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TESTO La lingua di Dio

don Angelo Casati  

6a domenica dopo Epifania (anno C) (13/02/2022)

Vangelo: Lc 17,11-19 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Erano dieci. Ed era bellissimo, anche biblicamente, il numero. Dieci, peccato che poi si scompongono, nove più uno! E capita. E io dove sono? In compagnia dell'uno o in compagnia dei nove? O un po' di qui e un po' di là? Erano in In dieci e staresti per dire: "Strana compagnia!". Perché quello che poi divenne uno era un samaritano. Ed era, sì, una stranezza buona, perché i nove non l'avevano tenuto distante. Come avrebbero dovuto fare secondo le sacre regole: con i samaritani non ci parli. Distanti li tenevano quelli del villaggio: infatti Gesù i lebbrosi non li trova dentro, ma alle porte del villaggio.

I dieci tra loro non tengono distanze: come se la sofferenza invocasse compagnia e si sbarazzasse d'un colpo di tutti i pregiudizi religiosi e non religiosi, quelli che creano esclusione. Li aveva resi compagni la lebbra. Certo, all'inizio, pur avendo sentito parlare di lui - lo chiamano "maestro" - stanno a distanza rispettando la regola. Come lui la pensasse non era ancora tutto così chiaro. E' scritto che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: "Gesù, maestro, abbi pietà di noi!". E sono in dieci ad alzare la voce. In dieci si dà più forza al dolore. E il dolore diventa grido. Forse è un richiamo a non giudicare affrettatamente, come esagerazione, il grido, chiedendo - che so io - maggiore compostezza. Lo facciamo spesso; soprattutto quando ad alzare la voce sono i ragazzi.

Ci sono poi persone che, se non gridano il dolore, nemmeno le vediamo. Gesù vede, ascolta. Ascolta. Anche quando, lì per lì, sembra non operare. Disse loro: "Andate a presentarvi ai sacerdoti". Come se il problema fosse già risolto. Ma loro se la vedevano ancora addosso, incollata alla carne, la loro malattia. Andarono. Ecco, andare, mettersi in cammino, quando il problema non è ancora risolto. Non aspettare che tutto sia risolto. E avere dall'altra parte il dono, l'arte di mettere in cammino, quando non tutto è ancora risolto. Quando la malattia ancora ti ferisce. E quella era malattia che ti deturpava, da girar via lo sguardo: la carne così difforme, lontana da quella delle origini.

E allora lebbra è per me tutto ciò che silenziosamente mi devasta, portandomi lontano dalle origini. Sta scritto, tra le prime parole della Bibbia, che Dio disse: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza". E ancora: "Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò" (Gen 2, 26-27). Voi mi capite, chiamati ad essere copia di Dio, o - se volete - ad essere una copia meno difforme di Dio, di Gesù, lui, copia luminosa. E noi dunque dietro le sue orme. Ha lasciato le impronte sulla terra. Ritorno ai dieci. Chissà se da Gesù ai sacerdoti sarebbe stato un lungo viaggio. Luca non ce lo dice, come non ci dice che cosa possano aver provato nel sentirsi, tutto a un tratto, risvegliare il corpo e ringiovanire la pelle. Solo annota: "mentre essi andavano, furono purificati". E' nell'andare che si guarisce.

E sulla strada - in contemporanea con la guarigione - accade la scomposizione del gruppo: nove procedono, uno ritorna. Ritorna quello che, secondo i sacri canoni, era il più lontano, un samaritano: "Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano". Pensate prima aveva con gli altri cavato fuori tutta la sua voce, per chiedere soccorso, ora per ringraziare. E Gesù, con una delle sue parole imperdibili, annota la differenza, la differenza tra essere guariti ed essere salvati. E gli disse: "Àlzati e va'; la tua fede ti ha salvato!".

Dove vede la fede? Nella gratitudine. Come a dire: puoi anche essere sano o risanato nel corpo, ma senza la gratitudine che uomo o che donna sei? Non ti salvi in umanità. Che uomo o donna è chi non si commuove a un dono e non racconta la sua gratitudine? Avere voglia di buttarsi ai piedi. E tu mi rialzi. E subito mi nasce la domanda: la stagione che viviamo è di gratitudine, di gentilezze? Un'amica prima, poi altri, parlandomi in questi giorni di accensioni al Festival di Sanremo, mi hanno ricordato un momento intenso in cui un cantante, Jovanotti, diede voce a una poesia di Mariangela Gualtieri, dove la gratitudine si accende ad ogni verso: "In quest'ora della sera / da questo punto del mondo / ringraziare desidero...". E' un succedersi di motivi, spesso trascurati per smemoratezze, per cui ringraziare.

"Hai mai ringraziato per questo?": mi chiedevo, rincorrendo quel "ringraziare desidero". Oggi leggendo che a salvarci è la gratitudine mi sono ricordato che dell'importanza del dire "grazie" parla spesso papa Francesco, con parole che, molto più delle mie, bussano alla vita. Ve le lascio, concludendo: "Certe volte viene da pensare che stiamo diventando una civiltà delle cattive maniere e delle cattive parole, come se fossero un segno di emancipazione. Le sentiamo dire tante volte anche pubblicamente. La gentilezza e la capacità di ringraziare vengono viste come un segno di debolezza, a volte suscitano addirittura diffidenza. Questa tendenza va contrastata nel grembo stesso della famiglia.

Dobbiamo diventare intransigenti sull'educazione alla gratitudine, alla riconoscenza: la dignità della persona e la giustizia sociale passano entrambe da qui. Se la vita famigliare trascura questo stile, anche la vita sociale lo perderà. La gratitudine, poi, per un credente, è nel cuore stesso della fede: un cristiano che non sa ringraziare è uno che ha dimenticato la lingua di Dio. Sentite bene: un cristiano che non sa ringraziare è uno che ha dimenticato la lingua di Dio. Ricordiamo la domanda di Gesù, quando guarì dieci lebbrosi e solo uno di loro tornò a ringraziare. Una volta ho sentito dire da una persona anziana, molto saggia, molto buona, semplice, ma con quella saggezza della pietà, della vita: "La gratitudine è una pianta che cresce soltanto nella terra delle anime nobili".

Quella nobiltà dell'anima, quella grazia di Dio nell'anima ci spinge a dire grazie, alla gratitudine. È il fiore di un'anima nobile. È una bella cosa questa!". E' la lingua di Dio.

 

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