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TESTO Vado in cielo di continuo

don Angelo Casati  

II domenica dopo Pentecoste (Anno C) (19/06/2022)

Vangelo: Mt 6,25-33 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 6,25-33

25Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? 26Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? 27E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? 28E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. 29Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 30Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? 31Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. 32Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. 33Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.

Devo premettere che nel mio commento andrò ricucendo frammenti. Forse dovrei dare spazio ad altro, altri pensieri, altri orizzonti, ma sono diventato ormai un uomo di frammenti:, mi appartiene la parzialità e la discontinuità del commento, io stesso piccolo frammento. Piccolo frammento anche di fronte alle domande che oggi si affacciavano e poi si rincorrevano impetuose nella pagina del Siracide: "Che cos'è l'uomo? A che cosa può servire? Qual è il suo bene e qual è il suo male? Quanto al numero dei giorni dell'uomo, cento anni sono già molti. Come una goccia d'acqua nel mare e un granello di sabbia, così questi pochi anni in un giorno dell'eternità".

Forse ci sono giorni o stagioni o situazioni in cui in modo particolare, quasi immediato senti tua, ti si appiglia, l'immagine di una goccia dì acqua nel mare o del granello di sabbia del deserto. Ti senti poco, ti senti piccolo, piccolo e rallentato Ed ecco a commuovermi la conseguenza che ne trae il Signore. Sentite: "Per questo il Signore è paziente verso di loro ed effonde su di loro la sua misericordia. Vede e sa che la loro sorte è penosa, perciò abbonda nel perdono. La misericordia dell'uomo riguarda il suo prossimo, la misericordia del Signore ogni essere vivente". A fronte della piccolezza, della pochezza, del rallentamento, non lo scarto, ma la misericordia: mi sento sfiorare, ci sentiamo sfiorati, da uno sguardo intenerito. E nel testo - sottolineatura non da poco - la differenza tra noi e Dio. Noi abitualmente, forse non sempre, siamo misericordiosi, teneri, con coloro che ci sono vicini; Dio con ogni essere vivente: "La misericordia dell'uomo riguarda il suo prossimo, la misericordia del Signore ogni essere vivente". Vorrei però sostare, piccolo frammento, su una certa vena di pessimismo - o è realismo disincantato? - che mi è parso di leggere tra riga e riga nella pagina del Siracide. Ho letto: "Non c'è nulla da togliere e nulla da aggiungere, non è possibile scoprire le meraviglie del Signore".

Perdonate, sono al di là di ogni legittima interpretazione, ma mi sono chiesto se non può a volte capitare che le parole ci sfuggano e vadano oltre. E non potrebbe essere capitato anche al Siracide, di certo uno dei più fascinosi sapienti del suo tempo, che, molto sicuro di sé, perentorio, sembra dire: "Prendetevela come volete, ma le meraviglie del Signore non si possono scoprire". E poco dopo - guarda un po' - lui stesso racconta la meraviglia delle meraviglie, la misericordia del Signore. So che gli esegeti vi diranno altro. Un pensiero fuori coro, per dirmi, e per dirvi, che a maggior ragione le mie, le nostre, parole, possono essere a volte parole che sfuggono. Qui però trovo aggancio a un altro frammento o ad altri frammenti del vangelo. Quasi in controtendenza Gesù invita a guardare le meraviglie di Dio. E dove? Nella creazione. Il contesto a prima vista potrebbe sembrare paradossale perché, Gesù sta parlando di cose di cui pure dobbiamo occuparci, essenziali, per le quali spesso ci prende ansia e preoccupazione: pane, acqua, vestiti. Ciò di cui abbiamo bisogno. E sentirne bisogno, per noi e per gli altri, è umano, drammaticamente umano. Gesù non intende certo disconoscere il bisogno, tant'è che lui stesso dice: "Il Padre sa che ne avete bisogno". E non solo noi, tutti. Oggi poi, con una evidenza ruvida ci si affaccia il pensiero del grano e rimaniamo allibiti e dolenti dietro immagini di un grano fatto prigioniero, imprigionato come gli umani, in porti minati.

La proposta di Gesù in prima battuta ha dell'incredibile: a fronte della minaccia ai beni essenziali della vita, invita a guardare gli uccelli dell'aria, a osservare i gigli del campo, le erbe dei prati. Ma non è ingenua evasione? E la poesia di queste parole non potrebbe sfociare in un ingannevole disincanto? No, sembra dire Gesù: se cogli il canto segreto delle cose, il loro bisbigliare lieve, il crepitio che le anima, sei a un passo per riconoscere la presenza accanto a noi di un Dio, non estraneo, un Dio che si occupa. E con questa luce nel cuore non ti lascerai invelenire l'anima da rimpianti o lamenti o da pressioni per fughe. Rientrerai nella vita quotidiana, schiena dritta, occhi alzati, mani aperte e non arrese. Gesù sembra rilanciare lo sguardo alla natura come un rimedio contro il pericolo di andarcene occhi bassi, pensieri bassi e basso anche il cuore. Accade quando subiamo occupazione dentro. Ultimo frammento. Voi sapete quanto prezioso sia, nella nostra tradizione cristiana, l'invito a onorare la domenica, con l'eucarestia nelle chiese cattoliche, con la divina liturgia nelle chiese ortodosse, con il culto nelle chiese riformate. Ma non sarà che in parte abbiamo disatteso l'invito a celebrare la domenica anche nel creato? Ricordo che nel passato spesso ci veniva detto che le cose alla fin fine ci svuotano, di conseguenza vai a fare un pieno nella preghiera. Poi ti svuoti, e vai a fare il pieno, e così via. Ebbene c'era qualcosa che non mi convinceva. E perché non fare in modo che le cose non ti svuotino, ma ti colmino? Non è forse questa l'arte? L'arte di Gesù: le cose non lo espropriavano, lo colmavano. E ci insegna l'arte: "Guardate, osservate...".

Ascolta il grande racconto della eucaristia e insieme il grande racconto della creazione. Giorni fa, in una sua intervista, un giovane amico mi ha regalato una citazione di Emily Dickinson. Non vorrei che qualcuno si scandalizzasse: la sua poesia non è mai aggressiva, se mai cede a dolce ironia. Può anche accadere che le liturgie scoloriscano. Lei in dolce ironia mette a confronto un culto scolorito e la celebrazione delle piccole cose. "C'è chi onora la domenica andando in chiesa/ io la onoro standomene a casa/ con un bobolinco per corista/ e per cupola un frutteto.// C'è chi onora la domenica con la cotta/ io metto le ali soltanto/ e invece di suonare le campane per la chiesa/ il nostro piccolo sagrestano - canta.// A predicare è Dio, rinomato pastore/ e il sermone non si dilunga mai,/ così invece di andare in cielo alla fine/ ci vado di continuo."

Ho sorriso, voi onorate la domenica venendo qui, ed è bello; ma so che poi la onorate, come Francesco di Assisi, nel grande racconto della creazione.

 

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