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TESTO Dov'è finita la pace donataci da Gesù?

don Alberto Brignoli   Amici di Pongo

VI Domenica di Pasqua (Anno C) (22/05/2022)

Vangelo: Gv 14,23-29 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 14,23-29

23Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.

25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.

27Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. 28Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. 29Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate.

I Vangeli che stiamo leggendo in questa parte finale del Tempo di Pasqua hanno il sapore dell'addio: Gesù è consapevole che la sua presenza fisica nel mondo volge al termine, e allora lascia una serie di indicazioni che suonano come testamento per i suoi discepoli. In realtà, dal punto di vista cronologico, i discorsi che Gesù pronuncia sono collocati da Giovanni nel contesto dell'ultima cena, per cui riguardano gli ultimi momenti della vita di Gesù, quelli che precedono immediatamente la sua passione: letti, tuttavia, alla luce della Resurrezione e nella prospettiva del ritorno di Gesù alla casa del Padre che contempleremo la prossima domenica con l'Ascensione, acquistano ancora di più il significato di testamento, di eredità lasciata ai discepoli perché portino a compimento (non senza l'aiuto dello Spirito Santo, già accennato nel Vangelo di oggi) ciò che il Maestro aveva iniziato sin dagli inizi della sua presenza nel mondo. Un testamento spirituale, quindi, ma molto vincolante e pieno di conseguenze dal punto di vista pratico: domenica scorsa, il comandamento dell'Amore da vivere in modo “nuovo”, ossia nella dimensione del servizio; oggi, un altro lascito, un altro dono non meno impegnativo lasciato ai discepoli e quanto mai attuale, quello della pace. “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi”.

So che è fin troppo scontata, come affermazione; ma a me sovviene la domanda “Che ne abbiamo fatto, di questa pace?”. Che ne abbiamo fatto, di questo suo dono? Che ne abbiamo fatto di questo regalo che ci ha lasciato e che - non dimentichiamolo - è proprio il primo dono del Risorto, la sera di Pasqua, nel Cenacolo visitato a porte chiuse (le porte del cuore, non solo quelle del locale)? Che ne abbiamo fatto di questo annuncio di pace donato agli uomini “amati dal Signore” già al momento della sua nascita a Betlemme?

Beh, a vedere la situazione attuale all'interno del Continente Europeo; a vedere gli oltre 60 conflitti attualmente in atto nel mondo intero, e quindi non solo in Ucraina; a vedere la storia della nostra era cristiana, che in 2022 anni di storia ha visto solo 35 anni senza conflitti; a contare gli oltre 80 milioni di vittime causate solamente dalle due guerre mondiali del secolo scorso... risulta abbastanza facile dire che il dono della pace lasciatoci da Gesù è rimasto chiuso in un cassetto, e viene tirato fuori solo nel momento in cui andare alla ricerca della pace diviene una necessità legata ai nostri interessi, più che al bene comune.

Gesù, infatti, ci ha lasciato la sua pace in maniera incondizionata, ce ne ha fatto dono senza porre condizioni, senza stabilire regole sulla base delle quali essa debba essere ricercata e perseguita, perché è un bene assoluto: noi, invece, cerchiamo la pace e invochiamo la pace solo quando i conflitti si fanno sempre più vicini a noi, quando le conseguenze dei conflitti toccano i nostri interessi e i nostri portafogli, quando le persone che sono costrette a fuggire da scenari di guerra vengono a cercare aiuto e sostegno bussando alle nostre porte, quando i conflitti in atto in alcune zone o in alcune situazioni ci impediscono, magari, di andare in vacanza in posti paradisiaci... poi, però, che nel mondo ci sia la guerra o ci sia la pace, a noi, al di fuori di queste situazioni, più di tanto non importa. Se poi guardiamo ai massimi sistemi e ai massimi livelli, ovvero quelli che governano l'ordine mondiale, allora è abbastanza evidente che un solo anno di guerra muove l'economia mondiale molto di più che dieci anni di pace, e la muove - ovviamente - a favore di chi in guerra non ci entra, ma fa in modo che altri ci entrino al suo posto. E allora, e solo allora, si muovono le molte iniziative - quasi tutte lodevoli - di gente che cerca e invoca la pace, una pace intesa principalmente come assenza di conflitti.

