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TESTO Il pane, le mani, la mensa

don Mario Simula  

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Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno C) (19/06/2022)

Vangelo: Lc 9,11-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,11-17

11Ma le folle vennero a saperlo e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.

12Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». 13Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». 14C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». 15Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 16Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 17Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

“Lo riconobbero allo spezzare del pane”.
Il pane è il modo di comunicare di tutti. Prepararlo richiede fantasia, mani, cura, consapevolezza che altri ne mangeranno. E' un'arte di amore, di creatività, di servizio e di dono.
Occorrono le mani sapienti e duttili della donna di casa che sa andare oltre l'attività materiale. Mette in gioco tutto l'amore, l'affetto verso la famiglia, il bisogno di condivisione.
Il forno, messo nella parte sacra della casa e accessibile soltanto alle “donne del pane”, profuma di qualcosa di familiare e di indispensabile.
Lo sanno anche i bambini che sperimentano, a distanza e con desiderio irresistibile, il sapore di casa e di amore.
La liturgia del pane ha qualcosa di misterioso. Le donne si trovano insieme alle prime ore del giorno, quando è ancora buio. Attendono insieme il compimento della fermentazione. E' venuto finalmente il momento per mettere a frutto la creatività delle forme da dare al pane: bellezza oltre che cibo, arte oltre che nutrimento.
Inizia la processione e la cura per sistemare il forno. Quella temperatura. Una pulizia rigorosa che, per primo, è il fuoco stesso ad assicurare. La scopa di frasche di lentischio. Intanto nascono le qualità del pane. Le più diverse, a seconda della destinazione di questo cibo di ogni giorno. C'è il pane quotidiano, quello da conservare per una settimana, quello che gli uomini portano con sé, pezzo dopo pezzo, “poco e saporito pane”, al posto di lavoro, per avere sempre davanti agli occhi e nei sensi il gusto del pane e dell'acqua.
Il pane così prezioso da rappresentare e da diventare la prima e più urgente richiesta dei poveri, all'uscio di casa.
Quella sera di Gesù e dei suoi amici era una sera speciale. La sera del pane. Una sorta di memoria eterna di amicizia condivisa.
Era la vigilia della croce. Era la vigilia dell'offerta di se stesso da parte del Signore. Si celebrava, attraverso un segno familiare e consueto, quello che al venerdì sarebbe stato vissuto in modo visibile, cruento, doloroso.
Gesù prese il pane, lo spezzo e lo diede “a tutti”, anche al traditore, anche ai rinnegatori e ai fuggiaschi, anche ai paurosi, ancora lontani dalla gioia di un dono di sé definitivo.
Lo da anche a noi che non abbiamo capito niente dell'amore e che continuiamo a tenere l'amore del Maestro nello scrigno di un ricordo vago, invece di farlo diventare “memoriale”, esperienza vissuta e reale della comunità che non può e non deve scordare l'Amore sino alla fine del mondo, quando il Risorto verrà.
Gesù ha unito il “segno” ad una consegna precisa che conteneva, nella dolcezza del pane, un amore perenne: “Prendete, mangiatene tutti: questo è il mio corpo. Mangiatene sempre. Lo dovete fare in memoria di me. Perché rimanga sempre con voi. Per essere sempre una cosa sola io e voi. Per trovare sempre “le impronte” della vostra appartenenza al mio amore”.
Da quel momento tutti se ne sarebbero nutriti. Insieme. Con fede incrollabile. Con una speranza in grado di incoraggiare ad ogni passo la nostra vita faticosa e provata. Con una carità che avrebbe e dovrebbe ogni giorno dare corpo ad una comunione che niente può sgretolare. Nemmeno il peccato.
Senza dimenticare l'attenzione indispensabile che spesso non sfiora la nostra ingordigia di possesso: che l'ultimo pane è per chi ha fame!
Non poteva essere immaginato un diverso spunto di tenerezza: più sublime, più dolce, più affettuoso, più coinvolgente.
Il Vangelo arriva alla mensa eucaristica e alla condivisione, raccontando della fame della gente e di come cinque pani e due pesci sono sufficienti a sfamare tutti “finché ne vollero, fino a dover raccogliere dodici ceste” di pane non consumato.
Ci voleva un bambino per arrivare al miracolo. Il bambino è piccolo nel cuore e nella malizia e sa vivere anche il miracolo come un gioco interminabile.
Su quel luogo fresco di beatitudine, affollato di gente l'Eucaristia si rivela come la manifestazione della con-vivialità di Dio. Dio vive con noi, alla stessa mensa, nello scambio degli stessi sguardi, nella stessa condivisione. Lui sa bene che i doni appartengono a tutti. Ogni bocca affamata è una bestemmia. E' anche un urlo a Dio perché moltiplichi il “pane di ogni giorno” e ci permetta di condividerlo amandoci incondizionatamente.
Alle nostre comunità non manca il Pane disceso dal cielo. Manca il pane della condivisione e dell'amore. Manca, la gioia di stare insieme. Manca il desiderio immenso di dire a tutti il miracolo della vigilia della passione. Manca la sincerità di chi, sapendo che il fratello ha qualcosa contro di lui, lascia la sua offerta ai piedi dell'altare e corre a riconciliarsi.
Non è possibile mangiare l'Amore e non vivere l'Amore. Sarebbe come se il polline che il vento trasporta, non trovasse il fiore sul quale depositarsi e portare frutto.
Mi accosto al Signore che mi nutre di se stesso con umiltà, con decoro, con semplicità, senza esteriori fosforescenze. Mi avvicino con la luce del mio cuore che riscalda, consola, fa compagnia, dà fiducia e gioia.

Gesù, sono innumerevoli le cene vissute con te, durante le quali mi hai invitato a prendere il Pane e a mangiarlo. Io l'ho fatto. Con labbra impure, con mani sporche, con intenzioni ambigue, con esteriorità e senza cuore.
Mi sono trovato appagato non dal sapore del Pane di vita, ma dall'ostentazione di esteriori spettacoli, odoranti incenso, splendenti di luce artificiale, risuonanti di canti sguaiati, pieni di preghiere e di poco amore, preghiere interminabili senza senso e senza vibrazioni. Amplificate da megafoni verbali e non dal calore irresistibile dell'amore.
Gesù, quante volte ai piedi dell'altare sono stato un distributore automatico che pensava di più al fratello o alla sorella sui quali consumare un rancore sopito e rimandato all'occasione giusta.
Gesù, aiutami a ritrovare il clima del giovedì santo. Giovedì delle confidenze, delle rivelazioni anche scomode, delle fughe nella notte. Quando era buio attorno a me e dentro di me.
Gesù, non ho mai provato paura della dolcezza di quell'ora. La mia paura è stata sempre l'incubo del venerdì, della passione, dei flagelli, della croce, della terra mangiata ad ogni caduta, come pane amaro.
L'incubo è stato sempre il pensiero della morte soffocata nel sangue e ridondante di amore.
Gesù ho avuto sempre terrore delle tue parole di vita: “Padre, perché mi hai abbandonato. Padre, perdona loro. Figlio ecco tua madre. Fratello di strada oggi sarai con me nel paradiso. Ho sete”.
Gesù forse ho sempre avuto paura del rantolo, della morte incombente.
Eppure, Gesù, ho la certezza della tua promessa: “Risorgerai con me, dopo tre giorni”.
Gesù, insegnami a contemplare, ad ogni eucaristia che celebro, il tuo volto pasquale, il tuo amore esigente, la tua presenza in tutti coloro che incontro. Insieme con loro e soltanto così posso scoprire l'Amore.

 

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