PERFEZIONA LA RICERCA

FestiviFeriali

Parole Nuove - Commenti al Vangelo e alla LiturgiaCommenti al Vangelo
AUTORI E ISCRIZIONE - RICERCA

Torna alla pagina precedente

Icona .doc

TESTO La sorprendente predicazione del Figlio del falegname

padre Antonio Rungi

IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (30/01/2022)

Vangelo: Lc 4,21-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 4,21-30

In quel tempo, Gesù 21cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

22Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». 23Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». 24Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. 25Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; 26ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. 27C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».

28All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. 29Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. 30Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

La parola di questa quarta domenica del tempo ordinario ritorna sul tema della predicazione. Il Vangelo, infatti, è la prosecuzione di quello di domenica scorsa, che si concludeva con la ben nota espressione detta da Gesù nella sinagoga di Nazareth dove era stato cresciuto e conosciuto, non come Messia, ma come il figlio del falegname, cioè di San Giuseppe: “Oggi questa parola di Isaia si è adempiuta nella mia persona”. Gesù è chiamato con un titolo abbastanza indicativo, ma per gli illusi sapienti, saggi e santi del suo tempo, era semplicemente un modo di denigrare la predicazione. Era la predicazione di un giovane maestro che pure affascinava e attraeva a se folle sempre più numerose e felici di ascoltare la sua parola e ricevere i suoi insegnamenti.
Il vangelo di oggi riparte proprio da lì, in quel luogo dove Gesù era per abitudine e prassi sosta al sabato, quanto non era in viaggio per i villaggi della Palestina. Gesù, dopo aver letto il rotolo del profeta Isaia e ritornato al suo posto, vista la grande attenzione dei presenti sulla sua persona, si alza in piedi da dove si trovava e e pronuncia il suo discorso. San Luca nel riportare quanto è avvenuto in luogo sacro per gli ebrei di Nazareth, sottolinea che “Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?».
Gesù in quel preciso contesto biblico prende la parola ed assume il ruolo del Maestro che insegna e predica: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso”. Mi direte perché non fai le stesse cose qui nella tua città, come quelle fatte a Cafàrnao?
A questo auto interrogativo Gesù risponde senza mezze misure ai suoi compaesani: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria”.
Gesù sa che è rifiutato, non è stimato, è messo in discussione per il fatto che è il Figlio del falegname. Perciò replica a questo loro scetticismo sulla sua vera natura ed identità rifacendosi ai testi sacri dell'Antico Testamento, dove si parla di altri storici ed importanti rifiuti di profeti.
“Anzi, in verità io vi dico: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
Gesù conferma così che le esperienze di rifiuto le hanno vissuto anche i profeti, prima di lui, e su tutti cita due grandi nomi Elia ed Eliseo, ben conosciuti dai frequentatori della sinagoga.
Di fronte a questa giusta e storica osservazione fatta da Gesù, i suoi compaesani all'udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù.
Gesù viene cacciato fuori con violenza dalla sua casa spirituale e biblica e addirittura già hanno intenzione di ucciderlo, gettandolo come una pietra giù dal burrone. Ma egli non si impressionò, né reagì con forza e vemenza, ma con dignità e autorevolezza lasciò la sinagoga e passando in mezzo a loro, si mise in cammino per altri lidi.

