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TESTO La conversione unica risposta

padre Gian Franco Scarpitta  

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III Domenica di Quaresima (Anno C) (20/03/2022)

Vangelo: Lc 13,1-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 13,1-9

1In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. 2Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? 3No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. 4O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? 5No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

6Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. 7Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. 8Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. 9Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Due episodi di cronaca commentati da Gesù all'epoca in cui erano accaduti sollevavano parecchi dubbi e domande la cui eco si riverbera anche in questi giorni, martoriati dal dolore e dallo scoramento causato da una guerra assurda che sta decimando migliaia di vittime innocenti, soprattutto fra donne e bambini, seminando panico, terrore e crudeltà. Da circa dieci giorni inorridiamo sconvolti e inebetiti, i media e i documentari ci stravolgono e ci incutono le seguenti domande: che colpa hanno tutti questi bambini nelle cause dei conflitti fra Russia e Ucraina? Perché una guerra così assurda e sanguinaria le cui vittime sono gli umili e gli indifesi che non hanno colpa alcuna? Hanno commesso forse quale peccato o qualche inadempienza tutti coloro che ora soffrono le atrocità della guerra, per meritare tanto strazio e tanto orrore?

Come adesso, così anche ai tempi di Gesù. Si fa riferimento in primo luogo a un eccidio ordito da Pilato per prevenire una possibile sommossa da parte di Galilei durante un pellegrinaggio a Gerusalemme: andavano per offrire a Dio delle vittime animali e loro stessi hanno subito il massacro, come le vittime della loro espiazione. Un secondo episodio narra del crollo rovinoso di una torre che aveva provocato diciotto morti. Nell'uno e nell'altro caso, ci si poneva appunto le stesse domande: cosa avevano fatto di cosi grave quei poveri Galilei per meritare di essere sterminati? E quelle povere vittime della caduta a Siloe, perché avevano dovuto subire una morte così atroce e meschina? Perché Dio non è intervenuto?

Certe disgrazie soprattutto a scapito di persone innocenti e fedeli, rappresentano in effetti delle tentazioni alla devianza nella nostra fede, perché scoraggiando disorientano e tendono insidie verso il dubbio: Dov'è Dio? In casi come questi la sua realtà e la sua volontà diventano indecifrabili e suscitano reazioni quali quelle che ebbe il giusto Giobbe, anch'egli perseguitato e oppresso nei suoi averi e nella sua famiglia: “E' forse bene per te opprimermi, disprezzare l'opera delle tue mani e favorire i progetti dei malvagi?”(Gb 10, 3)

E' indiscutibile che Dio, Bene supremo e Amore assoluto, non può essere origine né fautore del male e non può che detestare ogni sorta di oppressione e di cattiveria. La stressa Sacra Scrittura ci parla di ingiustizie, prevaricazioni, cattiverie ai danni degli umili e degli indifesi, ma contestualmente ci rappresenta come Dio prenda le distanze da tutto questo. Il male esiste, ma Dio non lo provoca e non lo approva: “Odiate il male, voi che amate il Signore”(Sal 96, 10).

Leibniz suggerisce che “Se Dio esiste, da dove viene il male? E se Dio non esiste, da dove viene il bene?” e affronta il problema affermando che il male non è altro che l'esplicitarsi dell'imperfezione congenita della creatura di fronte al Creatore; una conseguenza cioè di questa imperfezione. Inoltre il male, l'odio, la cattiveria, il vizio, l'orrore presente nel mondo si devono alla libertà di scelta dell'uomo: la libertà della creatura, che Dio rispetta, è origine della devianza e dell'errore e determina il male nel mondo, di cui Dio è innocente. La deliberazione umana di asservirsi all'orgoglio, alla presunzione e alla cupidigia, il rifiuto dei valori di altruismo e di rispetto e di solidarietà, l'autoesaltazione e la bramosia smodata, tutto questo costituisce il rifiuto della proposta di Dio e la scelta del male che si esterna sotto tutte le forme aberranti, per rovinare la nostra convivenza e per danneggiare, prima o poi coloro che il male lo esercitano.

