TESTO “Guardare” il cielo, non “fissare” il cielo
don Alberto Brignoli Amici di Pongo
Ascensione del Signore (Anno C) (29/05/2022)
Vangelo: Lc 24,46-53
46e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni. 49Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
50Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. 51Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. 52Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia 53e stavano sempre nel tempio lodando Dio.
Gesù, dopo la sua Resurrezione, “si mostrò vivo ai suoi discepoli con molte prove”: la sua preoccupazione era quella di dare ai suoi discepoli delle “prove” di quella che non era certo stata una passeggiata né tantomeno una cosa facilmente comprensibile, ovvero la sua morte in croce e il suo ritorno alla vita. Fu talmente difficile vincere i loro dubbi e le loro diffidenze, che Gesù decise di ricorrere ancora una volta al “quaranta”, al numero del cammino del popolo d'Israele nel deserto e anche dell'inizio della sua missione, con i quaranta giorni passati nel deserto. Perché capisci la grandezza della Pasqua solo se accetti di affrontare il faticoso cammino nel deserto. Un deserto che è aridità, certo: ma è anche il luogo in cui Dio attraverso i profeti riportava il popolo alle origini della loro storia d'amore e parlava al suo cuore.
In quei quaranta giorni, Gesù parla ai discepoli del “Regno di Dio”. Tutto era iniziato con l'annuncio del Regno di Dio, tutto si conclude con l'inaugurazione del Regno di Dio: in mezzo, la vicenda esaltante e al tempo stesso drammatica di Gesù di Nazaret. E dei suoi discepoli insieme con lui: i quali, stiamo pure certi, di questo Regno di Dio han capito poco o nulla. Al punto che se ne escono con una domanda che per loro rappresentava la conclusione naturale di un cammino, ma agli occhi del Maestro suona come l'ennesima constatazione di ignoranza dei suoi amici più fedeli: “Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il Regno per Israele?”. E questo perché la maggior parte di loro aveva confuso l'idea del “Regno” con qualcosa di politico, con la riconquista della libertà perduta del popolo d'Israele a causa dell'invasione di Roma. Nonostante il tradimento di uno di loro, deluso perché il Regno di Dio di cui parlava Gesù non prevedeva la logica delle armi; nonostante i Romani, che di fronte al Maestro autoproclamatosi re davanti al pubblico ministero Pilato, non solo lo condannano a morte per sommossa e sedizione, ma si fanno beffa di lui con tanto di tunica, corona, trono, scettro e cartello “Re dei Giudei” sopra il trono. Eppure, i discepoli sono ancora lì a chiedere “Quando arriva il Regno di Dio?”.
Come facciamo noi, del resto, quando ci permettiamo di dire a Dio che dovrebbe mettere mano a ‘questo mondo, che dovrebbe intervenire con il pugno di ferro, che dovrebbe essere più efficace nel far capire la propria parola agli uomini, che dovrebbe una buona volta sistemare le cose senza che gli uomini si ammazzino tra di loro per un Regno che, tra l'altro, non è neppure il loro, se è vero (come lo è) che nessuno di noi ha creato dal nulla ciò che vede e che lo circonda.
Ma Gesù è chiaro: “Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti di Dio. A voi spetta la forza dello Spirito Santo, per essere miei testimoni fino agli estremi confini della terra”. Dopo di che, una nube lo sottrae allo sguardo dei discepoli. La nube, nella Bibbia, ha sempre la connotazione di qualcosa d'incomprensibile che avvolge di mistero il nostro rapporto con Dio. Segno anche della presenza di Dio con il suo popolo nel cammino di quarant'anni nel deserto, la nube ci indica che il Regno di Dio è già in mezzo a noi, anche se nella sua globalità, ci rimane ancora incomprensibile. Sarà anche incomprensibile, ma questo non ci autorizza a rimanere lì, imbambolati a fissare il cielo per avere una risposta.
“Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?”. Se quei due uomini in bianche vesti - che si presentarono così agli apostoli mentre guardavano Gesù salire in cielo - si rivolgessero così a noi oggi... beh, credo che la risposta non sarebbe affatto difficile: “Piuttosto che guardare alla terra, meglio guardare il cielo, vista la disperazione che c'è qui!”. E difatti, quante volte abbiamo guardato il cielo con un senso di speranza e di attesa. Il cielo bello come quello terso di queste mattine di primavera che ci anticipa il calore e la luce dell'estate, ma anche quello che improvvisamente si fa oscurare da quelle nubi dalle quali invochiamo una pioggia di cui abbiamo tremendamente bisogno.
Ma quante volte abbiamo anche guardato il cielo... così, senza un perché. Sarà per la nostalgia delle “cose di lassù”, anche solo per evitare di pensare a quelle “di quaggiù”, di cui ci siamo un po' stancati... Sarà perché guardare il cielo forse ci apre la mente e il cuore, ci aiuta ad avere degli orizzonti più ampi, a non morire tra le nostre quattro mura... Il problema, però, non è quello di stare lì a guardare il cielo, cosa legittima, sacrosanta, e pure gratificante. Il problema è quando noi, come gli apostoli quel giorno, stiamo lì “fissando il cielo”, come per inchiodarlo, come a volerlo bloccare, come a voler fermare lì quel momento perché bello, gratificante, pieno di struggente e calda nostalgia.
Eh, no: non funziona così! Vuoi guardare il cielo? Guardalo, ma non fissarlo. Guardalo, ma non fissarti su di esso. Guarda le cose del cielo, perché sicuramente ti allargano il cuore; ma non essere fissato con le cose del cielo, perché il cielo non si fissa, si guarda per ricevere forza dall'alto e poi si riparte decisi con lo sguardo a terra e le maniche rimboccate a costruire qui, oggi, quel Regno di Dio che spesso per comodità invochiamo dall'alto come un blocco monolitico che scenda e spiani tutto, ripartendo da capo.
No, così è troppo comodo: e soprattutto, non serve a nessuno. Abbiamo già le chiese piene di persone che se ne stanno incantate a fissare il cielo, le statue e i dipinti e a fissarsi con le cose del cielo reclinando il capo in segno di devozione. Dio ha bisogno di gente che guardi al cielo, che si riempia gli occhi, gli sguardi e il cuore di cielo, e che si metta a costruire qui, oggi, sulla terra, nella sua vita di ogni giorno, il Regno di Dio.