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TESTO Raccontami del profumo

don Angelo Casati  

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Domenica delle Palme (10/04/2022)

Vangelo: Gv 11,55-12,11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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55Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. 56Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?». 57Intanto i capi dei sacerdoti e i farisei avevano dato ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo denunciasse, perché potessero arrestarlo.

1Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. 2E qui fecero per lui una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. 3Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. 4Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: 5«Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». 6Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. 7Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura. 8I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me».

9Intanto una grande folla di Giudei venne a sapere che egli si trovava là e accorse, non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. 10I capi dei sacerdoti allora decisero di uccidere anche Lazzaro, 11perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.

La domenica delle palme ha sapore di vigilia: giorni in cui, come allude la parola, essere vigili, in avvistamento della Pasqua. Occhi come di sentinelle, in avvistamento del nuovo. Il nostro cuore oggi andava dall'accorato carme del servo sofferente, prima lettura, al racconto della cena a Betania, un villaggio e una casa che abbiano imparato a conoscere e ad amare. Un poema accorato, il carme del servo sofferente, parole come velate di mistero. A chi attribuirle, a un singolo innocente o a un popolo? E in quale stagione della storia? Sto dicendo una stranezza, sto per dirvi che a me non spiace che rimanga questo mistero. Perché? Perché vorrei pensare che qui sono custodite pagine e pagine di storia, alcune scritte, altre si stanno scrivendo oggi, altre lo saranno nel futuro. Come fossimo chiamati a custodire. A custodire a memoria la sofferenza dell'innocente, degli innocenti, ma anche una promessa di liberazione: un non meglio identificato servo sofferente, o forse identificabile, solo che pensassimo a storie di donne e di uomini, di vecchi e di bambini, offesi nella loro dignità, maltrattati, trattai come carne da macello, oppressi, tolti di mezzo. E noi, dice il profeta, ne portiamo una responsabilità: perché non siamo stati vigili, perché intorpiditi dai nostri interessi, dai nostri egoismi, dalla nostra indifferenza.

E non azzardiamoci a dire che Dio vuole la sofferenza o che la sofferenza faccia parte di un disegno di Dio. Dio, nonostante il silenzio che a volte ci inquieta, sta dalla parte dell'offeso. E suo disegno, sua volontà - per questo dobbiamo operare - è innalzare chi è stato schiacciato a terra, far rifiorire la terra schiacciata. Oggi con il salmo abbiamo pregato: "Io sono sazio di sventure, la mia vita è sull'orlo degli inferi. Sono annoverato fra quelli che scendono nella fossa, sono come un uomo ormai senza forze. Sono libero, ma tra i morti". Così dal salmo. Ma, a proposito di salmi, e di parole come queste, vi devo una confessione: io a volte inciampo nei salmi. Mi fermo e cerco oltre: per esempio, quando i salmi chiedono o attribuiscono a Dio violenze e sterminio. Mi fermo. A volte mi chiedo anche come possa io, così spesso, invocare liberazione e difesa, io che non ho attraversato esperienze agghiaccianti, sofferenze immani, assalti e disprezzo di nemici. Ebbene vi dirò che in questi giorni, mi sono ritrovato sulle labbra parole di salmi, con cui mi sembrava di dare voce ai servi sofferenti di oggi, alla dismisura del loro soffrire, al buio del loro morire: "sono libero, ma tra i morti". E che cosa tocca a noi? Dove mi porta la Pasqua? Ecco, seguendo il racconto di Giovanni, entro ancora una volta, con voi, nella casa di Betania. Il racconto vive di una sorpresa. Che, a mio avviso, va custodita, come la cosa più preziosa. E dove sta la sorpresa? Che le sorelle avessero pensato a un pranzo o una cena per festeggiare Lazzaro, il fratello che da morto, per grido di un amico, era uscito dalla tomba, sembra cosa normale, quasi ovvia, rituale: "E qui" - è scritto - "fecero per lui una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali". Due righe per una cena; e chissà quanti giorni per prepararla. Ci sono pure gli apostoli. E poi, di certo, il cibo, il vino, l'allegria dei convitati. Ebbene non una parola di tutto questo. Una cena dimenticata.

E il grandangolo della telecamera va a concentrarsi su un particolare che prende campo, prende il posto del tutto. Eccolo: "Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell'aroma di quel profumo". Nasce la storia del profumo. La bellezza dell'unguento, la luminosità del profumo. Voi mi capite, è come se fossimo richiamati da Gesù alla bellezza di un gesto criticato, a contemplarlo per immergervi gli occhi, a innamorarcene, e a custodire la sapienza del vivere che vi è custodita. L'unica a capire lei, la sua amica. Altri addirittura a sporcare il cielo, il gesto: sono lontani anni luce dall'intuire che gli innamorati non stanno nelle misure, stanno nello smisurato, anche nello smisurato di un profumo. E che brutto che a sporcare il gesto della donna siano anche i discepoli, vestendo il loro dissenso con pseudo argomentazioni di attenzione ai poveri! Il gesto di Maria - voi lo avete colto - va a consacrare Gesù. Come se dicesse anche a noi: "Guardatelo, è l'Unto, è il Messia. Che non si ritrae. Nemmeno davanti alla morte. Lui, che la morte già la vive come presentimento nel cuore". Non dirà forse che quel profumo è in vista della sua sepoltura? Il profumo dilagherà oltre, oltre le pareti di una casa amata. Oltre sino a profumare la sua sepoltura. Il profumo che vince il cattivo odore della morte.

E che cosa ci diremo a Pasqua se non questo? Che il profumo dell'amore vince il cattivo odore della morte. E Gesù sembra dire agli apostoli: "Basta chiacchiere". Sembra dirlo ai soliti soloni dello spirito che si piccano di insegnare. Sembra dire a noi: "Date profumo. E accarezzate. Come questa donna". Pensate, fu riconosciuto Messia, da una donna, in un luogo non deputato, in un gesto trasgressivo delle logiche misurate e asfittiche. Fu riconosciuto Messia, nell'immagine di uno che si dona, di uno che è venuto non per essere servito, ma per servire. L'olio profumato racconta questo. Ma racconta anche un bisogno, un bisogno di Gesù. La donna, l'amica, aveva intuito che lui ne aveva bisogno. Per andare a morire. Bisogno di una promessa del Padre, ma bisogno anche di olio profumato, di capelli e di mani. Vedete, noi leggiamo e chiudiamo. Come se tutto fosse concluso. E invece no, perché quel bisogno Gesù se lo portò dentro sino alla fine. Come se non gli fosse bastato una volta sola, bisogno della casa del profumo, della tenerezza. E' commovente leggere nei vangeli come Gesù abbia desiderato passare le sere e le notti antecedenti la sua passione a Betania. Quasi avesse bisogno di respirare ancora il profumo di quell'olio prezioso.

Penso che anche noi ne abbiamo bisogno, c'è un'aria ammorbata. E non solo lontano, anche tra noi. Ne abbiamo bisogno. Sento gratitudine in cuore. Per Maria di Betania.

 

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