Nonostante il libertinaggio umano, Dio tuttavia non rimane indifferente al dolore dell'uomo oppresso e la sua giustizia, seppure apparentemente lenta nel procedere, avrà la meglio sulla presunzione e sulla tracotanza. Il bene trionferà alla fine, sia perché attendiamo un giudizio definitivo sia perché coloro che uccidono di spada moriranno della stessa spada (Mt 26, 52).

Ma soprattutto, nel suo Figlio Gesù Cristo Verbo Incarnato, Dio ci fornisce la risposta su un altro interrogativo inquietante: Perché lui, pur non volendo il male, non interviene per debellarlo? Se Dio è amore e onnipotenza e si schiera dalla parte degli umili, perché lascia che questi subiscano oltraggi e vituperi immeritati? Il commento di Gesù ai due fatti di cronaca sopra esposti ci offre una soluzione: occorre che ci convertiamo. Non soltanto che si convertano coloro che sono soliti operare il male, ma che tutti si convertano, anche coloro che presumono di essere giusti e irreprensibili, e del resto nessuno di noi può concludere di essere più meritevole dei cosiddetti “peccatori pubblici.” Se è detestabile chi genera odio, distruzione e violenza, non è giustificato neppure chi sbaglia sotto altri aspetti verso Dio e verso il prossimo: siamo tutti rei di colpa, soprattutto quando non optiamo per l'autocritica e per un serio discernimento in noi stessi.

E' vero del resto che, anche a prescindere da guerre e orrori, tutti noi siamo sempre stati avvinti dalla morsa della secolarizzazione, dell'indifferentismo religioso, dell'incuria spirituale e in ogni caso, anche se nella forma differente, il peccato ci ha sempre interessati.

Ecco allora un'altra spiegazione alla problematica del dolore e della sofferenza: siamo chiamati a farla finita con il peccato, a cambiare costume, mentalità, a reimpostare la nostra vita orientando pensieri, intendimenti e azioni secondo Dio. Questo è conversione, un processo che parte dall'appello di Dio che “non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva”(Ez 33, 11) e attende con pazienza che l'uomo si decida per lui.

Dio nei confronti dell'uomo più che la riprovazione esercita la fiducia e tende a sfruttare in positivo tutte le qualità e i pregi di cui ciascuno di noi è detentore, come emerge nel suggestivo episodio dell'incontro con Mosè sul monte Oreb (I lettura Es 3, 10 e ss): Dio non considera lo stato peccaminoso di Mosè (che aveva ucciso un uomo) o le sue carenze di cultura e di costume, semplicemente chiama proprio lui per renderlo partecipe di un progetto di salvezza che sarà impegnativo quanto importante. Così Dio vuol trattare l'uomo, con amicizia, stima ed estremo consenso di fiducia. Ma per questo o chiama innanzitutto alla comunione con sé, perché il primo atto dialogico fra Dio e l'uomo avviene nella conversione.

Come potrebbero emergere opere buone e buoni intendimenti e proposito se il cuore dell'uomo continua ad essere perfido e malvagio? Perché si rinnovi in meglio la nostra convivenza, è indispensabile che cuore, mente e volontà siano genuine, sincere e orientate verso sani principi anche di altruismo e di bontà.

Convertirsi è un monito di cui tutti siamo destinatari, non soltanto alcune categorie di persone; in tale processo siamo sostenuti e incoraggiati, motivati dagli strumenti della grazia e da una condiscendenza divina di cui solo Gesù Figlio di Dio può essere capace: lo si paragona infatti a un ingenuo bracciante agricolo che convince il padrone a desistere dal proposito di sopprimere un fico (inspiegabilmente) sterile che occupa gran parte del terreno. Il padrone potrebbe infatti estirpare quell'albero inane e infruttuoso e guadagnare spazio per nuove culture con nuovi profitti, ma il servo provvederà con tutti i mezzi affinché possa portare frutto in futuro. Così Dio Padre in Gesù Cristo non si stanca mai di operare in noi affinché portiamo frutti di conversione; perché cioè il rinnovamento auspicato in noi stessi secondo il suo volere possa riprodursi in opere di carità concreta, con un nuovo sistema di pensiero in grado di cambiare davvero il mondo e la società.

 

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