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TESTO Nessuno osi infangare il suo nome

don Angelo Casati  

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III domenica dopo Pentecoste (Anno C) (26/06/2022)

Vangelo: Mt 1,20b-24b Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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20Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 21ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».

22Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:

23Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio:

a lui sarà dato il nome di Emmanuele,

che significa Dio con noi. 24Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa;

Siamo ai primi capitoli della Bibbia, ma gli esegeti ci avvertono che queste pagine vennero raccolte dopo una parte cospicua di eventi narrati nella Bibbia. E dunque rimane una curiosità: perché si sentì il bisogno di raccogliere questi racconti? Forse perché non poteva essere sottaciuta una domanda: "Da dove il male se la creazione canta la bontà e la bellezza?". Quindi l'intento non è quello di fare una cronistoria né di dare interpretazioni scientifiche. Ma di aprire scorci di sapienza, radunando tradizioni e racconti. Racconti. E i racconti - voi lo sapete - non danno definizioni, danno suggestioni, rimandano domande. E purtroppo possono, talvolta, lasciare spazi anche a fraintendimenti. E questo - dobbiamo riconoscerlo - è un testo che, non solo nella sua interpretazione, ma anche nell'immaginario, ha aperto voragini di fraintendimenti.

A cominciare da Eva. Lasciate che io inizi da lei, forse per un desiderio - ma chi sono poi io? - di difendere Eva: difenderla da tutto ciò che malauguratamente e dissennatamente è stato associato al suo nome. Non so se a qualcuno di voi - a me sì - risuoni nella memoria un epiteto volgare che infangava il suo nome. Tra l'altro voi vi siete accorti che la donna per tutto il nostro racconto è una donna senza nome. Il nome lo inventò per lei l'uomo, dopo tutto quello che era successo quel giorno; "L'uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi". Stupendo: "Eva, - o forse meglio, "Vita" - la madre di tutti i viventi". E quindi anche mia madre. Non osate sporcare il suo nome, è mia madre. Chi lo sporca, certo non ha capito. Scrive di lei una teologa italiana, Cristina Simonelli: "Ci siamo riempiti di stereotipi perché non abbiamo capito Eva. C'è una donna nella nostra memoria collettiva. Di lei siamo convinti di sapere tutto, come se fossimo in possesso di una scheda dell'anagrafe o di quei profili professionali che, un giorno sì e uno no, invadono la nostra posta.

Nome: Eva. Stato civile: coniugata con tale Adamo. Professione: casalinga, a tempo perso raccoglitrice di mele. Caratteristiche: causa di tanti guai, per il marito e per tutti". Vorrei difendere Eva anche dall'immagine abusata di una donna seduttrice. Non è che il dialogo tra lei e il serpente si sia svolto in un luogo appartato. Tutto in pieno sole. L'uomo accanto. Tra l'altro lei sola all'inizio a replicare al serpente. Dopo, è scritto: "prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò". L'uomo era con lei. Nessuna seduzione. Dobbiamo riconoscere che a violare il nome e la memoria di Eva già ci provarono scritti cristiani dei primi secoli. Vi risparmio in che termini: causa dell'umana perdizione e, addirittura, causa della morte di Gesù, secondo Tertulliano. C'è da inorridire. Chiaro che vorremmo sottrarre Eva a questo perverso linciaggio. Che non è il linguaggio del racconto.

Il racconto, che non risparmia di certo le accuse, né vela l'esito amaro di una scelta, non cede però all'ingiuria, anzi lascia trasparire qua e là tracce di tenerezze. Non chiude implacabile; ma silenziosamente apre a un futuro se pur con fatiche; non mancano frammenti di pietà. Chiude con una parola, ora tenera, dell'uomo per la sua donna: "Tu sei vita!". L'intento del brano sembra essere quello di farci uscire dalla visione di una innocenza ingenua, inattaccabile: uomo e donna fanno i conti con la loro finitudine, con la loro fragilità. Si affacciano desideri - il frutto era "desiderabile" -. E a noi tocca scegliere dove andare. "Dove sei?": è la domanda di Dio all'uomo. Dove sono io? E dove porta la scelta di voler essere come Dio? "Sarete come Dio". Mi chiedo se il racconto non vorrà dirci anche questo: che la smemoratezza della nostra finitudine, questo delirio di onnipotenza, questo rifiuto della nostra nudità originaria - "essere come Dio! - non può che condurci a devastazioni della vita: in noi, nel mondo, sulla terra.

Leggiamo il racconto ed è come se assistessimo tristi all'accadere della disarmonia, un attentato all'umanità. A volte dimentichiamo che la parola "umanità", da "homo", è legata stretta alla parola "humus" che ricorda terra, terra umida, ma fertile. E dopo tutto "Adamo" nell'antica lingua non significa forse "il terroso", il fatto di terra? Terra che può essere inumidita e diventare fertile. Ho sostato sulla pagina della Genesi, penalizzando quella di Matteo. Vorrei ora unirle in extremis con un raccordo che sa di azzardo. A colpirmi nel brano della Genesi, sino all'affaccio delle ultime parole di Adamo, era un clima, un clima di sospetto, di diffidenza. Che tocca anche Dio: "Ma poi, lui vuole veramente il nostro bene?". Sospetti e diffidenza, a dilagare. Anche oggi. Vengo al vangelo.

Peccato che il racconto sia stato tagliato del suo incipit, anche perché I versetti che precedono potrebbero alludere - so che fantastico - a un clima di paese. Eccoli: "Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore". Giuseppe, quella sera, era andato a dormire. Pensate al subbuglio che gli era rimasto nel cuore, dopo le parole di Maria. Lui la amava, già marito e moglie per i protocolli.

Ma non era tanto per i protocolli. Di una come lei come non ci si poteva innamorare e pensarsi insieme per una vita? Rimuginava strade. Poi l'angelo. Che fosse tutto vero a lui lo avevano detto, da prima dell'angelo, quegli occhi. Ma Immaginate nel piccolo paese, dove per meschinità si contano i giorni e i conti non tornano, diffidenze e sospetti, il chiacchiericcio, di cui parla spesso papa Francesco. E Giuseppe? Hanno tagliato anche l'ultimo versetto: "prese con sé la sua sposa". Non vince lo squallore della diffidenza. Vince la fiducia.

La fiducia che è humus, genera vita.

 

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