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TESTO A scuola di sguardi

don Angelo Casati  

Penultima domenica dopo Epifania (anno C) (20/02/2022)

Vangelo: Mc 2,13-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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13Uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli insegnava loro. 14Passando, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.

15Mentre stava a tavola in casa di lui, anche molti pubblicani e peccatori erano a tavola con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. 16Allora gli scribi dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?». 17Udito questo, Gesù disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».

Passa da strade a case. Nel brano di vangelo, che oggi abbiamo ascoltato, prima affiora una strada lungo il lago: "Passando, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte". Poi una casa: "Mentre stava a tavola in casa di lui, anche molti pubblicani e peccatori erano a tavola con Gesù e i suoi discepoli". Strade e case, luoghi privilegiati per Gesù E tali dovrebbero essere per la chiesa, per coloro che seguono la via, aperta da Gesù. Strade e case. Affascinante quello che accadde quel giorno prima sulla strada e poi nella casa. Ma a violarne la bellezza, il fascino, ecco subito la miopia delle critiche: "Allora gli scribi dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: "Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?"".

E' il prezzo che Gesù deve pagare. Per la sua apertura. E da subito. Da subito i suoi oppositori avevano capito che, con quel rabbi, l'aria cambiava. Da subito. Gli occhi mi sono corsi al numero del capitolo del vangelo: secondo capitolo di Marco. E' appena iniziata la missione di Gesù. E dalle prima riga all'ultima è una grandinata di pedinamenti, di accuse, di critiche. Prima perché a un paralitico, che gli avevano calato davanti da un tetto scoperchiato, aveva detto: "Ti sono perdonati i peccati"; poi per la tavolata in casa di Levi con pubblicani e peccatori; poi per i suoi discepoli che giustappunto non digiunavano; e alla fine, ancora, per i discepoli che, passando di sabato fra campi di grano, ne sfregavano fra le mani le spighe.

Strana arte, malaugurata arte, anzi non-arte, questa, di sporcare di meschinità, di ottusità, di ipocrisie, limpidezze di cielo, che quel rabbi disegnava con i suoi gesti e le sue parole. A parole di retroguardia lui opponeva il nuovo del vangelo. E così dovrebbe essere di una chiesa: far sussultare per il nuovo del vangelo. Fu così anche il giorno della vocazione di Levi, di Matteo. Al cuore di molti di noi il racconto ridesta la suggestione di un dipinto imperdibile del Caravaggio, molto caro, fin da quando era cardinale, a Papa Francesco, nella chiesa di San Luigi dei francesi a Roma. All'interno di una casa, da una finestra impolverata, ignorata, lontana, bussa un fiotto di luce che va a scovare e imbrividire i visi dei presenti e accende una suggestiva connessione tra mani: quella di Gesù, che sembra puntare il dito verso Matteo osando un "seguimi", e quella di Matteo che sembra ritrarsl, in segno di stupefatta interrogazione: "Proprio io? Io, con te?".

Mi sono anche chiesto perché nel dipinto del Caravaggio avvenga questa trasposizione della scena: dalla strada alla casa. Che fosse timore che all'aria aperta la suggestione evaporasse? Eppure è scritto: "passando vide". All'aria aperta, come a dire che non ci sono né ore né luoghi né condizioni, deputate al risuonare dell'invito a seguire Gesù. O forse Caravaggio ha dato ospitalità nella casa buia, per raccontare l'accadere della luce nell'ombra di una intimità. E quella casa poteva evocare il cuore di Matteo e di tanti di noi, la nostra condizione che patisce il buio, e poi il sentirci cercati con il nostro buio, chiamati con le nostre storie, che non sono una immacolatezza, nemmeno Matteo lo era: "Seguimi". "Seguimi" e il dito della mano fa cenno a te, a me. E la voce a dire: "Seguimi". E tutto sta in questo verbo.

Vedete, la fede non è un armamentario di nozioni, è udire una voce e alzarsi e seguire: "Si alzò e lo seguì". Noi, sì, ci battezzano da infanti. Ma quando? Quando accade la voce e la scelta di seguire? Quando accadde a me? Quando accadde a te? Di certo non ci fu uno stramazzare da cavallo come per Paolo. Ma forse il giorno in cui prendesti consapevolezza che proprio non avresti potuto andare avanti per abitudine. Fu un po' come accadde un giorno ai discepoli che, al ritrarsi di altri, si sentirono dire da Gesù: "Volete andarvene anche voi?" E Pietro di rimando: "Da chi andremo? Solo tu hai parole che accendono la vita. Per sempre". Penso che sarebbe bello che ognuno di noi potesse riandare a un giorno o a tempi, in cui gli parve di sentire la voce a seguire. E fragili come eravamo, ci alzammo, con il desiderio di seguirlo.

Per lo più avviene nella penombra intima, segreta, silenziosa, dell'anima. La casa del cuore, ombre e luce. Ed ora dalla strada lungo il lago passiamo alla casa di Matteo, prima tappa - pensate - del seguire Gesù. Gesù non ti sequestra, né ti chiede spiritualità asfittiche: una casa, una tavolata, mangiare e bere in compagnia. Le porte erano aperte, l'eco di quell'allegria, a tavola con pubblicani e peccatori, non poteva non infastidire quelli che si intestardivano a tallonare ogni dove Gesù, per prenderlo in fallo: "Dicevano ai suoi discepoli: "Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?". Udito questo, Gesù disse loro: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori"".

Era cambiata l'aria. La preferenza non andava più ai circoli chiusi, impenetrabili, sospettosi: lui era per una gioia laica. E sulle labbra di Gesù anche una citazione dal Primo Testamento. Marco e Luca se la sono dimenticata; non poteva certo dimenticarla Matteo, detta in casa sua. Era come se fosse rimasta scritta sulle pareti della sua casa. Soprattutto sulle pareti del suo cuore. A loro che erano i custodi e i controllori della fede Gesù, senza esitare, aveva detto che andassero a imparare: "Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici!" (Mt 9,13). Citava il profeta Osea, che in bocca a Dio mette queste parole "Voglio l'amore e non il sacrificio" (Os 6,6). Gesù riaccende le parole soffocate da cenere. Anche da cenere soffocante di guerra. In primo piano non sono i sacrifici, i riti, ma la misericordia, la compassione, l'amore. In primo piano per noi lo sguardo di Gesù, prima al banco delle imposte, poi nella casa di Matteo.

"Che cosa vuoi da me, Signore?". "Voglio la misericordia, voglio la compassione, voglio l'amore. Voglio lo sguardo". E se siamo qui, è per imparare quello sguardo.

 

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