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TESTO I frantumi volando reciteranno il tuo nome

don Angelo Casati  

V domenica di Quaresima (anno C) (03/04/2022)

Vangelo: Gv 11,1-53 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. 2Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. 3Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato».

4All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». 5Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. 6Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. 7Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». 8I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». 9Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; 10ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui».

11Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo». 12Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». 13Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. 14Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto 15e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». 16Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».

17Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. 18Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri 19e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. 20Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. 21Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! 22Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». 23Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». 24Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». 25Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; 26chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». 27Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».

28Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». 29Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. 30Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. 31Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.

32Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». 33Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, 34domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». 35Gesù scoppiò in pianto. 36Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». 37Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?».

38Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. 39Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». 40Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». 41Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. 42Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». 43Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». 44Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare».

45Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui. 46Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto.

47Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. 48Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». 49Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! 50Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». 51Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; 52e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. 53Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.

Io non so che cosa sia passato nel suo cuore - dico, nel cuore di Gesù - in quei due giorni, dalla notizia della malattia di Lazzaro alla decisione di andare a Betania. Ma ci è facile Immaginarlo: lui con i suoi pensieri e il suo cuore non poteva essere che là, a Betania, o anche là. E' struggente questo racconto. Il racconto - come mi sarà capitato di dire altre volte - apre spiragli su un mondo segreto, che pulsa in ognuno di noi, il mondo degli affetti. Un mondo intimo che pulsava in Gesù, il mondo dei suoi sentimenti, dei suo affetti, delle sue emozioni.

Voi mi capite, a volte, insistendo - ed è giusto - sulla dimensione universale del suo amore, le braccia allargate sulla croce per tutti, nello splendore del suo amore per ogni donna e per ogni uomo, per la terra, si finisce per dimenticare, o impallidire, i sentimenti, le vibrazioni umanissime, le tonalità inimmaginabili, che l'amore prendeva nel suo cuore. Certo Gesù va per case e case, ma non tutte erano uguali: quella di Betania ci rimane nel cuore, era per lui una casa speciale, casa di amicizie ingualcibili. Già le prime righe del racconto ce lo hanno fatto percepire scopertamente. Il brano inizia dicendo che "un certo Lazzaro di Betània, era malato".

"Un cero Lazzaro", quasi fosse uno dei tanti. No, le sorelle, quando vogliono informare Gesù del fratello malato, vanno oltre il nome: il loro fratello era più di quel nome; in un certo senso gli cambiano il nome. Le sorelle mandarono a dirgli: "Signore, ecco, colui che tu ami è malato". "Colui che tu ami": l'amore aggiunge nomi. Anche Betania non era un villaggio come tutti gli altri. E nemmeno la casa. La casa di Betania aveva un profumo diverso, tant'è che l'evangelista Giovanni, parlando di Maria, la sorella di Lazzaro, anticipa - quasi l'avesse già compiuto - quel gesto che accadrà in un seguito di giorni e scrive: "Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli". Come se non si potesse dire della casa di Betania senza dire del profumo e dei capelli.

E Giovanni insiste nel racconto a dire la profondità della relazione: "Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro". Insiste a dire, per ben due volte, che dinanzi al pianto di Maria e poi dei convenuti, Gesù fu profondamente commosso, turbato; nemmeno lui rimase ad occhi asciutti: "Scoppiò in pianto". Qualcuno - e forse anche a ragione - potrà obiettare che la mia sosta, su questo dilagare dei sentimenti nel racconto, è decisamente in eccesso.

Però - come molti di voi, immagino - anch'io mi sono chiesto della sproporzione nel brano tra l'accadere dei sentimenti e l'accadere del gesto di Gesù, che restituisce alla vita il suo amico. La sento come un invito, che mi viene rivolto, a non usare troppo disinvoltamente, con chi è provato da un distacco lacerante, la parola "risurrezione", se prima non ho condiviso tutto il peso di quella indicibile sofferenza. O forse Gesù vuole anche raccontarmi che sì, da un lato la morte sembra sovrastare l'incanto dei sentimenti, ma per poco: non avrà l'ultima vittoria, perché più forte della morte è l'amore.

La casa e le strade di Betania lo raccontano. Gesù iscrive proprio in questo pulsare di sentimenti, parole, degne di fiducia, che suonano come sconfitta di una morte che sembra vincente. A Marta, a noi oggi, dice: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?". Dice "io". Bellissimo. La risurrezione non mi suona come parola astratta, mi suona come persona. Sì, io ti guardo, i tuoi occhi sono lago di risurrezione. Le tue parole non sopporterebbero mai che io rimanga in una tomba, né oggi, né alla fine dei tempi. La tua è voce che fa uscire.

Non solo mi fa uscire, ma mi libera. Mi sbenda, già oggi; e in futuro mi sbenderà dall'ultima legatura: "Liberàtelo e lasciàtelo andare". Io ti guardo, tu dici: "Io sono la vita". Ti guardo. Tu soffio dell'in principio, mi fai respirare. E mi chiedi di essere vita, di far respirare. Mi insegni l'arte di far respirare. Un'arte da apprendere, in tutte le stagioni; e quanto più in questa stagione. "Far respirare" e non "togliere respiro". Sono rimasto sedotto in questi giorni da un titolo, che un mio amico, giovanissimo amico. Francesco Occhetto, ha dato a un suo contributo: "Verso una società della cura del respiro, unica risposta alla crudeltà umana".

La cura del respiro: e racconta del respiro degli umani, ma anche del respiro del cosmo intero. Anche gli uccelli hanno un respiro, anche un albero, anche una casa. Sì, c'è il respiro delle case e, se le si rade al suolo, se ne soffoca il respiro. Dio - ce lo ricorda il segno di Lazzaro - ha cura del tuo respiro, del mio respiro. E ancora a pregare che tu senta battere e ribattere veloce questo cuore come quando la mano ode il pulsare di un passero che spaurito ha trovato nel tuo corpo estremo rifugio. La cura del respiro. "Io" dice Gesù "sono la vita", sono respiro.

Io non so come avverrà l'ultimo mio passaggio, se sarà più o meno faticoso - il suo fu estremamente faticoso, da farlo morire in un grido - io non so. So che sarà lui a bussare, e avrà gli occhi di chi ama il respiro, la vita, la risurrezione. Gli leggerò negli occhi la cura della vita. Forse questo è un altro dei suoi nomi. Al cuore mi vengono versi di una poesia di un'amica, che altre volte vi ho ricordato, Chandra Livia Candiani. Li sento come un regalo, nell'aria di intimità della casa di Betania:

"Quando arriverà il tuo passo, metterò una conchiglia sopra la soglia e nell'aprirla i frantumi volando reciteranno il tuo nome".

 

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