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TESTO Credere e sperare: ovvero, amare.

don Alberto Brignoli   Amici di Pongo

IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (30/01/2022)

Vangelo: Lc 4,21-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 4,21-30

In quel tempo, Gesù 21cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

22Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». 23Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». 24Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. 25Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; 26ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. 27C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».

28All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. 29Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. 30Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Luca mi perdonerà, se già alla seconda occasione che ci viene data di ascoltare un brano del suo Vangelo lo accantono e faccio l'occhiolino a Paolo, tra l'altro suo grande amico, suo collaboratore e compagno di missione; ma non riesco a non guardare e a non commentare il testo forse più bello, senza dubbio il più conosciuto e il più emozionante, dei molti stesi dall'Apostolo delle Genti, che la Liturgia della Parola di oggi ci propone come seconda lettura. Perché noi potremmo avanzare tutte le teorie che vogliamo, riguardo alla fede; potremmo pensare e organizzare i migliori programmi pastorali; potremmo celebrare le più calorose e devote Eucaristie; potremmo inventarci la più esaltante delle animazioni per qualunque fascia d'età: ma se Paolo non avesse scritto questo testo, parleremmo e agiremmo a vanvera.

Paolo scrive questo testo (conosciuto come “Inno alla Carità” o “Inno dell'Amore”) ai cristiani della città di Corinto, tra le comunità cristiane da lui fondate, certamente una delle più vivaci. Ma - proprio per questo - anche più “orgogliose”, per il fatto di essere “buoni - bravi - belli”. Culturalmente preparati, grandi conoscitori del cristianesimo, capaci di leggere i segni dei tempi, gente dalla fede incrollabile, generosi e disponibili fino alla follia... insomma, i cristiani ideali! Oggi diremmo: ciò che di meglio un parroco può aspettarsi dai suoi parrocchiani. Ma a quanto pare, mancava loro qualcosa di fondamentale: non si amavano. Erano solo degli arrivisti. E forse, di conseguenza, poco credenti. Perché la fede che manca di speranza, e che non ha amore, non è vera fede.

Che cosa avrebbero dovuto fare, i Corinzi, per amarsi? Cosa dobbiamo fare noi, oggi, per amarci e quindi per dirci cristiani? La carità, l'amore - secondo Paolo - deve avere alcune caratteristiche:

l'Amore è magnanimo e paziente: non fa calcoli di tempo, non dà ultimatum, non arriva mai a dire “Ti do ancora un'ultima possibilità”;

l'Amore è benevolo: vuole sempre il bene, pensa sempre bene, non è malizioso, non dice mai all'altro “Chissà se mi ami veramente”;

l'Amore non è invidioso: se l'altro è felice, è felice. Se l'altro soffre, anch'egli soffre. Non ragiona secondo la logica del “ti sta bene, adesso arrangiati! Te l'avevo detto, io...”

l'Amore non si vanta: quello che fa per l'altro, lo fa in silenzio. E in maniera gratuita, senza mai rinfacciarlo, senza mai dire “Con tutto quello che ho fatto per te finora!”;

l'Amore non si gonfia di orgoglio: chi ama, di fronte all'altro non è né più né meno di quello che è, perché chi ama veramente - almeno lui - non usa maschere, e non dice “sapessi io fino a che punto posso arrivare per te!”;

l'Amore non manca di rispetto: rispetta tempi, spazi, momenti, modi di fare e di pensare dell'altro, e non usa frasi del tipo “Tu adesso mi stai a sentire e fai quello che dico io!”;

l'Amore non cerca il proprio interesse: che tristezza, fare un gesto affettuoso verso l'altro sperando di ottenere qualcosa in cambio...;

l'Amore non si adira: perché la calma è la virtù dei forti, anche in amore. Che bello, poter sempre dire all'altro: “No, non sono arrabbiato”;

l'Amore non tiene conto del male ricevuto: anche se un giorno le cose con qualcuno andassero male, non vendichiamoci. Non aspettiamo il momento giusto per fargliela pagare... ci penserà la vita a farlo;

l'Amore non gode dell'ingiustizia: se amo una persona, qualsiasi forma di torto che essa subisca non può lasciarmi indifferente. Devo poter gridare al mondo: “Giù le mani dal mio amore!”;

l'Amore si rallegra della verità: perché il dialogo sincero è alla base di tutto. Quando si comincia a mentire alla persona amata, è l'inizio della fine;

l'Amore tutto scusa: lo sanno bene le mamme che giustificano ai papà gli sbagli fatti dai figli, per poi riprenderli al momento opportuno;

l'Amore tutto crede: questione di fiducia. Amare è credere nell'altro, costi quel che costi, sempre. Se anche solo penso “Non riesco più a fidarmi di te”, è meglio che ti lasci andare;

l'Amore tutto spera: la speranza è l'altra facciata dell'Amore, perché è l'ultima a morire. Morta la speranza, è morto anche l'Amore. Come quando diciamo: “Da te, oramai, non posso più aspettarmi nulla di buono”;

l'Amore tutto sopporta: “sub-porta”, “sostiene da sotto”, “porta sopra di sé”, come fa un pilastro. Come fece una delle più grandi forme d'Amore della storia, un venerdì pomeriggio, salendo al Calvario sotto il peso della croce.

“L'amore non avrà mai fine”: da questa vita, nella tomba con noi, non porteremo nulla, se non il bene che abbiamo voluto e l'amore che abbiamo ricevuto. E che continua, come quei baci dati ogni mattina alla foto della persona amata, sul comodino, al risveglio di un nuovo giorno.

E non pensiamo che si nasce “imparati” ad amare. Ora è tutto imperfetto, ora vediamo in modo confuso, come in uno specchio. Ora, e per tutta la vita, siamo come i bambini, in crescita continua, in cammino. E non smetteremo mai di camminare, di imparare ad amare. Finché non passeremo dal “Ti amo perché ho bisogno di te” a “Ho bisogno di te, perché ti amo", dobbiamo continuare a camminare.

Certo, ci vuole fiducia, ci vuole fede, perché la fede per un cristiano è il fondamento della propria vita. E la speranza è quello stimolo che ci fa dire che non è mai finita. Ma senza l'Amore, non c'è fede né speranza che tenga! Perché - ce lo ricorda il Cantico dei Cantici, il più grande poema sull'Amore - “forte come la morte è l'amore... Le grandi acque non possono spegnere l'amore né i fiumi travolgerlo... Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell'amore, non ne avrebbe che dispregio”.

“L'amore è eterno”, diciamo spesso con frasi da cioccolatino, romantiche e anche un po' scontate: ma nella realtà, è davvero così. Se un amore finisce, forse è perché non è mai iniziato; e se non inizia, è perché, forse, non è amore; ma se inizia, dura per sempre. Perché è più grande di tutto. È onnipotente. È come Dio. E che Dio fosse amore, già lo sapevamo. Ma che l'Amore vero fosse Dio, e solo Dio, questo ce l'ha detto suo Figlio Gesù.

Solo Dio è l'amore; ma per sua grazia, anche a noi, qui sulla terra, è concesso di viverlo, sperando e credendo in lui.

 

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