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TESTO Commento su Giovanni 10,27-30

Omelie.org - autori vari  

IV Domenica di Pasqua (Anno C) (08/05/2022)

Vangelo: Gv 10,27-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola».

COMMENTO ALLE LETTURE
Commento a cura di Giuseppe Di Stefano

Quella voce...

«Le mie pecore ascoltano la mia voce e mi seguono». Gesù si trova a Gerusalemme, nel tempio, per la festa della Dedicazione, quando pronuncia queste parole. E i Giudei non perdono occasione di sfidarlo, lo contestano; cercano addirittura di lapidarlo, di catturarlo, ma senza successo. I capi del popolo, le guide religiose, preoccupati di non perdere credito tra la gente, vorrebbero togliere di mezzo quel pericoloso Rabbì che attenta all'ortodossia della fede che essi credono di detenere. È scomodo uno come Gesù che difende la libertà, che mangia e beve con i peccatori, che rivendica i diritti dei poveri e mette sotto accusa la presunzione dell'autorità religiosa del tempo. Uno che apre gli occhi ai ciechi, gli orecchi ai sordi e rimette in piedi, sulle proprie gambe, gli storpi fa proprio problema a chi, invece, sa solo legare a sé, creando dipendenza, sudditanza; di chi, preoccupato di perdere potere, assoggetta il popolo veicolando ignoranza e paura circa il volto di Dio.

È Gesù la voce del Padre, l'unico che può davvero raccontarcelo, perché è da lui che viene. E per questo, senza mezzi termini, smantella la pretesa di chiunque altro si voglia far passare per “voce di Dio”. Per questo dice: «Le mie pecore ascoltano la mia voce», non la vostra.

Ecco, i cristiani sono proprio coloro che ascoltano la voce di Gesù e lo seguono. La voce dice relazione, intimità, prima ancora che parole. Maria di Magdala riconosce il Maestro dalla sua voce, da quel modo “tutto suo” di pronunciare il suo nome. E mi tornano in mente le parole del Cantico dei Cantici: «Mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave e il tuo viso leggiadro». Quella voce che seduce, attira... E l'invito che attraversa tutta la Scrittura: “Ascolta, Israele!”, “ascoltate oggi la voce del Signore”.

In un mondo in cui tutto sembra dipendere dalle parole, occorre riscoprire la nostra identità di popolo dell'ascolto. La prima cosa da insegnare è questa: ascoltare Dio e l'altro, ascoltare il profondo del nostro cuore, quel silenzio che ci abita e che non è vuoto, ma presenza. C'è il rischio, infatti, che la voce di Dio sia coperta da altre voci. Che la sua Parola venga soffocata dal dilagare di troppe parole, spesso vuote, artefatte, costruite, arroganti, giudicanti, escludenti. Anche le parole più autentiche dette dalla chiesa, infatti, devono essere sempre a servizio della Parola di Dio. Altrimenti rischia di essere una chiesa che “parla” soltanto, piuttosto che essere una chiesa che “ascolta e segue” il suo Maestro e Signore, l'unico pastore. E nessuno andrà perduto, nessuno mai potrà rapirci dalle mani del Padre. Perché Dio è più grande di ogni nostra lontananza, persino del cuore che ci accusa, più grande del più grande dei peccati.

Signore Gesù, proteggi la tua Chiesa, da noi che crediamo di avere l'esclusiva di Dio e abbiamo la presunzione di sapere tutto e di giudicare tutti, te compreso. Pastore bello, proteggici dalla tentazione di crederci pastori e guide degli altri, tirandoci fuori dal gregge, non sentendo la necessità o il bisogno di lasciarci condurre, perché ci crediamo arrivati o migliori degli altri. Ricordaci che solo tu sei il pastore, l'unico che ama tutti fino a dare la sua vita. Insegnaci ad essere tua Chiesa, a largheggiare nella fiducia verso tutti, piuttosto che chiudere e serrare, per restare sulla difensiva. Donaci di non rinchiuderci nel tepore rassicurante delle nostre liturgie e di preferire al profumo dell'incenso quello del tanfo che sale dalle periferie del mondo. E facci sentire la tua ansia per le pecore che sono fuori dal recinto e che chiamiamo lontani, ma che in realtà siamo stati proprio noi ad allontanare, con la nostra scarsa testimonianza. E contagiaci di quella misericordia che lascia tutti liberi di sbagliare, di non essere sempre all'altezza, di non riuscire. E fa' che non abbiamo paura di chi è diverso, senza etichettarlo o peggio ancora tagliarlo fuori, ma piuttosto abbracciandolo, comprendendolo, amandolo incondizionatamente, nei fatti e nella verità.

 

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