Al di là del racconto così come descritto da Luca, ci sono alcuni importanti elementi da considerare in questo brano del Vangelo.
Il primo fra tutti è quello di Gesù Maestro; il secondo è quello della coscienza di Gesù di non essere gradito per il suo modo di dire e fare, come Messia; il terzo è la sua consapevolezza che proprio a partire dalla sua gente si doveva trasmettere una visione nuova della parola di Dio, in modo da cambiare i comportamenti per essere in linea con la vera ed autentica figura dell'atteso salvatore da parte di Israele.
Ma dalla reazione dei suoi concittadini al suo discorso comprendiamo come era distorta in loro l'immagine di colui che doveva liberare Israele dai lacci della dipendenza e dalla sottomissione ai poteri stranieri.
Gesù viene a portare l'annuncio della vera libertà dei figli di Dio che in Lui, Figlio Unigenito del Padre, quella che riavranno nella misura in cui si faranno toccare dalla sua parola che è vita e risurrezione.
Comprendere questo anche noi cristiani del XXI secolo è indispensabile per non rincorrere false liberazioni e libertà che non potranno mai liberare il cuore e la vita dell'essere umano se non ascolta il Dio che parla a noi attraverso l'autorevole voce del suo amatissimo Figlio. Nella sinagoga di Nazareth ha iniziato dalla sua patria e ha capito quanto è difficile farsi accettare per quello che si è, santi o peccatori, proprio da chi ci sta intorno. Chiaro messaggio a non discriminare, a non selezionare, a non escludere, ma ad accettare ed includere qualsiasi persona, soprattutto se ha un cuore ed esprime amore, tenerezza e perdono.

Alla luce di questo brano del Vangelo di Luca si comprendono e si spiegano gli altri testi della liturgia della parola di Dio di questa domenica, a partire dalla prima lettura, tratta dal profeta Geremia, nella quale è ripercorsa la storia non solo della profeta stessa, ma anticipata quella di Cristo: «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni». Esattamente quello che Gesù è venuto a compiere con la sua missione sulla terra. Egli è il servo per amore, la parola del coraggio che non indietreggia di fronte alle minacce, alla sofferenza e alla stessa morte e gli faranno guerra, ma non lo vinceranno o lo abbatteranno, perché Dio è con Lui». Solo l'amore trionferà e questo amore lo incarna Cristo, lo annuncia Cristo e lo testimonia lui, con la sua morte e risurrezione ed invita i suoi discepoli a fare lo stesso percorso di vero amore tra di loro. Nel celebre inno alla carità di San Paolo Apostolo riportato dalla prima lettera ai Corinzi comprendiamo la chiave di lettura di tutto il messaggio evangelico che Gesù ha comunicato ai suoi compaesani a Nazareth e loro non l'hanno accolto, e comunicato a noi, attraverso la parola di Dio, e che siamo invitati ad accogliere per non seguire la scia dei concittadini di Gesù che lo cacciarono via dalla sinagoga e lo volevano buttare giù. Dio lo si allontana da noi con la mancanza della carità e dell'amore, con non esercitare e vivere i precetti fondamentali della religione cristiana: amare Dio e i fratelli. La carità è la via più sublime per raggiungere Dio e modellare la propria vita su Cristo. Possiamo avere di tutti e di più, ma se ci manca l'amore e la carità siamo come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita; senza la carità siamo un nulla e non serviamo a niente. Invece se possediamo la virtù fondamentale della carità e dell'amore noi siamo magnanimi, benevoli, non siamo invidiosi, orgogliosi, vanitosi; al contrario siamo rispettosi, distaccati dai nostri interessi personali per perseguire quelli del prossimo, sia sereni e non ci adiamo facilmente; sappiamo perdonare perché dimentichiamo il male subito e ricevuto ingiustamente dagli altri; lottiamo per la giustizia e la verità e di fonte agli errori degli altri tutto scusa, tutto accetta, tutto spera che migliori e tutto sopporta per amore. L'amore è quindi eterno, perché la fonte di esso è Dio stesso che è amore e relazione di amore all'interno, nel mistero della Trinità e all'esterno con la creazione e la redenzione del genere umano. Per cui, a ben ragione, San Paolo concludendo il suo discorso sulla carità scrive: “La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà”. E alla fine di tutto quello che possiamo fare, pensare, immaginare, progettare e sperare rimangono solo tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità! Discorso facile da capire, ma difficile da vivere.

 

Ricerca avanzata  (54001 commenti presenti)
Omelie Rituali per: Battesimi - Matrimoni - Esequie
brano evangelico
(es.: Mt 25,31 - 46):
festa liturgica:
autore:
ordina per:
parole: