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TESTO Da dove vengono le mie parole?

don Angelo Casati  

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III domenica T. Pasqua (Anno C) (01/05/2022)

Vangelo: Gv 8,12-19 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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12Di nuovo Gesù parlò loro e disse: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». 13Gli dissero allora i farisei: «Tu dai testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera». 14Gesù rispose loro: «Anche se io do testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove sono venuto e dove vado. Voi invece non sapete da dove vengo o dove vado. 15Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno. 16E anche se io giudico, il mio giudizio è vero, perché non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato. 17E nella vostra Legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera. 18Sono io che do testimonianza di me stesso, e anche il Padre, che mi ha mandato, dà testimonianza di me». 19Gli dissero allora: «Dov’è tuo padre?». Rispose Gesù: «Voi non conoscete né me né il Padre mio; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio».

Il brano di vangelo che ora abbiamo ascoltato è relativamente breve. Ma il clima sottostante è di inquietudine, di turbamento, di tensione: pregiudizi, incomprensioni, schieramenti. Risultato? Oserei la parola "subbuglio", subbuglio dentro e subbuglio fuori, dentro e fuori dell'anima. Gesù lo troviamo nel tempio a Gerusalemme. Ma anche questa scelta di Gesù non era stata facile, veniva da un subbuglio del cuore. E dunque non meravigliamoci se può accadere anche a noi: la realtà non è sempre facile da interpretare. Capita di prendere una decisione e poi di ripensarci. Così era accaduto a Gesù. Il vangelo racconta che lui era in Galilea e i suoi fratelli, presi da impazienza, lo sollecitavano a ritornare in Giudea: "Parti di qui e va' nella Giudea perché anche i tuoi discepoli vedano le opere che tu fai. Nessuno infatti agisce di nascosto, se vuole venire riconosciuto pubblicamente. Se fai tali cose, manifèstati al mondo!".

Neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui. Ebbene Gesù dapprima si negò alle loro impazienze; ma poi, visto che loro ci erano andati, ci ripensò e si mise in cammino verso Gerusalemme. Per i primi giorni si tenne nascosto. E fu subbuglio per le strade: "Verrà o non verrà?". Poi a metà della festa salì al tempio, si mise ad insegnare. E fu subbuglio nel tempio. Subito nascevano domande: "Ma come mai parla di Scritture, senza aver studiato?". E quando poi lui rispose che quelle parole gliele aveva messe in bocca suo Padre, cominciarono ad andare in confusione. E ancor più quando disse che loro non sapevano da dove venisse. Loro sapevano benissimo che veniva da Nazaret, mentre del Cristo era detto che sarebbe venuto da Betlemme.

Lui diceva che era venuto dal Padre suo e che a testimoniarlo era suo Padre e, insieme, le opere che faceva: aveva fatto camminare lo storpio. Che subbuglio! Frastornati certo. Ma lui a insistere sull'intimità che c'era tra lui e il Padre, lui a dire che quello era il vero luogo da cui venivano le sue parole. Che non erano alla fin fine sue, ma di suo Padre. Leggendo il brano, in questi giorni, mi si apriva una riflessione che vorrei condividere con voi. Era come se mi si dicesse che le parole possono venire da un luogo altro, altro che non le labbra. E subito la domanda: "Da dove vengono le mie parole?".

Ed ecco come potrei rimodulare la domanda: "Le mie parole vengono da un luogo alto o da un luogo basso, meschino?". Gesù infatti diceva che, al contrario dei suoi oppositori, lui non cercava la sua gloria. Ci sono parole che vengono dal basso: dalla ricerca della gloria, della potenza, dell'interesse. A dare autenticità non è quindi un luogo fisico. Posso azzardarmi a dire - e voi mi capite - che a dare autenticità non sono le parole in se stesse, ma il luogo da dove vengono, l'intimo da cui vengono. Questo pensiero mi porta a sostare con voi sulla parola "testimonianza". E' un termine che ricorre più volte oggi nei testi che abbiamo ascoltato. La testimonianza è qualcosa che viene da dentro, sono parole che vengono da una passione alta, che ti porta a volte anche lontano, e non importa dove. Non ci sono luoghi deputati.

Il brano degli Atti degli Apostoli ne è una conferma: ci racconta di Paolo. Paolo, il bisogno di testimoniare Gesù, di raccontare di lui, se lo porta dentro. E per lui, giunto in catene a Roma, diventa occasione di testimonianza anche la casa in cui è agli arresti domiciliari, in attesa di processo. Perdonate il mio modo di esprimermi: come la testimonianza, la parola del Figlio di Dio divenne carne, così la nostra testimonianza, la nostra parola è chiamata a non rimanere vuota parola, ma a diventare carne, corpo, a diventare piedi che si affrettano, occhi che si commuovono, mani che abbracciano, voce che vibra. E non una parola senza tutto questo. Gesù si è affrettato, si è commosso, ha abbracciato. Oggi si affretta, oggi si commuove, oggi ci abbraccia. E' così che racconta la sua intimità con il Padre. Non con parole pallide, svuotate di cuore. E così chiede a noi di testimoniarlo.

Nel racconto degli Atti mi ha colpito una precedenza dei verbi. Se sia casuale, non so. So che mi ha colpito. Ai notabili dei Giudei Paolo dice: "Ecco perché vi ho chiamati: per vedervi e parlarvi". Quasi che il desiderio di vederli venisse prima del desiderio di parlare loro. Vale per tutto e per tutti. Vale nei confronti di Dio. Pensate alle nostre preghiere: se non stiamo accucciati in presenza, diventano nenia, una stanca litania. Vale per le nostre parole nei confronti di ogni donna, di ogni uomo, di ogni essere creato: se non li sfioriamo con gli occhi, le nostre parole impallidiscono. E dunque il desiderio di vedere, di sforare con gli occhi, prima di parlare.

Una attenzione agli altri, una presenza, un esserci - si diceva prima - come luogo di nascita della parola: "Vi ho chiamato per vedervi e parlarvi". Può essere che io sbagli - e il primo a confessare la distanza da quello che vi sto dicendo sono io - ma a volte sembra di vivere una stagione in cui si parla senza vedere l'altro, l'altra, gli altri. Non è forse quello che succede in tanti dibattiti, si parla e si guarda altro. E che cosa cambierebbe se ad una trattativa si andasse prima per vedersi e poi per parlare? Si parla, ma non ci si guarda. E così tutto diventa parola e nulla accade. Non si parte da ciò che si vede. Il Verbo si è fatto carne. Dai suoi piedi, dalle sue mani, dai suoi occhi, dalla sua voce, dalla sua immensa attenzione, abbiamo capito che potevamo credergli. E vale proprio per tutto. Lo dice, con parole che sfiorano la poesia, uno scrittore francese, che alcuni di noi hanno imparato ad amare, Christian Bobin. Concludo con le sue parole.

Scrive: "Ci sono anche delle campanule che tengono discorsi di una dolcezza che fa paura. Non credo a ciò che uno mi dice. Credo al modo in cui mi è stato detto".

 

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