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TESTO Accoglienza, condivisione e dono

padre Gian Franco Scarpitta  

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Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno C) (19/06/2022)

Vangelo: Lc 9,11-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,11-17

11Ma le folle vennero a saperlo e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.

12Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». 13Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». 14C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». 15Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 16Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 17Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Nella descrizione di questo brano evangelico non devono sfuggire due atteggiamenti di Gesù nei riguardi della folla: accoglienza e condivisione. Gesù in effetti per prima cosa supera l'isolamento, sebbene questo sia stato appositamente procurato per il sollievo suo e degli apostoli, elude l'imbarazzo di dover rinunciare al legittimo riposo solitario e viene incontro alle folle che sopraggiungono a Betzaida da ogni luogo per sostare davanti a lui. Il suo atteggiamento è di apertura, solidarietà e compassione per tutti coloro che avvertono di non poter fare a meno della parola orientativa di verità e del conforto che ad essa consegue. Cioè della Parola di divina provenienza.

Gesù, che già incarnandosi ha fatto propria l'esperienza dell'uomo condividendone tutti gli aspetti, accoglie con un solo atto di presenza la moltitudine e parimenti ogni singolo uomo, che viene avvinto e affascinato dalla sua parola e dal suo messaggio. Condivide ansie, problemi, aspettative e desideri di questa umanità, rappresentata dal concorso della folla che adesso ha di fronte. E condivide anche lo stato di malessere fisico che la fame procura, visto che tutta quella gente trascura la propria necessità neurovegetativa. Da uomo come tanti altri, Gesù deve aver fatto esperienza della fame e comprende il disagio di tutta quella turba di popolo, che è stata talmente avvinta dai suoi insegnamenti da trascurare di dover provvedere al proprio sostentamento. E sui prati lussureggianti d'erba avviene il famosissimo miracolo. Secondo parecchi commentatori, non si tratta di “moltiplicazione” dei pani, ma di condivisione. Certo, che da pochissimi pani e pesci scaturisca prodigiosamente cibo per un popolo stimato sui cinquemila uomini, è indubbio: anche per Giovanni come per Marco Gesù è in grado di provvedere alla fame fisica di tanta gente. Cionondimeno, si più che di moltiplicazione si tratta di condivisione, compartecipazione del poco che si possiede e che viene messo a disposizione di tutti perché tutti possa soddisfare.

Del resto analogie di condivisione in tal senso si trovano anche in Elia, che aiuta la vedova di Sarepta ricavando da pochissima farina e da pochissimo olio cibo a sufficienza per lui medesimo, per lei e per il suo figlioletto (1Re 17, 7 - 24); come pure in Eliseo, che con venti pani d'orzo sfama cento persone (2Re 4, 43 -44). E' insomma per lo zelo di condivisione che Dio opera il prodigio con cui si estingue la fame di un'intera turba di persone, superando la diffusa concezione del “ciascuno si arrangi” che è proprio della prassi dei nostri giorni e che i discepoli ribadiscono secondo esortazioni consuete: “Congedali perché vadano nei villaggi a comprarsi da mangiare”.

Quella che realizza Gesù però è anche donazione. Donazione di sé, ancor prima che del pane e del pesce. L'espressione “date voi stessi da mangiare” invita i discepoli a non soccombere alla comune mentalità sopraricordata provvedere ciascuno a se stesso come può, ma piuttosto a donare a tutta quella gente lo stesso Signore, la sua parola e la speranza che in essa è racchiusa. L'invito è quindi in primo luogo a non vanificare l'ascolto che le oltre cinquemila persone hanno prestato nei suoi confronti, ma a diffondere in loro quanto Gesù ha appena detto e insegnato, unitamente alla fede in lui come Messia e Salvatore. Il tutto viene poi suggellato con la suddivisione (condivisione) di quel pochissimo pane e pesce che supera i fabbisogni fisici degli astanti. Oltre che soddisfare un fabbisogno fisico Gesù realizza di concedere se stesso alla folla sia in questa circostanza, sia in quella futura “fino alla fine del mondo”. Già gli atti di “benedire, spezzare e distribuire” sono propri del padre di famiglia che in tal modo ripartisce se stesso alla sua comunità familiare; Gesù li ripeterà in quella famosa Cena preventiva alla sua passione, quando lo spezzare e il distribuire si accompagneranno alle parole “Questo è il mio Corpo”, “Questo è il calice del mio Sangue” nelle quali si afferma che da quella volta in poi la sostanza del pane si trasforma in quella del suo stesso Corpo e quella del vino diventa sostanza del sangue, lo stesso che poi verserà sulla croce per la salvezza di tutti. Mangiare la mensa eucaristica vuol dire quindi assumere lo stesso Signore Gesù Cristo che fa dono di sé ogni volta che si celebra il “memoriale” della sua morte e risurrezione, nel quale si ripresenta quanto avvenuto una volta sola sul Golgota: Gesù è presente nel pane e nel vino e ci fa assistere al suo sacrificio. Il Redentore che ha donato se stesso una volta per sempre sul luogo del Cranio, che con il suo Sangue ha donato se stesso all'umanità pagando il nostro prezzo, ad ogni celebrazione eucaristica attualizza la sua presenza da morto e da risorto donandosi costantemente a tutti e a ciascuno della sua comunità. Accoglienza e condivisione si perpetuano quindi nella celebrazione dell'Eucarestia poiché Cristo condivide se stesso, qualificandosi come “pane vivo disceso dal Cielo”(Gv 6, 58). Tale donazione non può non imprimere fruttuosamente nel singolo soggetto e nella comunità, che trae vantaggio, motivazione, slancio e intraprendenza dal pane eucaristico, motivando in esso ogni singola azione e giustificando ogni suo obiettivo. De Lubach affermava che “L'Eucarestia fa la chiesa e la Chiesa fa l'Eucarestia”. Il Corpo stesso di Cristo realizza la comunione e la missione in tutti coloro che se ne nutrono e rafforza la promessa di Gesù di essere presente con noi “fino alla fine del mondo” in ogni nostra singola azione; la comunità stessa, tuttavia, vivendo della comunione e della concordia, si raduna specialmente nel “giorno del Signore” per condividere la Parola e celebrare il Mistero di Gesù pane vivo. “Erano assidui all'insegnamento degli apostoli, alla comunione, alla frazione del pane e alla preghiera”(At 2, 42 - 47); cosi i discepoli dei primi tempi, cosi si auspica che siano i cristiani di tutti i tempi attorno alla Parola che viene spezzata e consumata per essere il dono di tutti.

 

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