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TESTO Occhi inteneriti per una donna che partorisce

don Angelo Casati  

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VI domenica T. Pasqua (Anno C) (22/05/2022)

Vangelo: Gv 16,12-22 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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12Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 15Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.

16Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete». 17Allora alcuni dei suoi discepoli dissero tra loro: «Che cos’è questo che ci dice: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”, e: “Io me ne vado al Padre”?». 18Dicevano perciò: «Che cos’è questo “un poco”, di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire».

19Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: «State indagando tra voi perché ho detto: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”? 20In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia.

21La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. 22Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia.

Il brano di vangelo che oggi abbiamo ascoltato mi è parso come un rincorrersi, dalla prima all'ultima riga, di campane: uno scampanio di verbi al futuro. Dunque c'è un futuro. Decine di verbi al futuro. E poi, tra rintocchi di futuro, ecco sgusciare la parola "un poco", misteriosa per i discepoli e non senza ombre per noi: "Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete". I verbi al futuro riguardano Gesù e riguardano noi. Quella di Gesù non è un'avventura chiusa, apre il futuro. E quindi preziosa per tutti coloro che, donne e uomini, non hanno spento, né si lasciano spegnere, il desiderio. Che credono nel futuro, lo sperano contro ogni speranza. Il futuro riguarda anche il nostro bisogno di svelamento di senso, bisogno di capire: riguarda un senso di incompiuto, che a volte ci affatica. "La fatica della luce" direbbe, con il titolo di un suo libro, una cara amica, Gabriella Caramore. Gesù sa chi siamo; ha tenerezza per le spalle, le nostre, per natura non da giganti. Ci commuove, sentite: "Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso". Ci promette una venuta. Che non sopprime il desiderio. Non ci promette uno svelamento totale, immediato, né un cammino concluso una volta per tutte. Ci promette il venire in noi e fra noi del suo Spirito, che - notate il verbo - guiderà: "Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità". Ci è promesso un cammino con guida. Di svelamento in svelamento, e l'avventura preziosa di una guida. Prezioso avere guide di montagna. Vorrei confidarvi che, per come sono fatto, mentre mi innamoro delle guide, mi fanno paura, mi prende aria di soffocamento, appena in vista di coloro che immobili sanno tutto, pontificano dall'alto, imponenti. Salvo poi, a un minimo scarto, subire deragliamento. Guida per noi lo Spirito in questo nostro quotidiano andare: Incontenibile andare di monte in monte inquieti dietro un mistero che sempre ti seduce da un'altra valle. Ogni volta che apriamo una pagina di vangelo, o una pagina - serena o inquieta che sia - della vita, sarebbe prezioso ricordare la promessa. E sentire accanto una guida. Perché questo è il suo compito: "Non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future". Ci farà migrare - pensate che grazia - nelle parole di Gesù. Quelle dette e quelle in sospeso. E ci annuncerà le cose future. Che non significa, certo, favorirci nei pronostici, ma evocare le cose che hanno un futuro, quelle che non appassiscono nel pallido giro di una giornata. Le cose che hanno un futuro: le pensassimo, le ricordessimo! A proposito di cose che hanno un futuro, perdonate questo mio cenno, meno rilevante e forse anche un po' azzardato, al brano degli Atti che oggi abbiamo ascoltato: "Paolo, in piedi sui gradini, fece cenno con la mano al popolo; si fece un grande silenzio ed egli si rivolse loro ad alta voce in lingua ebraica, dicendo: "Fratelli e padri, ascoltate ora la mia difesa davanti a voi". Quando sentirono che parlava loro in lingua ebraica, fecero ancora più silenzio". Voi mi capite, come se fossero fermi al presente, alla loro lingua, alle loro tradizioni. Ebbene, quando si ruppe il silenzio? Quando Paolo, dopo aver evocato la sua illuminazione sulla strada di Damasco, ricordò che, in una successiva visione, da Gesù gli furono rivolte queste parole: "Va', perché io ti manderò lontano, alle nazioni". Fino a queste parole erano stati ad ascoltarlo, ma a questo punto alzarono la voce gridando: "Togli di mezzo costui; non deve più vivere!". Impenetrabili alle cose che hanno un futuro: andare lontano, le nazioni. E noi? Le cose che hanno un futuro? O ci attardiamo? Abbarbicati! E ora un commento breve all'espressione di Gesù "un poco". Ora i discepoli per un poco lo vedono; poi, un poco, e più non lo vedranno: inghiottito nel buio di un venerdì che chiamiamo santo; poi per un poco ancora lo vedranno: sfuggito all'insulto della morte; un poco e lo vedranno portato nei cieli. La parola mi ha fatto pensare alla vita fatta di eventi segnati dal "poco", una vita fatta di poco, ma di un poco che è prezioso nel suo essere, una vita fatta di traversate serene e burrascose, di cieli limpidi e sporcati da ordigni di morte, di entusiasmi e di lentezze. E Dio non toglie le bufere, né gli ordigni, né le fatiche. E nemmeno il grido della donna che partorisce. Ci sta accanto. Perché non veniamo meno al nostro compito sulla terra. Mi hanno commosso gli occhi di Gesù inteneriti per la donna che partorisce, per il suo grido e la sua gioia. Il suo Spirito compagno di grido e di gioia. Mi commuove pensare agli uomini che oggi in sala parto tengono per mano la loro donna che sta partorendo. Si sentiva tenuta per mano Etty Hillesum, morta a 29 anni in un campo di concentramento. Lei, il cuore pensante della baracca, così scrive in una pagina del suo diario: "Mio Dio, prendimi per mano, ti seguirò da brava, non farò troppa resistenza. Non mi sottrarrò a nessuna delle cose che mi verranno addosso in questa vita, cercherò di accettare tutto e nel modo migliore. Ma concedimi di tanto in tanto un breve momento di pace. Non penserò più, nella mia ingenuità, che un simile momento debba durare in eterno, saprò anche accettare l'irrequietezza e la lotta. Il calore e la sicurezza mi piacciono, ma non mi ribellerò se mi toccherà stare al freddo purché tu mi tenga per mano. Andrò dappertutto allora, e cercherò di non avere paura. E dovunque mi troverò, io cercherò di irraggiare un po' di quell'amore, di quel vero amore per gli uomini che mi porto dentro. Ma non devo neppure vantarmi di questo 'amore'. Non so se lo possiedo. Non voglio esser niente di così speciale, voglio solo cercare di essere quella che in me chiede di svilupparsi pienamente. A volte credo di desiderare l'isolamento di un chiostro, ma dovrò realizzarmi tra gli uomini, e in questo mondo. E lo farò, malgrado la stanchezza e il senso di ribellione che ogni tanto mi prendono. Prometto di vivere questa vita sino in fondo, di andare avanti" (Diario, Adelphi, 2012, p. 238). Questa vita, sino in fondo, tenuti per mano.

 

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