dice non essere venuto a portare pace, ma divisione sulla terra? Come se non ne avessimo abbastanza, di divisioni... come se non bastassero già i conflitti che ci circondano, provocati dai signori della guerra e dei quali noi paghiamo le conseguenze, quanto meno in termini economici e sociali.

Perché mai Gesù ci parla di sé come un elemento di contraddizione, come motivo di divisione e conflitto all'interno di una stessa famiglia, invece di rincuorarci con parole che parlino di lui come segno di unità e di riconciliazione? Che venisse a “gettare fuoco sulla terra”, sinceramente, non è che ne avessimo grande necessità, ancor meno in questo periodo di temperature roventi, dove di fuochi accesi ne abbiamo già fin sopra i capelli! E che venisse lui a ribadirci quanto spesso siano difficili le relazioni familiari tra genitori e figli, oppure tra fratelli e sorelle, per non parlare di quelle tra nuora e suocera... non era esattamente ciò che pensavamo di chiedergli venendo a messa oggi! E allora... perché mai tutta questa smania di descriverci la sua parola, la sua presenza, e più in generale la sua persona come “motivo di contraddizione” e di conflitto tra gli uomini?

Beh... perché di fatto è così: il suo non è un auspicio o un obiettivo, ma la presa di coscienza di un dato di fatto. Credere in Gesù non è per tutti, non allo stesso modo, quantomeno: e soprattutto, non è motivo di unità e di concordia tra gli uomini, perché ognuno di noi coglie e accoglie di Gesù ciò che sente dentro di sè, a volte ciò che gli fa comodo, più che quello che ci mette in comunione con gli altri. Noi sogniamo che i cristiani abbiano un rapporto uguale e unico con il Vangelo; sarebbe meraviglioso, se lo fosse: ma non è così! E lo vediamo nelle tante piccole e grandi cose della vita di ogni giorno, in moltissimi ambiti della vita della Chiesa e della società in generale. Chiunque si dice credente in Cristo, vive poi il suo cristianesimo in maniera apertamente contradditoria rispetto a ciò che un altro fratello in Cristo vive. C'è chi vive la fede come esclusiva pratica liturgica e sacramentale, e chi intende il cristianesimo come una sorta di filantropia o di filosofia portatrice di pace. C'è chi crede che il cristianesimo abbia una sola legge da osservare, quella della carità, e chi crede che anche il cristianesimo, come ogni religione, debba avere un insieme di strutture, di leggi, di norme, di comportamenti che ne assicurino la sussistenza. Visto come siamo sommersi da slogan politici ed elettorali, non sarà infrequente in questo periodo, sentir parlare di un Gesù di sinistra, di un Gesù di destra e di un Gesù nel centro, ognuno dei quali pieno di buoni motivi per dire la sua e presentarsi come quello originale... e chi più ne ha, più ne metta!

Allora, è proprio vero che di fronte alla sua persona e al suo messaggio, gli uomini non trovano in Gesù un motivo di pacificazione e di unificazione, ma un messaggio che tocca le corde dell'animo umano, mettendo a nudo e crudo ciò che ognuno di noi è, pensa e vive. Il fuoco che Gesù porta sulla terra con il suo messaggio è quella scintilla che infiamma l'animo di chi crede in lui e lo induce a scelte che inevitabilmente lo porteranno a scontrarsi con quelle di altri: con il mondo che lo circonda, con la società, con gli amici, con i suoi stessi familiari, a volte. È innegabile, ed è un dato di fatto, che credere al messaggio di Cristo e testimoniarlo con coerenza comporta entrare in conflitto con qualcosa e con qualcuno. Era così anche al tempo dei profeti dell'Antico Testamento, dove l'annuncio dei comandi di Jahvè rappresentava spesso per loro motivo di discordia con i loro stessi fratelli di fede, e nel caso di Geremia (di cui ci ha parlato la prima lettura) addirittura con le autorità religiose e con il potere politico con il quale andavano a braccetto, governando in nome e per conto di quello stesso Dio a causa del quale il profeta veniva perseguitato.

Allora, è chiaro che oggi Gesù non ci sta parlando di conflitti bellici da lui ignorati o ancor peggio alimentati: ci parla di altro, ci parla di quell'inevitabile contraddittorio che credere in lui comporta, anche all'interno della stessa comunità dei credenti. Se ciò è qualcosa di inevitabile, se questo è un dato di fatto, tuttavia non significa che debba essere vissuto con rassegnazione, pensando che non esista possibilità di soluzione; perché la soluzione ce la dona Gesù stesso, che parla di questa conflittualità come di un'ansia, come qualcosa che deve portare a compimento e che lo tiene “sulle spine” finché ciò non sia compiuto.

Questo elemento di contraddizione che la sua parola crea in chi lo ascolta è soggetto a un processo che sarà portato a compimento nel momento in cui Gesù “sarà battezzato in quel battesimo nel quale dovrà essere battezzato, immerso”, ed è il battesimo a cui inviterà anche i fratelli Giacomo e Giovanni (che volevano diventare ministri privilegiati del suo Regno) e tutti coloro che crederanno in lui: è il battesimo della Croce, il battesimo della sua morte e risurrezione, nel quale vengono immerse le contraddizioni dell'umanità per esserci restituite come segno di unità e di pace.

Nella croce di Cristo diventiamo tutti fratelli, al di là dell'ideologia che ci ispira, del partito per cui votiamo, della liturgia che amiamo, della carità che esercitiamo, della filosofia che ricerchiamo. Come diceva la filosofa ebrea Simone Weil, molto vicina al cristianesimo, “il mistero stesso della croce di Cristo consiste in una contraddizione, perché essa è, insieme, un'offerta di sé al Padre e una punizione subita suo malgrado”.
Eppure, è solo nella croce che troviamo salvezza.

 

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