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TESTO Il cammino del pellegrino che si nutre di cielo

padre Antonio Rungi

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Ascensione del Signore (Anno C) (29/05/2022)

Vangelo: Lc 24,46-53 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 24,46-53

46e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni. 49Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».

50Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. 51Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. 52Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia 53e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

La solennità dell'Ascensione di Gesù al Cielo, che celebriamo oggi nella liturgia dell'ultima domenica di questo maggio 2022, segnato da tanti eventi drammatici, è un chiaro invito a tutti i cristiani e credenti di guardare al cielo, dove Cristo si è assiso alla destra del Padre, ma soprattutto di vivere del cielo e per il cielo.
L'Ascensione di Gesù al Cielo, ultima tappa del suo itinerario terreno, rimane strettamente unita alla prima, cioè alla discesa dal cielo realizzata mediante l'incarnazione nel grembo verginale di Maria.

Il vangelo di questa solennità ci offre una sintesi del contenuto biblico, teologico e dottrinale di questo mistero della fede cristiana.
Nel testo del Vangelo di Luca Gesù si rivolse ai suoi discepoli con queste parole «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni”. Gli apostoli vengono così edotti da Gesù sulla loro missione e su quello che dovranno realizzare, proprio con il lavoro apostolico. Infatti, dopo la sua ascensione al cielo, Gesù conferisce il mandato missionario ai suoi 11 discepoli. Un compito che espleteranno con l'assistenza del Padre e dello Spirito Santo.
Fatta questa precisazione preventiva, Gesù conduce i suoi discepoli fuori, “verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio”.

La descrizione dell'ascensione del Signore al cielo è così sintetizzata in poche parole, ma che hanno il tenore di un evento unico ed irripetibile. Gesù asceso al cielo, in Paradiso esercita il suo sacerdozio in permanenza, «essendo egli sempre vivo per intercedere» a favore di «quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio» (Eb 7,25).
Come «sommo Sacerdote dei beni futuri» (Eb 9,11), egli è il centro e l'attore principale della liturgia che si celebra in eterno davanti al Padre. E questo sacerdozio regale lo esercita dal suo posto, cioè da quella destra di Dio Padre, su cui simbolicamente va a sedersi, dopo l'attraversamento della storia in tempo reale e non virtuale stando in mezzo a noi per 33 anni, anche nella sua natura umana e nella sua corporeità.
Gesù Cristo quindi in cielo siede alla destra del Padre. E una volta accomodato in questo suo ufficio, posto e mansione Dio Padre gli diede potere, gloria e regno con la conseguenza che tutti i popoli, le nazioni e le lingue della terra lo serviranno, in quanto il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto» (Dn 7,14).

Con l'ascensione al cielo del Signore e intronizzazione dell'unico verso Re di tutti i tempi, gli Apostoli sono inviati ad essere testimoni del «regno che non avrà fine».
Da qui la missione della Chiesa di annunciare a tutte le creature l'infinito amore di Dio che vuole la salvezza di tutti gli uomini, i quali per avere uno sguardo, un pensiero e la mente rivolti al cielo, devono vivere di cielo, ovvero nella comunione con Dio, con i fratelli e con il creato intero. Non possono restare a fissare il cielo, senza poi operare con i propri piedi e le proprie mani, ovvero con tutta la loro persona su questa terra. Il cielo si deve fissare spesso e continuamente per pensare all'eternità, ma è doveroso volgere lo sguardo per terra, perché è sulla terra e camminando tra i non pochi ostali della vita terrena, che si costruisce giorno, dopo giorno, quella salvezza personale eterna. Cristo ci ha assicurato di donarci al termine del nostro pellegrinaggio quella beatitudine più volte detta nei suoi discorsi, nella misura in cui davvero viviamo il discepolato e lo applichiamo alla vita quotidiana. Guardare il cielo e vivere di cielo è stare perennemente nella gioia vera, nonostante il dolore e la morte dei propri cari segnano il passo del pellegrino stanco di camminare e bisognoso di fermarsi, dopo le tante cadute ed indecisioni che si sperimentano quando si guarda poco il cielo e molto alla terra e a tutto ciò che è terreno.

 

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