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TESTO Custoditi da mani ferite

don Maurizio Prandi

IV Domenica di Pasqua (Anno C) (08/05/2022)

Vangelo: Gv 10,27-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola».

In questa quarta domenica del Tempo di Pasqua riprendo, sull'onda di quanto abbiamo condiviso l'altra sera un pensiero sulla diversità di chiamate, (sul fatto che ognuno ha la sua strada, i suoi prossimi dei quali prendersi cura), quanto domenica scorsa, citando don Paolo, vi proponevo al termine dell'omelia, approfittando anche della figura del pastore che il Vangelo di Giovanni propone al capitolo 10 e che nell'arco di tre anni la chiesa ci fa ascoltare: pensando a quanto Gesù diceva a Pietro è bello credere che ci sia un piccolo gregge affidato a ciascuno di noi. Il gregge della famiglia, degli amici, del luogo di lavoro, del condominio, della strada. Sentire l'altro come affidato a te, alla tua cura e alla tua tenerezza fa sì che da gruppo disgregato si passi ad essere comunità.
Sentire l'altro affidato a te perché è un tuo fratello è la possibilità di costruire la Pace cominciando da te, dal tuo piccolo, sapere l'altro affidato a te perché è un tuo fratello è rimanere fedeli a quella traduzione del versetto 20 del vangelo che oggi la chiesa ci consegna e che, a proposito delle pecore risuona così: il Padre mio, ciò che mi ha dato, è più grande di tutto! Che bello che il vangelo metta in evidenza la grandezza, agli occhi di Dio, di ogni persona, di ogni donna e di ogni uomo. Ed è molto forte quello che dice Gesù parlando prima del suo rapporto particolare con le pecore e poi del valore enorme che ognuna, ripeto: ognuna di queste ha agli occhi di Dio. E' come se mi si dicesse che sono, (siamo) chiamato a rispettare, che non posso giudicare, che non posso nemmeno sognarmi di dire qualcosa che va nella direzione contraria di questo sguardo che Dio ha, perché la relazione di un fratello con Dio è uno spazio sacro nel quale non posso entrare. Lego a questo primo punto che vi propongo una delle tre parole sulle quali abbiamo “pregato” insieme come ambito di comunione pastorale: la parola “Redenzione” che ricordate non è legata tanto al fatto che era necessario pagare con il sangue un debito per il nostro peccato per pareggiare le cose, no, il Redentore non è un contabile ma è l'opposto! È colui che si prende cura di noi, è colui che si coinvolge fino al punto di dare la vita. Che bello sapere che la mia vita è affidata alla cura che Dio ha per me nonostante le mie lontananze; abbiamo avuto l'occasione di conoscere il volto di un Dio che ci mette tutto di sé perché nulla conta per Lui quanto contano le sue pecore.

Un altro spunto che l'altra sera abbiamo condiviso: le nostre vite sono al sicuro perché sono custodite da mani non perfette ma ferite, le nostre vite sono al sicuro perché ospitate da mani ferite, bucate: rispetto a questo allora, come si diceva, riconoscere che questo nostro mondo, così ferito in tanti modi, le nostre esistenze come le esistenze di tanti così in difficoltà non sono vite strappate via ma accolte e gelosamente, possessivamente (questo ripetere di Gesù la nostra appartenenza a Lui, le mie - le mie - le mie) salvate, mi dà tanta tanta speranza. E a questo lego il primo passo fatto insieme sulle parole difficili: la parola sacrificio. Che cosa è che rende sacra la vita di ognuno, che cosa è cha fa di una vita una vita sacra? Non la perfezione, non la separazione, non l'essere altro celebrato in un rito, ma la compassione che ti fa raccogliere e portare l'altro nelle tue mani anch'esse ferite.

Bello e anche nuovo per me quanto condividevamo sull'ascolto e sulla voce, un ascolto che non riguarda solo le orecchie ma che è incontrare l'altro, sentire (nel senso del sentimento) l'altro, percepire l'altro in quello che prova e in quello che vive; e poi la voce: anche per quello che riguarda la voce si diceva, Gesù è stato rivoluzionario, nel senso che guardando all'Antico Testamento, quella di Dio è una Parola mediata dagli uomini, da Abramo, da Mosè, dai profeti. E invece in Gesù la Parola si è fatta carne, si è fatta uomo, si è fatta voce, vita, lo sento bello e significativo per me. Quando è che una parola diventa voce? Quando è una parola per me, quando è una parola per la mia vita, quando è pronunciata da persone che mi amano e mi vogliono bene. Che bello pensare ai fidanzati che si preparano al matrimonio e alle loro parole che ad un certo punto diventano voce e in quel momento capisci che forse è cambiato qualcosa e che ti sei innamorato: una parola diventa diventa voce quando è parola d'amore.

Ascoltano, io le conosco, mi seguono, do loro la vita eterna. Ecco che ci viene incontro, con le parole di Gesù di questa domenica la terza delle parole difficili: vita eterna, che durante la condivisione abbiamo legato alle mani del Padre alle quali ci affidiamo, nelle quali con fiducia ci gettiamo non in modo ciecamente fideistico ma perché abbiamo ascoltato di questa fiducia in un legame, in una relazione nella quale Dio per primo si gioca totalmente!

 

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