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TESTO Nella beatitudine, ma a rischio di guai

padre Antonio Rungi

VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (13/02/2022)

Vangelo: Lc 6,17.20-26 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù, 17disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone,

20Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:

«Beati voi, poveri,

perché vostro è il regno di Dio.

21Beati voi, che ora avete fame,

perché sarete saziati.

Beati voi, che ora piangete,

perché riderete.

22Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. 23Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.

24Ma guai a voi, ricchi,

perché avete già ricevuto la vostra consolazione.

25Guai a voi, che ora siete sazi,

perché avrete fame.

Guai a voi, che ora ridete,

perché sarete nel dolore e piangerete.

26Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti.

La parola di Dio della sesta domenica del tempo ordinario ci porta a riflettere su tanti aspetti della vita cristiana e come impegnarsi seriamente a corrispondere in pienezza alla chiamata alla santità universale. A partire dal Vangelo di Luca, con Gesù facciamo anche noi un un'esperienza di ascolto e di impegno.
Gesù viene presentato in un luogo pianeggiante, dove era disceso con i suoi dodici discepoli. In questo luogo, non precisato da San Luca, leggiamo nel vangelo che c'era una grande folla di suoi discepoli e soprattutto è evidenziato che era presente una grande moltitudine di gente proveniente dalla Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tito e Sidone. Due gruppi distinti di ascoltatori. Chi lo conosceva già Gesù e chi per la prima volta incontrava il suo sguardo. Davanti a questo spettacolo di una moltitudine di persone che vogliono ascoltarlo, toccarlo per essere guariti dalle varie infermità, Gesù tiene il suo discorso. In quel suo dire, troviamo gli stessi argomenti, che san Matteo riporta nell'altrettanto, e sicuramente meglio conosciuto discorso della montagna. Si tratta del discorso delle beatitudini.
San Luca le sintetizza in quattro principali categorie di persone più esposte alla sofferenza e al dolore (i poveri, gli affamati, quelli che piangono) e soprattutto coloro saranno messi al bando, verranno insultati e disprezzati, o classificati come infami, a causa del Figlio dell'uomo. Su tutte queste sofferenze e problematiche si erge forte e prepotente la ricompensa del cielo. Se da un lato Gesù coglie l'occasione in questo discorso della pianura per esaltare quanti vivono in coerenza con il vangelo e il suo insegnamento; dall'altra condanna senza mezze misure quelli che sono in opposizione netta con la legge dell'amore, della carità, del dono e della solidarietà.
Non a caso vede guai per chi è ricco, per chi è sazio di tutto e non solo del cibo, per coloro che ridono, ma non hanno la vera gioia nel cuore, per coloro che sono esaltati ed osannati o che si autoesaltano per evidenziare la loro superiorità sugli altri, il loro potere incontrastato. Per tutti costoro c'è un giudizio della storia e soprattutto di Dio.
Gesù non è indifferente, m consola, rincuora, promette e rimprovera. Quattro promesse di felicità, quattro rimproveri per coloro che non vivono con il pensiero rivolto a Dio e al cielo.
Nel trasmettere queste parole di Gesù, Luca sta, sicuramente, pensando alle comunità del suo tempo, verso la fine del primo secolo. Vi erano ricchi e poveri, c'era discriminazione contro i poveri da parte dei ricchi, discriminazione che marcava anche la struttura dell'Impero Romano. Non è tenero neppure con altri soggetti a rischio di perdizione.
Il discorso della pianura, Gesù lo fa, dopo aver pregato durante la notte. Non resta sul monte, ma scende a valle, per incontrare e dialogare, per essere vicino e non distante, per aiutare e non lasciare a se stessi chi lo cerca e desidera toccarlo, per far fare a tutti, discepoli e stranieri, un cammino di vera fede, speranza e carità.
In altri termini, Luca presenta Gesù con il volto del Maestro che va incontro ai poveri, ai miseri, e sana le loro ferite con il balsamo dell'amore e della misericordia.
Gesù si fa nodello e punto di riferimento per sviluppare il suo discorso di docente del vero amore che viene dal cielo. Scende, infatti, sulla terra, nel mistero dell'incarnazione, per ritornare nuovamente in cielo, dopo la sua morte, risurrezione e ascensione e ordina di amare addirittura i nemici.
Il vero amore non può dipendere da ciò che riceviamo dagli altri, ma da ciò che siamo capaci di donare. L'amore deve volere il bene dell'altro indipendentemente da ciò che l'altro può fare e fa per me.
L'amore è trasmettere gioia e comunicare un sano umorismo che si alimenta in un cuore pieno d'amore di Dio e dei fratelli.

Giustamente, il profeta Geremia, nel brano della prima lettura di questa domenica, ammonisce severamente i suoi correligiosi, riportando le parole del Signore: «Maledetto l'uomo che confida nell'uomo, e pone nella carne il suo sostegno, allontanando il suo cuore dal Signore”.
Chi vive lontano da Dio si inaridisce, muore spiritualmente e diventa come un tamarisco nella steppa; non vedrà venire il bene, dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere”. Invece è benedetto quell'uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. E come cose che sprigionano vita, egli sarà come un albero piantato lungo un corso d'acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi, nell'anno della siccità non si dà pena, non smette di produrre frutti». Una bellissima ed attraente immagine di quelle persone di fede che producono frutti abbondanti di amore e carità.

A completare la riflessione sulla parola di Dio ricordiamo quello che Paolo ha scritto ai cristiani di Corinto, in questo brano della sua prima lettera, inviata a questa comunità da lui fondata e che portava nel cuore, da vero padre ed apostolo e missionario della risurrezione e della vita di Cristo, in Cristo e per Cristo: “Fratelli, se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è resurrezione dei morti? Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. Perciò anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti”.
L'annuncio fondante della fede in Gesù Cristo è quello della sua morte, risurrezione ed ascensione al cielo. Chi non vede Cristo quale unico salvatore e redentore, vuol dire che è senza speranza ed è una persona da commiserare più di tutti gli altri uomini che non hanno conosciuto Cristo e non hanno la fede. Ma la certezza Cristo è risorto dai morti, anche noi risorgeremo con lui per una vita senza fine e senza soffrire o patire. La nostra vera beatitudine sta in questa sicurezza e nonostante le difficoltà della vita presente e terrena il pensiero del cielo e dell'eternità beata ci rasserena, ci consola, ci sostiene e ci sprona verso mete di santità più elevata che riflettono il discorso di Gesù fatto della pianura o in montagna davanti ad una folla in cerca di vera felicità.

 

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