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TESTO Il pastore e le sue pecore

padre Gian Franco Scarpitta  

IV Domenica di Pasqua (Anno C) (08/05/2022)

Vangelo: Gv 10,27-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola».

I Giudei attendevano l'avvento del Messia pacificatore universale che li avrebbe guidati e condotti. Avrebbero dovuto capire essi stessi, almeno dalle opere portentose che Gesù metteva in atto, che il Cristo (Messia) era proprio lui, testimone della misericordia e dell'amore del Padre, apportatore di salvezza e realizzatore delle antiche promesse. Ma i Giudei lo avevano respinto, perché “non erano sue pecore”(Gv 26). Non erano cioè docili all'ascolto della sua Parola e all'accoglienza della sua persona e del suo annuncio di salvezza. Di fronte ad esso non avevano prestato ascolto, non si erano convertiti, erano stati refrattari all'evidenza di quanto egli diceva e compiva come Dio fatto uomo, e non avevano corrisposto alla sua parola con la fede, ostinati nelle loro convinzioni disfattiste e riluttanti.

A questo punto Gesù definisce il vero rapporto che occorre instaurare con lui e lo fa paragonando se stesso a un pastore e i suoi discepoli alle pecore che egli guida e porta al pascolo.

Gesù è pastore in quanto sollecitamente e in svariati modi, con premura e attenzione, si dedica a ciascuna delle sue pecorelle in modo che nessuna si perda, ma che tutte trovino il giusto orientamento per i pascoli ubertosi e per il recinto ideale. Gesù si prede cura perfino della pecorella più piccola e insignificante, andando a cercarla qualora si smarrisca, anche a costo di percorrere ettari di boscaglia. Si china a sanare le ferite che intanto dev'essersi procurata nel suo smarrimento, la carica sulle spalle e ripercorre il terreno boschivo all'inverso per ricondurla all'ovile fra le altre (Mt 18, 12 - 14). L'immagine è davvero plastica e allusiva: ciascun discepolo di Gesù, anzi ciascun uomo è oggetto di amore e di premura da parte del Padre che in Cristo dimostra il suo amore e la sua misericordia nei confronti di chi si smarrisce. Per quanto grande sia il nostro peccato, Dio non abbandona nessuno e adopera ogni mezzo per recuperarci, chiamandoci alla comunione con sé e alla salvezza per mezzo di Cristo, Verbo Incarnato, il quale assume nei nostri riguardi la funzione di pastore sollecito e instancabile.

Aver cura del suo gregge e riprovare i pastori interessati e noncuranti del loro ruolo, è sempre stata prerogativa di Dio amore, che promette di essere egli stesso a radunare il suo gregge affinché nessun elemento di questo vada perduto (Ez 34) ed è appunto attraverso Cristo, Vittima Immolata sulla croce per la nostra salvezza che egli esercita un tale ministero nei nostri confronti.

L'atteggiamento delle pecore quale dovrà essere? Quello della mansuetudine, dell'ascolto, della sequela fiduciosa. Certamente il discepolo di Gesù non è paragonabile a una pecora quanto alla sua ingenuità e debolezza: partecipa su ogni cosa attivamente e con senso critico e responsabile; valuta, distingue ogni cosa e fa le sue scelte nella consapevolezza e nella libertà. Il cristiano non è pecora ingenua e sprovveduta. Tuttavia nei confronti del suo pastore mostra sensibilità spiccata e apertura, non senza disposizione all'ascolto e alla sequela. La fede è la risorsa più congeniale da adottare nei confronti di Cristo pastore ed essa è sempre affinata alla fiducia e all'abnegazione nel donarsi. Credere comporta abbandonarsi, concedersi, aprirsi e non opporre resistenza a quanto Dio rivela e soprattutto comporta avere stabilità e restare imperturbabili di fronte a sconvolgimenti e mutamenti. Nella fede si trovano le ragioni della rinuncia alle sicurezze effimere per assumere le uniche sicurezze di Gesù; il coraggio della rinuncia alle posizioni di comodo per immedesimarsi in quelle più sacrificate ma più virtuose e promettenti, come appunto l'abbandono di sentieri illusori per percorrere quelli già tracciaiti dal Cristo, che sono più persistenti e duraturi.

Il cristiano è pecora in quanto non oppone resistenza al mistero di Dio in Gesù Cristo, si affida a lui con disinvoltura e senza condizioni, si immedesima in Gesù facendo esperienza di lui come “via, verità e vita”(Gv 8), vivendo di lui e con lui perseverando.

La nostra fede ci illustra ulteriormente di come Gesù stesso ci guidi nella pastoralità della Chiesa che si fonda sugli apostoli, soprattutto nel ministero del pontefice, Vicario di Gesù Cristo e successore del Primo Apostolo Pietro. Per suo mezzo Gesù ci pasce e ci conduce, avendo a cuore che le sue pecore abbiano un orientamento visibile, una guida umana che li accompagni verso liti divini, con un linguaggio immediato e diretto che riflette la stessa familiarità che lui ha con il Padre (Gv 21, 15 - 18).

Nel ministero del papa ci sentiamo raccolti e convocati da Gesù mentre questi ci consolida in “una sola fede, un solo battesimo e un solo Dio Padre di tutti”(Ef 4, 4), accordandoci il dono dello Spirito fautore di comunione e di consolidata unità nelle diversità.

 

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