Ma la pace che Gesù ci ha lasciato non è come quella che il mondo vuole: “Non come la dà il mondo, io la do a voi”. Non è una tregua tra due guerre; non è sottomissione del debole al forte con l'uso delle armi; non è sottomissione all'ingiustizia o indifferenza di fronte al male pur di non avere problemi intorno a noi; tanto meno è il quieto vivere che ci permetta di fare quello che vogliamo. La pace dono del Risorto è quella che passa attraverso il Calvario e la croce, e che assume sulle proprie spalle il peso della croce; è quella che non risolve le ingiustizie ignorandole o insabbiandole, ma assumendole, sopportandole, e facendo tutto il possibile perché le situazioni di squilibrio tra la povertà e la ricchezza, tra la prepotenza e l'umiliazione vengano appianate. La pace che Gesù ci lascia come dono e come impegno è quella di chi vince il male con il bene, e non con ulteriore male; di chi vince le incomprensioni non ignorandole fino a che non degenerino, ma affrontandole da subito con il dialogo e il confronto; di chi accetta che il pensiero e lo stile di vita dell'altro, diversi dal mio, non sono un pericolo o un limite per la mia libertà, ma una ricchezza per la mia vita e la vita di tutti.

Dove c'è pensiero uniforme, dove c'è un unico modo di pensare e di agire, dove si globalizza il mondo appiattendo le diversità, non c'è pace, c'è solo sotterramento dei conflitti: e quando si sotterra, e magari ci si coltiva e ci si ricama pure sopra, alla fine, poi il conflitto germoglia, cresce e purtroppo fruttifica. Vogliamo invece sotterrare qualcosa che porti a far germogliare la pace? Occorre seminare la pace! Occorre seminare tutte quelle opportunità che sono in nostro possesso di fare diventare la diversità una ricchezza e non un pericolo, la varietà di opinioni una potenzialità, e non una minaccia. Come?

Come hanno fatto gli apostoli nell'episodio narrato dalla prima lettura, nel quale viene descritta la grave situazione di tensione creatasi tra i cristiani provenienti dal Giudaismo (che volevano imporre a tutti i neo credenti le regole pesanti e oppressive della Legge di Mosè) e quelli provenienti dal mondo greco o pagano, che avevano abbracciato la fede attraverso il solo annuncio liberante e liberatorio di Paolo e Barnaba, i quali offrivano un cristianesimo basato su un unico comandamento, quello di domenica scorsa: l'amore reciproco.

Chi la spunta? Il più forte e il più arrogante? No. Chi farà passare la propria linea? Chi urla di più in assemblea? No. La spunta chi dialoga accettando le posizioni dell'altro come opportunità e come ricchezza. La spunta chi rinuncia a imporre qualcosa di proprio e inizia a guardare all'altro con favore e simpatia.

Quanto ha da imparare, il mondo, da quei cristiani! E quanto abbiamo da imparare noi cristiani di oggi dai cristiani di allora! Certo che se, a partire dalle nostre piccole assemblee e dalle nostre piccole comunità, non iniziamo a guardare all'altro, a chi è diverso da noi e la pensa diversamente da noi come una ricchezza e un'opportunità, allora pretendere che il mondo intero possa vivere nella pace diviene un'utopia bella e buona! Se invece iniziamo a dialogare senza pregiudizi, a rispettarci senza prevalere sugli altri, e ad accettarci per quello che siamo, la pace non è più un'utopia, ma una strada da percorrere.

Una strada lunga e faticosa, certo: ma sicura e senza pericoli. E soprattutto, amata e voluta da Dio.

 

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