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TESTO Impariamo a contare ciò che conta

don Alberto Brignoli  

XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (31/07/2022)

Vangelo: Lc 12,13-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 12,13-21

In quel tempo, 13uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». 14Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».

16Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. 17Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? 18Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. 20Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. 21Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

Tutti noi sogniamo. Spesso lo facciamo pure a occhi aperti. Ci piace pensare e immaginare cose che vorremmo poter realizzare nella vita, sogniamo di poter ottenere un risultato, qualcosa a cui teniamo particolarmente, e quando ancora non riusciamo a ottenerlo, lo anticipiamo con l'immaginazione, sognando. Molto più frequenti, invece, sono i sogni che facciamo dormendo: e anche se in genere sono la proiezione di ciò che il nostro inconscio macchina durante il giorno, sono del tutto involontari, per cui non sempre descrivono il desiderio di qualcosa che vorremmo si realizzasse.

Buoni o cattivi che siano, i nostri sogni hanno tutti quanti una caratteristica comune: quella di terminare al momento del nostro risveglio, lasciandoci un senso di smarrimento addosso, o comunque anche solo un po' di amaro in bocca. Come dice il salmo che oggi preghiamo, i sogni al mattino “sono come l'erba che al mattino germoglia e alla sera è falciata e secca”; sono come i giorni dell'uomo, che anche qualora giungessero a contare mille anni, “sono come il giorno di ieri che è passato”, come il turno di veglia di un soldato lungo la notte, che sembra non passi più, e invece è questione di poche ore.

I nostri sogni, in fondo, altro non sono che la parabola della nostra vita: un po' di illusione momentanea, che a volte ci scalda il cuore, ma poi al mattino svaniscono riportandoci alla cruda realtà di ogni giorno. Come la nebbiolina mattutina di alcune valli un po' più umide, che ai primi raggi del sole evapora, e svanisce nel nulla. Questa “nebbiolina”, il saggio che sta dietro a Qoelet l'ha chiamata “hèvel”, e nella nostra traduzione l'abbiamo sempre chiamata “vanità”. Non è, però, da intendersi come l'atteggiamento della persona vanitosa, bensì come qualcosa di vano, di inutile, di inconsistente e di fugace: proprio come i sogni al risveglio, la nebbiolina al mattino, i nostri giorni che passano in fretta. Tutto è “hèvel”, “vanità”.

Eppure, nei nostri sogni a occhi aperti, la nostra vita non ci appare come “hèvel”, come “vanità”: anzi, ci sembra di poter fare tutto quello che vogliamo, che è in nostro potere. Pensiamo, organizziamo, sbrighiamo, progettiamo, facciamo, e tutto questo come se non ci fosse un limite ai nostri giorni, come se dovessimo essere eterni, come se fossimo onnipotenti. E soprattutto, come se ciò che possediamo - magari anche frutto del nostro onesto lavoro, non discuto - ci garantisse davvero la possibilità di fare ciò che vogliamo per tutto il tempo che vogliamo e nel modo in cui vogliamo.

Come l'uomo ricco della parabola, che di fronte ai frutti abbondanti della sua campagna non pensa minimamente ad essere grato alla natura, al lavoro dei suoi braccianti o a Dio: pensa solo - sognando a occhi aperti - a come poter approfittare di tutti quei beni, costruendo enormi magazzini e sfruttando di tutto ciò che ha accumulato senza pensare a contare i propri giorni e a porre un limite ai propri sogni. Senza tener conto, cioè, che tutto ciò che ha pensato, organizzato e progettato, è come la sua stessa vita: “hèvel”, “vanità”, qualcosa che oggi c'è e ti fa sognare, ma domani non c'è più, e quello che hai preparato andrà dissolvendosi come nebbia al sole.

Eh, sì: perché anche se sei un credente e credi nell'immortalità dell'anima, nella resurrezione dai morti, e in una vita che va ben oltre quella terrena e della quale non conosci praticamente nulla, ma confidi di poterla vivere, di una cosa puoi stare certo: che di là, di tutto ciò che hai progettato, sognato, programmato, guadagnato e accumulato, non porterai assolutamente nulla. E anche questo eterno affannarsi, che toglie pure il sonno di notte, è vanità.

E allora? E allora bisognerà iniziare a vivere la vita in maniera indipendente dalle logiche dell'accumulo, del guadagno, del lavoro spinto all'eccesso e dell'onnipotenza che ci fa sentire padroni di tutto e di tutti. Bisognerà iniziare a dare valore alle cose che contano davvero, non ai beni materiali che possediamo; bisognerà iniziare ad accumulare tesori che possiamo portare con noi dopo che la vanità avrà fatto svanire i nostri giorni come un soffio; bisognerà iniziare a creare un cultura della vita come dono che abbiamo ricevuto e che dobbiamo restituire ricco di cose che contano, di valori veri, di opere buone, rifiutando la logica dell'onnipotenza che ci porta a decidere sulla vita degli altri, lasciando morire di stenti una bimba di 18 mesi perché di impedimento alla nostra libertà, o massacrando a morte un disabile, solo perché reo di aver importunato una donna chiedendole in maniera insistente l'elemosina. Tutte cose che non riguardano solo “alcuni fuori di testa”, ma che ci riguardano tutti, perché compiute in mezzo all'indifferenza generale, e perché sono il frutto di un'umanità che considera “hèvel”, “vanità”, la vita degli altri e mai la propria.

Se, invece, imparassimo - sono ancora parole del salmo - “a contare i nostri giorni per acquistare la saggezza del cuore”, invece di contare i soldi che abbiamo sul conto corrente pensando di poter disporre di tutto ciò che vogliamo, compresa la vita altrui, riusciremmo a dormire sonni tranquilli e a non farci turbare dai nostri sogni notturni. La vita continuerà a essere “hèvel”, “vanità”: ma se lo sguardo del cuore è rivolto “alle cose di lassù e non a quelle della terra”, come ci esorta a fare Paolo, impareremo a viverla con pienezza, fino in fondo, come se non ci fosse un domani, perché il nostro oggi è il nostro tutto; perché il nostro oggi è nascosto con Cristo in Dio.

 

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