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TESTO La bellezza di un restauro

don Angelo Casati  

I domenica di Quaresima (Anno C) (06/03/2022)

Vangelo: Mt 4,1-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. 2Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. 3Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». 4Ma egli rispose: «Sta scritto:

Non di solo pane vivrà l’uomo,

ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».

5Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio 6e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti:

Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo

ed essi ti porteranno sulle loro mani

perché il tuo piede non inciampi in una pietra».

7Gesù gli rispose: «Sta scritto anche:

Non metterai alla prova il Signore Dio tuo».

8Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria 9e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». 10Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti:

Il Signore, Dio tuo, adorerai:

a lui solo renderai culto».

11Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

Sono giorni difficili. Difficile è anche parlare perché il cuore non è sgombro da tristezze. Ma quando mai lo è del tutto sgombro? Se negli occhi teniamo, a custodia almeno intermittente, visi di donne e di uomini! Oggi nel tempo liturgico si affaccia la Quaresima. Una opportunità per noi, e per il nostro stare nel mondo e oltre. A volte noi le opportunità le sprechiamo. Anche della parola "opportunità" si fa spreco, e a volte abuso, nei media, a seduzione e cattura: "Questa è una opportunità per te!". Per ben altro mi risuona oggi la parola, all'affaccio della quaresima. Come una voce, che, conoscendomi nel profondo, mi interroga sulla necessità e la bellezza del restauro. Dell'anima e della vita. Perdonate, mi capita spesso di parlare di restauro. Perché? Perché è un'operazione di grande fascino. Oserei la parola "emozione". E penso che alcuni di voi l'abbiano vissuta.

Perdonate il ricordo molto particolare. Ero parroco, tanti e tanti anni fa, in faccia a lago e montagne; nella chiesa parrocchiale una statua di San Carlo Borromeo, all'apparenza di marmo, vegliava dall'alto sulla navata. Ricorrevano i quattrocento anni dalla morte. Calandola dall'alto la scoperta fu che non era affatto di marmo, era una statua lignea a cui era stato sovrapposto quel colore gelido che le dava forma di marmo. Forma o deturpazione? L'emozione durò giorni e giorni: ebbe inizio quando, per dono di mani appassionate di un amico restauratore, cominciò a sgusciare il rosso di una tonaca, il bianco di un rocchetto, il colorito di un viso. Come se la statua, dopo tanto grigiore, rivivesse. Operazione lenta, ma emozionante.

Vorrei lasciare l'immagine per la quaresima: il restauro. Opera lenta, quella del mio restauro. A volte mi sento grigio. E non bastano i ruoli dietro cui ci nascondiamo e nemmeno le parole religiose. Anche il demonio ne fa sfoggio, grande sfoggio, con Gesù. Possono essere una maschera. E le maschere religiose sono quelle più pericolose, le più resistenti a lasciare la presa sulla pelle. Quelle del carnevale al confronto sono un gioco. Giorni fa, proprio mentre i pensieri mi andavano al restauro, mi accadde di essere abbagliato dal titolo di un articolo in un inserto di quotidiano. Il titolo suonava così: "Dalla fede alla paccottiglia". Il titolo in verità era riferito a un monumento d'arte, ma, chissà perché. mi sembrava evocare una deriva più vasta, simile a quella della statua di san Carlo. Fede sincera o paccottiglia?

Oggi nel salmo, rivolgendoci a Dio, abbiamo pregato per la sincerità: "Ma tu gradisci la sincerità nel mio intimo, nel segreto del cuore mi insegni la sapienza". Nel segreto del cuore, il segreto del deserto in cui Gesù fu condotto dallo Spirito. Era sceso su di lui nel Battesimo. Lo condusse al silenzio. Dove resistette con tutta la sua libertà - affascinante nella libertà - al grigiore delle colle, nascoste nelle tentazioni del deserto. Le tentazioni del deserto non sono che una sintesi potente delle tentazioni che sfiorarono la pelle del rabbi di Nazaret, e non in una pausa di giorni, ma lungo tutta la sua vita, "quaranta", una vita. La sua vita esposta, la nostra esposta. "Di' che queste pietre diventino pane".

Voi mi capite, il rifiuto della fatica del pane. Il pane non viene dal nulla, per magia: la cura delle zolle, la semina, la custodia, la mietitura, il raccolto, la macina del mulino l'impasto, la cottura, il profumo, profumo di pane. La storia del pane non è un venire da pietre. E dunque - direbbe Dietrich Bonhoeffer, il pastore e teologo protestante giustiziato dai nazisti - non la religione del "Dio tappabuchi", ma del Dio che affida alle nostre mani talenti, invoca la nostra responsabilità, la storia del pane, E niente dimissioni dal nostro possibile. Ricordo una preghiera prima dei pasti, recitata per anni - o forse ancora oggi - che mi lasciava il cuore perplesso: "Benedici, Signore, questo cibo, che stiamo per prendere e danne a coloro che non ne hanno". Peccato che la preghiera dimenticasse che un giorno Gesù aveva detto: "Date loro voi da mangiare".

La fatica del nostro pane e del pane degli altri. Dio non si sostituisce a noi né per il pane, né - che so io - per la composizione di un conflitto. A lui è giusto e rincuorante chiedere luce e coraggio, chiedergli passione, creatività, immaginazione. E a seguire: "Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: "Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra". Quasi a suggerire che questo sì sarebbe stato un colpo eccezionale per il regno di Dio, cui stava per dare inizio sulla terra: un colpo di scena, lontani dalla logica del silenzio in cui cresce il seme, il brivido del successo, delle folle plaudenti, dei riconoscimenti che ti distinguono da donne e uomini comuni. Mentre il cuore di Gesù andava alla intensità della voce mite, pensante, preoccupata di tutto ciò che potrebbe ferire la dignità indifesa di un piccolo. E ancora, da ultimo: "Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai". Allora Gesù gli rispose: "Vattene, Satana!". Lo allontanò con sdegno. Come se il satana fosse arrivato al culmine della dissacrazione del vivere, una proposta che di più indecenti e distruttive non ce ne potevano essere.

Un potere svuotato dalla passione per il bene comune, manipolato dal delirio dell'affermazione di se stessi e dei propri interessi. "Vattene, satana". Non aveva niente da spartire uno come lui che era venuto non per farsi servire ma per servire, uno come lui che non si sarebbe mai inginocchiato ai piedi di nessuno, o solo sì, una sera, la sera della sua cattura, in ginocchio poco prima, cinti i fianchi con un asciugatoio, un catino d'acqua, a lavare piedi sporchi e affaticati di discepoli. Ecco dove inginocchiarci, secondo lui.

Guardo. Ascolto. E' quaresima. Mi prende desiderio di restauri.

 

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