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TESTO Commento su Luca 19,11-28

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Mercoledì della XXXIII settimana del Tempo Ordinario (Anno I) (16/11/2005)

Vangelo: Lc 19,11-28 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 19,11-28

11Mentre essi stavano ad ascoltare queste cose, disse ancora una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi pensavano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro. 12Disse dunque: «Un uomo di nobile famiglia partì per un paese lontano, per ricevere il titolo di re e poi ritornare. 13Chiamati dieci dei suoi servi, consegnò loro dieci monete d’oro, dicendo: “Fatele fruttare fino al mio ritorno”. 14Ma i suoi cittadini lo odiavano e mandarono dietro di lui una delegazione a dire: “Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi”. 15Dopo aver ricevuto il titolo di re, egli ritornò e fece chiamare quei servi a cui aveva consegnato il denaro, per sapere quanto ciascuno avesse guadagnato. 16Si presentò il primo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate dieci”. 17Gli disse: “Bene, servo buono! Poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città”. 18Poi si presentò il secondo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate cinque”. 19Anche a questo disse: “Tu pure sarai a capo di cinque città”. 20Venne poi anche un altro e disse: “Signore, ecco la tua moneta d’oro, che ho tenuto nascosta in un fazzoletto; 21avevo paura di te, che sei un uomo severo: prendi quello che non hai messo in deposito e mieti quello che non hai seminato”. 22Gli rispose: “Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: 23perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi”. 24Disse poi ai presenti: “Toglietegli la moneta d’oro e datela a colui che ne ha dieci”. 25Gli risposero: “Signore, ne ha già dieci!”. 26“Io vi dico: A chi ha, sarà dato; invece a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. 27E quei miei nemici, che non volevano che io diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me”».

28Dette queste cose, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme.

Dalla Parola del

giorno

Un uomo di nobile stirpe partì per un paese lontano per ricevere un titolo

regale e poi ritornare. Chiamati dieci servi, consegnò loro dieci mine, dicendo: Impiegatele fino

al mio ritorno. Ma i suoi cittadini lo odiavano e gli mandarono dietro un'ambasceria a dire:

"Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi".


Come vivere questa Parola?

"Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi" –

ecco il dramma che Gesù ci lascia intravedere attraverso la parabola delle mine. Ed è il dramma

del rifiuto di Dio. Sembra, a prima acchito, che questa sia una nota secondaria rispetto

all'evolversi del racconto parabolico caratterizzato dalla necessità di impiegare bene le mine,

ossia i doni di Dio. Invece questa nota è il perno di tutto. Sì, perché impiegare bene le mine

significa accettare innanzi tutto di essere "servi". Ma per accettare di essere servi bisogna

maturare la consapevolezza del nostro dipendere da Dio, percependo di essere innestati in Lui

come il tralcio alla vite, dunque a Lui uniti e sottomessi, senza per questo sentirsi

dimezzati.

Ma concretamente come devo accogliere la signoria di Dio nella mia vita? Cosa devo

mettere in atto? Il testo dice che "i cittadini odiavano quest'uomo di nobile stirpe". Non

solo: si rifiutavano di contattarlo direttamente, gli mandavano un'ambasceria. Dunque, far

regnare Dio su di noi, significa amarlo e contattarlo. Amarlo con tutto il cuore, senza finzioni,

e contattarlo nella Sua Parola, fedelmente, ogni giorno, come faremo anche oggi, con gli occhi

puntati sulla splendida icona della lavanda dei piedi per contemplare la sua divina regalità

china sull'uomo, a servire, "fino alla fine".

Noi vogliamo, Signore, che Tu solo

regni su di noi! E come Te, vogliamo regnare nel servizio, chini sui nostri fratelli, nell'umile

gesto della lavanda dei piedi.

La voce di una mistica del XX secolo

Perché

Dio sia veramente il nostro re, eclissiamoci, dimentichiamoci, siamo soltanto la lode della sua

gloria.

Elisabetta della

Trinità

 

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