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TESTO Un Giovanni "cristocentrico" per il nostro Natale incipiente

padre Gian Franco Scarpitta  

III Domenica di Avvento (Anno B) - Gaudete (11/12/2005)

Vangelo: Gv 1,6-8.19-28 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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6Venne un uomo mandato da Dio:

il suo nome era Giovanni.

7Egli venne come testimone

per dare testimonianza alla luce,

perché tutti credessero per mezzo di lui.

8Non era lui la luce,

ma doveva dare testimonianza alla luce.

19Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». 20Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». 21Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. 22Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». 23Rispose:

«Io sono voce di uno che grida nel deserto:

Rendete diritta la via del Signore,

come disse il profeta Isaia».

24Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. 25Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». 26Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, 27colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». 28Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

Come già la scorsa Domenica, Giovanni ci invita alla conversione, cioè a comprendere che Dio presenzia nella nostra vita in modo ineffabile eppure certo e salvifico e ad aderire di conseguenza a Lui attraverso l'ascolto della sua Parola, il cambiamento delle nostre vedute, la trasformazione delle nostre abitudini e delle scelte per abbandonare i parametri del mondo e dell'umanità e orientarci verso Dio. Cambiare mentalità e atteggiamento personale, dopo aver preso coscienza che Dio è presente e vuole salvarci, conducendoci a sé: questo vuol dire conversione.

Senza di essa non può mai aver luogo l'ascolto della Parola e pertanto neppure la fede.

In assenza del presupposto di un cambiamento di intenti e di personali convinzioni che ci allontani dalle presunte altezzosità e onnipotenze dell'umano e ci orienti secondo il pensare di Dio qual è la conversione non potremo mai pretendere infatti di credere nel Signore e di riporre la nostra speranza in lui poiché di Lui non si sarà acquisita convinzione e per ciò stesso di Lui non si avrà fiducia, il tutto a nostro discapito e a danno della nostra tranquillità e stabilità interiore. Ed è per questo che il monito di Gesù sarà poi alquanto categorico: "Convertitevi e credete al Vangelo", in esso il Signore ci chiederà in primo luogo di trasformarci interiormente e singolarmente secondo l'accezione stessa del termine conversione che in greco suona con "metanoia" (=metamorfosi, trasformazione) che implica la trasformazione radicale dell'essere della persona e pertanto l'assunzione di nuovi parametri, in questo caso il cambiamento in vista di Dio.

Solo dopo tale processo ci si chiederà di credere al Vangelo, ossia di affidarci in tutto e per tutto alla buona notizia del Regno apportata da Cristo.

Ecco perché è importantissima l'opera di Giovanni che nel suo stesso stile di vita nonché nel battezzare tutti con acqua, invita alla conversione: egli intende predisporre cuore, mente, animo, status di ciascun uomo alla fede nel Signore Gesù, all'ascolto della sua Parola e alla sua sequela incondizionata. In modo particolare nella pagina evangelica di oggi, notiamo un Giovanni "teologico", più esattamente "cristocentrico", perché intento a riferire se stesso e condurre tutti quanti alla centralità del Cristo che verrà dopo di lui e che sin d'ora assume priorità su tutto.

Nella pagina evangelica odierna il Battista appare sulla scena in modo plastico, spettacolare e clamoroso (un po' alla stregua di un eroe televisivo) in seguito all'esaltazione del Verbo Incarnato costerno al Padre; lo si definisce "uomo mandato da Dio" come i profeti della vecchia concezione e si annuncia anche il suo nome che vuol dire "Dio ha misericordia". Tuttavia non gli si attribuisce superiorità alcuna nei confronti di Cristo e la sua comparsa non assume connotati di grandezza né carattere alcuno di preponderanza sul mondo; piuttosto la sua funzione è subordinata e vicaria, essendo egli mandatario di Dio del compito definito di "rendere testimonianza alla luce" ossia indicare a tutti Colui che conduce alla verità e alla vita vera essendo il Verbo eterno di Dio che si rende carne per entrare nella storie e divinizzarla.

