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TESTO Il grano e il fiordaliso

don Angelo Casati  

IV domenica T. Pasqua (Anno C) (08/05/2022)

Vangelo: Gv 15,9-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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9Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. 10Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.

12Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. 13Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. 14Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. 15Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. 16Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. 17Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.

Quando lui, Gesù, le usava - dico, le parole - non erano un “tanto per dire”, come succede talvolta a noi, o almeno a me. Nel brano di Giovanni, che oggi la Liturgia ci ha proposto, due sono le parole che ripetutamente si affacciano: la parola “amore” e la parola “amicizia”. E amore e amicizia sulle labbra di Gesù non erano di certo nomi astratti, andavano ad evocare pezzi di storia. Così come in noi: alle parole “amore” e “amicizia” si accendono storie e visi. In ciascuno di noi, nell'intimo di ognuno di noi. Per poi sconfinare.

Mi sono chiesto se non fu anche per un desiderio di concretezza, e per sfuggire a una evanescente astrattezza, che Gesù senza cesure abbia fatto richiamo alla vita. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici”. L'amore si traduce inesorabilmente in vita, in occhi, in mani, in gesti.

E sfioro e sosto brevemente sull'immagine delle mani. L'amore che si fa mani. Perché? Perché oggi nel salmo responsoriale mi ha molto colpito l'immagine delle mani. Succede che a volte una parola ti colpisca di più. Un versetto, un versetto solo. Sentitelo: “Nelle tue mani, Signore, è la mia vita”. Amare ed essere amati è una esperienza di mani, sentire le mani. Anche nell'ora, la più faticosa, quella del morire, grazia sarebbe poter sentire mani. Che alla fine diventano tenera icona di quelle di Dio. che tiene stretti nelle sue mani. Anche Gesù, dopo l'alto grido sulla croce, sentì amore di mani. Scrive Luca: “Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo, spirò”. Le mani che ti tolgono dalla solitudine. Ricordo versi giovanili di Padre David Maria Turoldo: “Io non ho mani / che mi accarezzino il volto”. Poi, per grazia, le ebbe.

Voi mi capite, mani come immagine di un'attenzione, di una cura, di una delicatezza da consegnare alla parola amore. Per non sfibrarla, impallidirla, svuotarla.

Oggi, proprio in questa luce, uno squarcio d'emozione si apriva nel brano degli Atti degli Apostoli, dove veniva evocata la casa di Filippo, il settimo dei diaconi, e le sue quattro figlie che avevano il dono di profetare. Lì aveva trovato ospitalità Paolo. Ed ecco, qualche giorno dopo, arrivare un profeta di nome Àgabo, a profetizzare che a Gerusalemme i Giudei avrebbero legato Paolo e lo avrebbero consegnato nelle mani dei Romani. La casa fu piena di commozione, di insistenze perché Paolo non salisse a Gerusalemme. Già era accaduto a Tiro, stessa insistenza, là lo avevano accompagnato con mogli e figli sino alla spiaggia, là si erano inginocchiati prima che salpassero. Nella casa di Filippo fu commozione. E fu pianto. L'amore a volte si fa pianto. E Paolo si sentiva spezzare il cuore. ”Disse loro: «Perché fate così, continuando a piangere e a spezzarmi il cuore? Io sono pronto non soltanto a essere legato, ma anche a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù». E poiché non si lasciava persuadére, smettemmo di insistere dicendo: «Sia fatta la volontà del Signore!»”.

Tu leggi e non puoi non sognare una chiesa che diventi come la spiaggia di Tiro o la casa di Filippo a Cesarea. Dove non ci sia ombra di paternalismo, di patriarcato, di dominio, di soggezione. Ma solo affetto, stima sincera, riconoscimento dei doni. Di tutti, donne e uomini, bambini e vecchi.

Ma ora vorrei fare una breve sosta sulla parola “amicizia”. Gesù ai suoi discepoli dice: “Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi”. Vi ho chiamati “amici”. Sulle labbra di Gesù nemmeno la parola “amico” era una parola tanto per dire. Se ripercorrerete i vangeli, da pagine e pagine, e non solo una, vi sgusceranno cenni preziosi, luminosi, sulle amicizie di Gesù.

Certo l'amicizia appartiene all'amore, ma ha un suo canto, ha un suo colore. L'amore universale, richiesto ai discepoli - ce lo dovremmo ricordare - non è scolorimento dell'amicizia. Che racconta reciprocità, complicità di pensieri, di visioni, di sentimenti, di parole e di silenzi, di visibile e di sommerso. C'è, direbbe Dietrich Bonhoeffer, il campo di grano - e il pensiero mi corre ai campi di grano violati dell'Ucraina - ma c'è anche il fiordaliso, che vi cresce, necessario come il grano. ”Nessuno lo ha piantato, / nessuno lo ha innaffiato, / indifeso cresce in libertà”: è l'amico per l'amico.

Ebbene io oggi vorrei con voi ringraziare il Signore per le amiche e gli amici. Rubo le parole - sono bellissime - a Mons. José Tolentino Mendonça, cardinale e poeta portoghese:
“Grazie, Signore, per gli amici che ci hai dato.
Per gli amici che ci fanno sentire amati senza un perché.

Che hanno quella dote speciale di farci sorridere. Che, pur chiedendoci poco, sanno tutto di noi. Che sanno il segreto delle piccole cose che ci fanno felici.

Grazie, Signore, per coloro che sentiamo profondamente al nostro fianco, ovunque noi ci troviamo: fidi, benevoli, esigenti, complici di memorie e di progetti, che condividono con noi inquietudini, afflizioni, lutti e anche confidenze gioiose, anche speranze indimenticabili.

Grazie, Signore, per quelle e quelli senza i quali camminare nella vita non sarebbe la stessa cosa. Che ci sopportano quando il mondo pare un posto incerto.
Che ci spronano al coraggio con la loro sola presenza.

Che ci sorprendono di proposito, perché trovano sbagliata troppa routine.

Che ci fanno vedere l'altro lato delle cose, un lato - diciamolo! - fantastico.

Che possono rimanere in silenzio al nostro fianco e questo non ci disturba, diventa anzi una forma straordinaria di comunione.

Grazie, Signore, per gli amici incondizionati. Quando non sono d'accordo con noi ma restano con noi.
Che attendono per tutto il tempo che sarà necessario.
Che perdonano ancor prima delle scuse.
Sono i fratelli e le sorelle che ci scegliamo.

Coloro che metti al nostro fianco perché ci rendano l'aerea luce della gioia. Che fanno arrivare fino a noi, Signore, l'imprevedibilità del tuo cuore”.

 

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