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TESTO Non proprio il Dio che ti immagini...

don Alberto Brignoli   Amici di Pongo

XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (26/06/2022)

Vangelo: Lc 9,51-62 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,51-62

51Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme 52e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. 53Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. 54Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». 55Si voltò e li rimproverò. 56E si misero in cammino verso un altro villaggio.

57Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». 58E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». 59A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». 60Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». 61Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». 62Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio».

Che Dio non sia come lo vogliamo o lo pensiamo noi, su questo non ci piove. Ma che a noi questa cosa stia bene, non è poi così vero. Spesso, infatti, abbiamo in mente un'immagine di Dio che non necessariamente è cattiva o poco rispettosa di lui; tuttavia, non corrisponde a ciò che egli è. E di conseguenza, anche le nostre scelte di vita e i nostri comportamenti risentono di questa immagine “distorta” di Dio, per cui abbiamo necessità che, in continuazione, il Signore ci riconduca a vedere in lui “l'unico nostro bene”, come preghiamo oggi nel salmo responsoriale.

È terminato da un mese, ormai, il Tempo Pasquale; sono terminate anche le grandi Solennità del Mistero di Dio in Gesù Cristo; e il Tempo Ordinario, nel suo cammino domenicale, esordisce oggi con questo tema: che idea abbiamo, noi, di Dio e, nello specifico, di Gesù di Nazaret? E di conseguenza, cosa significa, per noi, intraprendere il nostro cammino dietro a lui, che si mette in cammino verso Gerusalemme - dove “sarebbe stato elevato in alto” - e lo fa in maniera “fermamente decisa”?

Sono proprio queste espressioni utilizzate da Luca all'inizio del brano di Vangelo di oggi ad aiutarci a comprendere qualcosa in più di Gesù Cristo, il figlio di Dio, il Messia. Pochi attimi prima di questo episodio del Vangelo, sempre al capitolo 9 di Luca, Gesù aveva compiuto uno dei gesti più clamorosi tra i molti da lui compiuti: si era trasfigurato davanti a tre dei suoi discepoli ed era apparso insieme a Mosè ed Elia che parlavano con lui di come avrebbe portato a compimento la sua missione a Gerusalemme. I tre discepoli non compresero appieno ciò che era avvenuto: ma di certo, hanno capito di trovarsi di fronte a un personaggio importante, e hanno iniziato a pensare che la sua marcia verso Gerusalemme mirasse a qualcosa di fondamentale per il pio israelita di quel tempo, ossia, reinstaurare il Regno d'Israele miseramente crollato sotto le molte dominazioni subite dal popolo eletto. E per fare questo, occorreva la tanto attesa figura del Messia, che Gesù incarnava perfettamente con le sue parole e soprattutto i suoi prodigi.

Ecco allora che quando Gesù “prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme”, dove “sarebbe stato elevato in alto”, i suoi più stretti collaboratori, i Dodici, pensarono che fosse giunto il tanto atteso momento della rinascita del Regno d'Israele. Come, neppure loro lo sapevano: qualcuno pensava a una lotta armata (Giuda Iscariota e Simone lo Zelota certamente erano di quest'avviso), qualcun altro a una presa di potere basata sulla forza dei segni che egli compiva, oppure delle parole profetiche che pronunciava alle folle. Ma Gesù sapeva bene che cosa significasse quell' “essere elevato in alto” a cui era atteso in Gerusalemme: non era certo l'altezza di un trono, o meglio, si trattava, sì, di un trono, ma del trono della croce. L'immagine che i discepoli hanno di Gesù non è certo quella che lui era venuto ad annunciare.

Tant'è vero che, quando entrano in un villaggio di samaritani per avvisare che stava per passare di là il Messia, diretto a Gerusalemme a ricreare il Regno d'Israele, gli abitanti di quel villaggio lo respingono, perché i samaritani non credevano e non accettavano la figura di un re che tornasse a inglobare pure loro in questo regno, del quale non si erano mai sentiti parte. Fosse stato per Giovanni e Giacomo (che tra l'altro erano stati presenti alla trasfigurazione), avrebbero già iniziato a mettere le basi per il nuovo Regno: iniziare a eliminare i popoli ribelli e avversari con il metodo dello sterminio, giusto perché capissero con quale Messia avessero a che fare. Peccato che a non capire fossero proprio loro due, e a questo punto Gesù interviene con un rimprovero che ha lo stesso tono (e anche lo stesso verbo) da lui usato per scacciare i demoni: chi la pensa in questo modo - vuol dire loro Gesù - è mio avversario, è contrario all'idea di Regno di Dio che io voglio inaugurare.

Gesù, infatti, va a Gerusalemme “con ferma decisione”: l'espressione andrebbe tradotta con “a muso duro”, ossia “opposto in maniera risoluta” a Gerusalemme e a tutto ciò che la Città Santa rappresentava, cioè il centro del potere politico e religioso. No, per Gesù essere Messia non significa nulla di tutto ciò: il suo Regno lo porterà in alto, come abbiamo visto, sul trono di legno della croce, e questa non è certo la logica o l'immagine di Messia che tutti - discepoli compresi - si attendevano da lui. E allora, meglio mettere in chiaro le cose anche con chi chiede di seguirlo (o con chi lui stesso chiama a farlo): non sono quel Messia che avete in testa.

Non pensiate che vada a costruirmi o a occupare un palazzo del potere, perché se le volpi e gli uccelli (considerati allora animali inutili e dannosi) hanno almeno un luogo dove rifugiarsi, io sono più “inutile” di loro, perché non ho neppure la preoccupazione di avere un luogo dove abitare, men che meno un palazzo in cui regnare o una poltrona comoda su cui piazzarmi.

Non pensiate di mettervi insieme a uno che guarda al passato e alla tradizione come luogo sicuro in cui rifugiarsi: il passato è passato, occorre guardare avanti, e lasciare “che i morti seppelliscano i loro morti”, perché la logica del Regno di Dio non è quella di rimanere fedeli al passato, a ciò che è già stato fatto, al “abbiamo sempre fatto così”, ai modelli standardizzati di società e di chiesa, ma di mettere mano all'aratro e continuare ad arare senza voltarsi, senza tentennamenti, senza la preoccupazione di avere certezze a cui rimanere ancorati in caso di insuccesso.

Essere adatti al Regno di Dio significa guardare sempre avanti, significa avere il futuro nel cuore, significa credere nel Dio della Speranza, e non nel Dio della nostalgia; nel Dio dell'imprevisto e dell'impensabile, e non nel Dio del calcolo e del preventivo; nel Dio della precarietà, del dialogo, della tenda e del cammino, e non nel Dio delle verità assolute, dei valori non negoziabili, dei modelli tradizionali, del palazzo e della poltrona.

Il Dio di Gesù Cristo non è proprio così come lo pensiamo e lo vogliamo noi: per cui, visto che il cammino è appena iniziato, prendiamone atto in tutte le scelte che facciamo e in tutte le cose che diciamo.

 

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