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TESTO Storie di un giardino

don Angelo Casati  

Domenica di Pasqua (17/04/2022)

Vangelo: Gv 20,11-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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11Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro 12e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. 13Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto». 14Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. 15Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». 16Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» – che significa: «Maestro!». 17Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». 18Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.

Che bello che, a Pasqua, nella celebrazione del giorno, ci sia regalato dalla Liturgia il racconto del vangelo di Giovanni. Il racconto di un mattino, ove le parole sono un piccolo racimolo di voci sospese, e i gesti solo a sfiorare, e protagoniste sono le donne e la loro bellezza. Come se tutto fosse un risveglio, sottile, silenzioso. Come se tu assistessi al miracolo dell'aprirsi degli occhi. Alla Pasqua come risveglio mi hanno chiamato quest'anno tante cose. Forse anche una strofa della poesia sulla risurrezione di Alessandro Manzoni. Che scrive: "Come un forte inebriato / il Signor si risvegliò". Anche se "il forte inebriato", subito nella mia mente si ritraduce nell'immagine di un profeta, il figlio Dio, folle per amore. Risurrezione. E fu per lui risveglio.

Non è forse vero che quando uno di noi muore siamo soliti dire che "ha chiuso gli occhi"? Lui sì li aveva chiusi, ma i suoi occhi erano come gli occhi degli innamorati. Quando, occhi chiusi, il loro è un raccontarsi in silenzio. E lui ci ha raccontato, chiudendo gli occhi nella morte di croce. Occhi chiusi, ci ha raccontato il suo amore. Ebbene le ultime parole dei vangeli sul venerdì Santo, il venerdì della croce, vanno a fissare immagini di donne e i loro occhi. E' scritto: "Giuseppe d'Arimatea, preso il corpo di Gesù, lo avvolse in un candido lenzuolo e lo depose nella sua tomba nuova, che si era fatta scavare nella roccia; rotolata poi una gran pietra sulla porta del sepolcro, se ne andò. Erano lì, davanti al sepolcro, Maria di Màgdala e l'altra Maria". Erano lì, davanti al sepolcro, Maria di Màgdala e l'altra Maria". Passarono due notti e accadde nel cielo la luna piena della primavera.

Chissà, forse alla luna andò lo sguardo di una delle due Marie, quella di Magdala, nell'atto di aprire la porta e uscire al mattino. Sì, perché ancora era buio. Il racconto oggi ha perso per strada il suo inizio che suona così: "Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio". Peccato che sia stato scordato. Perché tutti noi nella vita a volte usciamo che ancora è buio, buio il cielo della vita, o con leggeri trasalimenti, quasi impercettibili. Era un po' buio anche negli occhi di Maria di Magdala. Ancora un po' buio quando la prese sorpresa e poi apprensione per la tomba vuota. Quasi che la morte avesse rapito del tutto il suo maestro ed amico. Ecco, forse all'origine delle nostre paure c'è il timore della onnipotenza della morte. Il timore di ogni potere che in qualche modo soffochi la speranza, soffochi la verità, la vita. E sono tanti i modi per soffocarla.

Per questo la voce di Gesù nel silenzio stupito di quel mattino, in un giardino in vigilia di germogli - lasciatemi dire - ha come lavato gli occhi di Maria dal buio che ancora la opprimeva. E oggi lava i nostri occhi, nel mattino della risurrezione. Se qualcuno ci chiama per nome, come per nome fu chiamata Maria dal suo amico, se qualcuno ci chiama per nome con tenerezza, siamo ancora vivi. E se noi, a nostra volta, chiamiamo con tenerezza per nome una donna, un uomo, o anche altro, è come se li facessimo vivi. Non ci saranno risparmiate le lacrime negli occhi, ci sarà risparmiata l'arroganza della morte. Il Signore è risorto.

Per questo in giorni come i nostri diventa gesto delicato raccontare il risveglio di Gesù e insieme mille e mille altri risvegli che ne prendono il respiro. No, non cancelliamo le tragedie. Ma il pericolo è che la morte si annidi dentro di noi, faccia nido nel cuore. E se fa nido, o, meglio, presa, non facciamo che aggiungere morte a morte, violenze vicine a violenze lontane. Penso che a volte succeda anche a voi di rimanere smarriti di fronte a parole, a sguardi, a gesti di una presunzione e tracotanza inimmaginabili, duri, prepotenti, verso tutti, verso tutto. Un'amica mi ha ricordato in questi giorni le parole di un poeta sufi, che certamente alcuni di voi conoscono. Jalal al Din Rumi, parole che mi hanno rimandato a tanti nostri dibattiti e non solo.

Eccole: "Elevate le parole, non il tono della voce. E' la pioggia che fa crescere i fiori, non il tuono". E nel cuore mi rivengono le parole del Risorto e della sua amica. Quelle del giardino. Sono pioggia che fa crescere i fiori. Solo se usi parole come queste, di intenerimento, sei fuori dalla tomba. Riascoltiamole nella loro bellezza. Le disse Gesù: "Donna, perché piangi? Chi cerchi?". Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: "Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove l'hai posto e io andrò a prenderlo". Gesù le disse: "Maria!". Ella si voltò e gli disse in ebraico: "Rabbunì!" - che significa: ""Maestro!". Solo parole abitate come queste, solo occhi abitati come questi, solo gesti abitati come questi diventano preludio di risvegli. Di risveglio come risurrezione. Che auguriamo a noi stessi e alla chiesa, al mondo.

Risveglio è parola che vorrei augurare, prima che ad ogni altro, a me stesso. Risveglio da tutto ciò che mi intorpidisce: una vita senza gioia, senza passione, senza sussulti. Grigiore e cupezza che mi contaminano. Una minaccia di cui parla papa Francesco nella sua esortazione apostolica "Evangelii gaudium". E' così, scrive Papa Francesco, che "prende forma la più grande minaccia, che è il grigio pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa, nel quale tutto apparentemente procede nella normalità, mentre in realtà la fede si va logorando e degenerando nella meschinità. Si sviluppa la psicologia della tomba, che poco a poco trasforma i cristiani in mummie da museo". Mummie da museo o donne e uomini del guardino della risurrezione, dell'aria profumata della primavera del Risorto?

Forse per questo, per contrastare la cupezza, la spietatezza, il buio, amiche e amici in questi giorni hanno come gareggiato nel mandarsi gli uni gli altri messaggi, parole e foto e suoni che raccontano risvegli: sono ritornate le rondini, profuma la primavera, i grembi sono rigonfi.

Il Signore è risorto.

 

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