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TESTO Una parola folle o una parola vana

don Angelo Casati  

VII domenica dopo Pentecoste (Anno C) (24/07/2022)

Vangelo: Gv 6,59-69 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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59Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao. 60Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». 61Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? 62E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? 63È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. 64Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. 65E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».

66Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. 67Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». 68Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna 69e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

A fine agosto saranno venti anni da quando ci ha salutati. Uso il verbo "salutare", perché non è un verbo di morte ed è un verbo affettuoso. Come lo era lui con noi, parlo del Card. Martini. Perché oggi in modo particolare il suo ricordo? Perché questo brano, tratto dal libro di Giosuè è un testo che lui amava, un testo che spesso tra noi ha commentato, soprattutto con i giovani nelle sue indimenticabili "scuole della parola", quando il duomo diventava un prato e ventimila giovani seduti su panche, su basi di colonne, per terra, lo ascoltavano in un silenzio emozionante.

Ebbene vorrei iniziare con alcune sue parole rivolte a loro, a commento della grande convocazione a Sichem. Eccole: "Chi fu convocato da Giosuè a Sichem? Giosuè, capo carismatico, eletto da Dio, successore immediato di Mosè, radunò tutte le tribù di Israele nella pianura presso le due montagne di Ebal e Garizim. Sichem è un luogo celebre dell'antichità, ricco di ricordi, di tradizioni per tutto il popolo di Israele. Nel versetto 1 del capitolo 24 si legge che "Giosuè radunò tutte le tribù... e convocò gli anziani...". Perché questa differenza di verbi? Il verbo ebraico, che traduciamo con "radunare", significa "raccogliere", "mietere", "mettere insieme una grande massa"; il verbo ebraico che traduciamo con "convocare", significa "gridare", "chiamare per nome gridando". È il verbo usato per le grandi chiamate bibliche. Abbiamo quindi nel primo versetto un raduno che riguarda tutti e una convocazione più specifica, più personale...".

E cosi il cardinale proseguiva: "Chi è convocato oggi? Ciascuno deve rispondere: sono convocato io personalmente, convocato e non semplicemente radunato. È facile andare una volta tanto ad un raduno, andare una sera alla veglia missionaria o alla marcia della pace. Ma la convocazione richiede ascolto e risposta. Ascolto per capire a fondo la nostra identità e risposta attraverso la proclamazione della nostra fedeltà. Vi affido alcune domande per la riflessione: - mi sento di lasciarmi convocare? Non radunare una volta tanto, ma convocare con perseveranza, lasciandomi convocare per una responsabilità, per un ascolto e per una risposta? - quali sono le mie resistenze a lasciarmi convocare? Che cosa sento dentro di me? Sento pigrizia, stanchezza, svogliatezza? Talora queste cose nascondono la paura di impegnarsi, la tristezza di chi non vuole gustare la gioia del vangelo" (Scuola della Parola 1988/89). Fin qui il cardinale. Voi mi capite è in gioco una scelta, ed è una scelta che mette in questione la persona.

Come accade anche nel racconto del vangelo di Giovanni. Siamo a uno snodo. Riascoltiamolo: "Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: "Volete andarvene anche voi?"". Non possiamo non riconoscerlo: la fede, ancora più oggi, è una scelta. Non voglio dire che non lo sia stata in passato. Ma in passato era come sospinta, da una forza di trascinamento, da tradizioni e circostanze esteriori. Che oggi non si danno più. Come ai tempi di Gesù assistiamo a un rarefarsi delle presenze: qualcuno va denunciando accorato le chiese vuote. E ciò apre riflessioni che solo sfioro. Giorni fa un articolo di un teologo si apriva con questa domanda: "Vale ancora la pena di annunciare il vangelo?".

Voi che cosa dite? Al di là delle declamazioni verbali, facili e scontate. Vale la pena? Chi è per me Gesù? E che cosa sono per me i suoi geti e le sue parole? Oggi non posso più rifugiarmi dietro la folla, non c'è più la folla. Io, i gesti di Gesù, li sento come gesti imperdibili, le sue parole come parole imperdibili, come fonte di scrittura imperdibile per la mia vita? Mi ha colpito nel racconto di Giovanni come il ritrarsi o il seguire Gesù sia legato al colore che tu dai alle sue parola. Per quelli che si ritraggono è una parola "dura", per quelli che, come Pietro, rimangono è una parola "di vita". Gesù a coloro che stavano per ritrarsi aveva detto - ed è bellissimo - "le mie parole sono spirito e vita". Spirito e vita: le abita un soffio, come spirito - trovi un respiro -, una brezza che investe la vita.

E quando dico vita, dico una cosa concreta: parole che mi accendono pensieri, immaginazioni, sentimenti e cuore. Mi accendono la vita. Certo sono parole che hanno anche un prezzo, una fatica; parole abitate da squarci di follia. Ma ogni amore, se è vero - ce lo diciamo spesso - porta con sè uno squarcio di follia. Christian Bobin, scrittore e poeta francese, in un suo libro "L'uomo che cammina" - Gesù, l'uomo che cammina - scrive che non c'è alternativa, o la parola folle del vangelo o la parola vana: "Cos'è parlare? Cos'è amare? Come credere e come non credere? Forse non abbiamo avuto altra scelta che tra una parola folle e una parola vana". Che cosa diventa - ditemi che cosa diventa - il cristianesimo se lo riconduciamo a parole piatte, scolorite, vane? E che discepolo sono io, se non mi accende, nemmeno di un minimo, la passione, che deve aver acceso gli occhi di Pietro, quando rispose: "Tu solo hai parole di vita eterna"? E voleva dire: "parole vive, vive sempre, vive per sempre".

Immaginate i suoi occhi. Vale ancora la pena di annunciare il vangelo? Si, se non lo scoloriamo di ogni bellezza e follia. E a questo punto - e finisco - vorrei confidarvi una domanda che mi è rimasta nel cuore a proposito di chiese sempre più vuote. Siamo così sicuri che qualcuno, o forse molti, non se ne siano andati per scolorimento della parole di Gesù, per mancanza di immaginazione? Che se ne siano andati donne e uomini in cerca di gesti e parole che custodissero un respiro più ampio, squarci di luce, di bellezza, di poesia. Scrive Christian Bobin: "Ho trovato Dio nelle pozzanghere d'acqua, nel profumo del caprifoglio, nella purezza di certi libri e persino in certi atei. Non l'ho quasi mai trovato presso coloro il cui mestiere consiste nel parlarne".

Parole che bussano a me, che di Dio parlo tanto.

 

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