In assenza di una fonte luminosa che ci orienti mentre al buio stiamo camminando verso un determinato luogo, procederemmo sempre a tentoni rischiando di urtare contro stipiti e corpi contundenti, rimediando ecchimosi e contusioni senza raggiungere di fatto il sito che ci interessa: analogamente senza la luce di Cristo non si può arrivare a Dio e familiarizzare con lui, poiché Cristo, Verbo del Padre si incarna ai fini di condurci al Padre attraverso un linguaggio del tutto umano e comprensibile.

Proprio come adesso Giovanni rende testimonianza della luce, Gesù affermerà di essere venuto a rendere testimonianza alla verità" (Gv 18, 37) e questo rende ancora più, marcata l'idea della necessità del Battista in rapporto alla conversione in vista dell'accoglienza del Salvatore.

Accompagnati e spronati dal Battista, anche noi comprendiamo l'importanza della conversione interiore per comprendere la priorità di Cristo nella nostra vita e di tale processo ci viene offerta l'opportunità in questo tempo di Avvento ormai vicino alla Festa del Natale, nel quale siamo invitati ad abbandonare le nostre presunzioni personali di autosufficienza e di salvezza riconoscendo il carattere vano e illusorio della vita nel peccato e la vacuità e insensatezza a cui conduce la nostra lontananza da Dio; a convincerci che solo nel Trascendente (appunto perché non terreno e illusorio) è possibile raggiungere ideali, obiettivi e mete di salvezza e a predisporre il nostro spirito nell'accoglienza della verità che verrà a visitarci nello stesso Dio che si rende Bambino per condividere la nostra storia e aiutarci a superarne le lacune e le miserie.

L'importanza di questo tempo liturgico è indiscutibile quindi perché noi riscopriamo la centralità di Cristo e ci affasciniamo dell'evento della grotta di Betlemme, quindi dell'umiltà del Dio ragazzino alla scuola di un carpentiere, del Dio uomo operaio che si confonde con una società specifica e del Dio che da uomo annuncia il Regno di salvezza e di pace nei miracoli, negli atti di amore verso i più deboli e negli insegnamenti nella sinagoga.

Quello che più deve entusiasmarci è il fatto che il Mistero di Dio sia destinato non già ai potenti e ai presuntuosi o ai presunti onnipotenti di questo mondo, ma piuttosto agli ultimi, agli esclusi, i miseri, gli abbandonati e i reietti che il Profeta Isaia riscontra come privilegiati del Signore, in quanto proprio ad essi viene riferita la promessa di liberazione. Certo, il contesto in cui scrive il profeta è immediato e trova riferimento nella prossima liberazione di Israele dalla schiavitù dell'esilio babilonese, ma in tali promesse di benessere e di salvezza non possiamo non ritrovarci noi tutti, specialmente nei lati deboli e finiti della nostra umanità povera e abbandonata. Questa ulteriore certezza incentiva ulteriormente alla conversione, questa accompagnata – è evidente - da una vita irreprensibile secondo giustizia e carità, così come suggerisce Paolo ai Tessalonicesi (Seconda Lettura) ma soprattutto comporta in tutti l'abbandono della mestizia per assumere caratteri di gioia e di esultanza nonché allegria: sia lo stesso Profeta Isaia che Paolo mentre parla ai Filippesi e ai Tessalonicesi, affermano che la predisposizione a Cristo deve per forza rifuggire la tristezza e il timore di un possibile giudizio finale compromettente ed esortano con insistenza all'esultanza e alla gioia, quella peculiare di chi ha compreso la ricchezza del dono di Dio per il quale è conveniente convertirsi e orientarci a nuova vita. Se l'Avvento dovesse comportare per noi il giogo ristretto e opprimente delle privazioni, delle mortificazioni e della servile sottomissione a moniti aspri e distaccati della Chiesa, certamente non varrebbe la pena di essere vissuto né dal singolo credente né dalla comunità ecclesiale per intero, giacché non ottempererebbe al vero progetto di Dio di liberare l'uomo dalle paure e dalle angosce per condurlo alla riscoperta della sua stessa dignità in Cristo; se invece a caratterizzare l'attesa del Natale è il personale entusiasmo che si espande nella vita comunitaria e sociale per apportare l'impronta della fiducia e dell'ottimismo, allora saremo certi di essere arrivati a buon punto nella vita di conversione, poiché con certezza ne avremo compreso i vantaggi e le garanzie...

 

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