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TESTO Commento su Matteo 25,31-46

mons. Vincenzo Paglia  

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) - Cristo Re (20/11/2005)

Vangelo: Mt 25,31-46 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 31Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. 37Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. 40E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. 44Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. 45Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. 46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

Il Vangelo di questa domenica ci presenta Gesù alla fine della storia, nel momento del giudizio universale. La scena è grandiosa. Gesù, sul trono regale, è "accompagnato da tutti i suoi angeli". Davanti a lui sono convocate "tutte le genti": cristiani e non cristiani, credenti e non credenti, appartenenti a questa e quella nazione, vissuti prima e dopo Cristo. Tutti i popoli saranno lì. E non ci sarà nessuna distinzione tra loro, salvo una, che verrà però riconosciuta dal Figlio dell'Uomo nella sua veste di giudice universale. Una divisione di cui magari neppure ci si accorgeva sulla terra, a tal punto era deconsiderata. Il giudice però non se la inventa; la vede e la manifesta a tutti, ma soprattutto alle singole persone. Scrive il Vangelo che Gesù dividerà gli uni dagli altri, come il pastore divide le pecore dai capri. E metterà gli uni a destra e gli altri a sinistra. La divisione non passa tra un popolo e l'altro, ma all'interno degli stessi popoli, come pure non divide i credenti dai non credenti, ma all'interno dei due gruppi, e passerà all'interno delle stesse persone; per cui accade che una parte di noi stessi starà a sinistra e un'altra parte a destra di Gesù. Il criterio della divisione non si basa sulle diversità ideologiche, culturali, e neppure religiose, ma sul rapporto che ognuno ha avuto con i poveri. E di ognuno di noi si salverà quella parte e quel tempo di vita che ci hanno visti dare da mangiare agli affamati, dare da bere a chi aveva sete, vestire chi era nudo, visitare i carcerati.

Il giudice stesso, Gesù, si presenta e dice: "Avevo fame e mi hai dato da mangiare, avevo sete e mi hai dato da bere...". Il dialogo tra il giudice e gli interlocutori dei due gruppi mette a fuoco quest'aspetto sconcertante: il giudice universale della fine dei tempi, che tutti, buoni e cattivi, credenti e non credenti, riconoscono come Re e Signore, aveva il volto di quel barbone fastidioso, di quell'anziano sclerotico, di quel bambino sfigurato, di quei tanti extracomunitari rispediti indietro (magari a morire) perché qui non possiamo dare loro un sostentamento sufficiente. L'elenco, ognuno può continuarlo; basta girare un po' per le strade delle nostre città. La monotona ripetizione, in pochi versetti, delle sei situazioni di povertà, indica forse il loro frequente ripetersi. Questo sta a dire che il confronto decisivo tra noi e Dio non avviene in una cornice di gesti eroici e straordinari, ma nella quotidianità e nella banalità degli incontri con chi è debole e povero. Il criterio della salvezza, secondo il Vangelo che ci viene annunciato, è la prassi di amore e di attenzione verso i poveri, non importa se sai o non sai che in loro è presente Gesù stesso.

Due ultime brevi riflessioni. Anzitutto c'è da rilevare che l'identità tra Gesù e i poveri è un fatto oggettivo. Essi sono sacramento di Cristo, non perché sono buoni e onesti, ma unicamente perché poveri. È lontana dalla sensibilità evangelica la ricorrente pretesa che i poveri siano onesti, che non "ci marcino", per poter dare loro l'aiuto. È solo un'ottima scusa alla nostra avarizia. La seconda riflessione riguarda l'aspetto "laico" di questa pagina evangelica o, se si vuole, l'esplicita affermazione di non credenza di coloro che vengono ammessi alla "destra" del Re. Essi dicono esplicitamente che non hanno riconosciuto il Cristo in quei poveri che hanno aiutato. Ma questo non conta; vale la compassione e l'aiuto e, se si vuole, un cuore mosso dai sentimenti del Signore, lo si sappia o non lo si sappia. Certo è che l'aiuto ai poveri decide della nostra salvezza. La salvezza dei singoli, ma anche della società, sin da oggi.

 

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