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TESTO “Incredulo” a chi?

don Alberto Brignoli  

II Domenica di Pasqua (Anno C) (24/04/2022)

Vangelo: Gv 20,19-31 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Ognuno di noi fa di Dio un'esperienza diversa. E ognuno di noi lo chiama in maniera diversa. In ambito cristiano, Gesù ce lo ha fatto conoscere nella sua dimensione paterna, e ci ha pure insegnato, nella preghiera, a chiamarlo “Padre”. Ma i due termini che maggiormente vengono utilizzati per riferirci all'Altissimo sono “Dio” e “Signore”. Se consideriamo che solo nel libro dell'Esodo - dove viene proclamata l'impronunciabilità del nome di Dio, o comunque viene vietata la riproduzione vana di questo nome - il termine “Dio” nelle sue varie declinazioni viene usato oltre cento volte, e “Signore” più di trecento, possiamo avere un'idea di quanto entrambi i termini facciano parte del nostro modo corrente di parlare di questa Forza che ci sovrasta e alla quale attribuiamo funzioni creatrici e governatrici dell'universo intero. Questi due nomi, che noi riferiamo in maniera indistinta alla medesima realtà, ci dicono comunque due aspetti diversi di Colui che sta al di sopra delle nostre vite.

Della parola “Dio” non è ben chiara l'origine, l'etimologia: pare che la teoria più accreditata (e anche la più suggestiva) la faccia derivare dalla radice di una lingua orientale, forse persiana, che avrebbe il significato di “luce” (da cui, ad esempio, deriva la parola latina “dies” che indica il giorno). Dio, quindi, sarebbe colui che dona luce, colui che crea la luce ed è luce sui passi dell'uomo, contrapposto al buio delle tenebre dove, notoriamente, dimora il male.

Il termine “Signore”, invece, è più semplice da comprendere: ovviamente, ha etimologie diverse per ogni lingua, antica o moderna che essa sia, ma in ogni caso indica una persona di rango superiore alle altre (anche solo per età, o per condizione sociale) sulle quali esercita la potestà, il dominio (non per niente, in latino si dice “dominus”), in alcuni casi addirittura il diritto di vita e di morte.

Se dunque “Dio” indica Colui che dona luce alla nostra vita, “Signore” indica Colui che ci governa e ci guida: non potremmo sperare di meglio, per la nostra esistenza! Abbiamo chi ci crea, chi ci dona luce, chi ci dona vita, chi ci sostiene, chi ci guida e ci governa... anche se arroga a sé il diritto di esercitare su di noi il dominio, e addirittura il diritto di vita e di morte... beh, poco male! Dirigersi a lui chiamandolo “Dio”, vuol dire allora sentirlo come luce della nostra vita; chiamarlo “Signore”, vuole dire riconoscere che egli ci guida e ci governa. Chiamarlo con entrambi i nomi, ovvero “Signore Dio”, credo sia la maniera più bella per dirgli quanto crediamo in lui come luce e guida della nostra vita. Se poi gli facciamo anche capire che lo sentiamo “nostro”, che lo sentiamo profondamente parte di noi, e ci rivolgiamo a lui dicendogli “Mio Signore e mio Dio”... allora credo davvero che non ci possa essere espressione di fede e di amore più alta che gli possa essere rivolta.

E noi avremmo il coraggio di dire che uno che si rivolge a lui chiamandolo “Mio Signore e mio Dio” è l'emblema dell'uomo incredulo, dubbioso e privo di fede nei suoi confronti? Già, perché questo è ciò che abbiamo attribuito per secoli (e forse ancora continuiamo a farlo) all'apostolo Tommaso, al quale abbiamo affibbiato nomignoli di ogni tipo, associando il suo nome a tutti coloro che desiderano curiosare, essere sicuri fino in fondo, a coloro che non hanno fiducia degli altri, a coloro che devono sbattere il naso nell'evidenza delle cose prima di credervi... addirittura, abbiamo dato il nome dell'apostolo a un cane da tartufi dei cartoni animati, e ancor peggio (erano gli Anni Ottanta) a una scopa capace di ficcarsi negli angoli più reconditi della casa, dove maggiore è la polvere annidata...

Definire la cosa quanto meno irrispettosa è il minimo: ma soprattutto, è indice di non aver colto in profondità la bellezza e la grandezza della fede di quest'uomo, che se fosse veramente un uomo incredulo come Giovanni mette in bocca a Gesù, non sarebbe certo capace di un'espressione di fede e di amore così bella. “Mio Signore e mio Dio”: nulla di più alto di questa espressione nei confronti di Gesù si trova in tutti e quattro i vangeli. “Mio Signore e mio Dio”: ossia, mia guida e mia luce, mio creatore e mia strada, mio inizio e mio fine, padrone della mia vita e oggetto del mio amore.

Come si arriva a questo? Passando attraverso la fatica del dubbio, il buio della sofferenza, la notte della morte, le tenebre del fallimento, il sole che si oscura da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio, i segni dei chiodi nelle mani e nei piedi, il colpo di lancia nel costato... cose che fanno da contrasto, certo, con la luce del mattino di Pasqua, la pietra rotolata via dal sepolcro, le testimonianze dei due che lo hanno riconosciuto nello spezzare il pane, le mani di Maria che hanno stretto e baciato i suoi piedi forati, l'entusiasmo degli altri dieci che la sera di quello stesso giorno hanno avuto la fortuna di vederlo vivo in mezzo a loro solo perché chiusi in casa dalla paura. Tommaso non sapeva cosa fosse la paura: quello stesso giorno lui non era chiuso in casa con gli altri, non gli importava di essere ricercato dai Giudei, lui era già fuori, lui era già in cammino, lui era già in viaggio (e non smetterà più di farlo, se è vero che andrà ad annunciare il vangelo fino in India, secondo la tradizione), come ogni discepolo che non si chiude nel suo dolore, o nelle sue poche o tante certezze, ma si mette in cammino, alla ricerca, accettando anche di cadere nel dubbio, nell'incomprensione, nella sete di verifica, nell'indagine su Dio portata fino in fondo.

Perché in Dio non si crede “tanto per credere”, dando per buono tutto ciò che gli altri ci dicono di lui. Qualcuno ci riesce pur senza indagare, pur senza scrutare, pur senza voler vedere? Beato lui, lo ha detto anche Gesù! Ma come si fa a non avere a cuore un discepolo che crede perché vuole credere, che riconosce Dio perché lo vuole conoscere, che lo ama perché vuole amarlo?

La fede non è essere creduloni sempliciotti, tantomeno è bigottismo fagocitante. Credere significa arrivare a gridare “Mio Signore e mio Dio” dopo aver accettato il buio del dubbio, e magari anche subendo le burle di chi ti chiama “Didimo”, “Gemello” nel senso di “doppio”, quasi fosse una fede schizofrenica, la tua..

No, niente di tutto questo: è una fede vera, genuina perché sofferta e frutto di dubbi e ricerche. Pensiamoci, ogni volta che crediamo di aver perso la fede solo perché “dubitiamo” di Dio... e un “Gloria” a San Tommaso, ogni tanto, recitiamolo, con il più sincero “grazie” nel cuore.

 

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