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TESTO Pane spezzato e sale la benedizione...

don Angelo Casati  

3a domenica dopo Epifania (anno C) (23/01/2022)

Vangelo: Mt 15,32-38 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 15,32-38

32Allora Gesù chiamò a sé i suoi discepoli e disse: «Sento compassione per la folla. Ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non vengano meno lungo il cammino». 33E i discepoli gli dissero: «Come possiamo trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?». 34Gesù domandò loro: «Quanti pani avete?». Dissero: «Sette, e pochi pesciolini». 35Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, 36prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò e li dava ai discepoli, e i discepoli alla folla. 37Tutti mangiarono a sazietà. Portarono via i pezzi avanzati: sette sporte piene. 38Quelli che avevano mangiato erano quattromila uomini, senza contare le donne e i bambini.

Oggi nel libro dei Numeri, con accenti di poesia, veniva evocato il paese in cui gli israeliti, di lì a poco, sarebbero entrati, un paese da sogno, quasi a fugare dubbi e perplessità. Dubbi e perplessità che prendono anche il nostro cuore ogni volta che ci si affacciano traversate verso l'ignoto. Anche oggi. Come se ci fosse bisogno di parole che spingano. Tali erano state le parole dei dodici, mandati in avanscoperta ad esplorare il territorio. A Mosè e al popolo convocato riferiscono: "Siamo andati nella terra alla quale tu ci avevi mandato; vi scorrono davvero latte e miele e questi sono i suoi frutti". Che vi scorressero fiumi di latte e di miele, la diremmo una iperbole.

A conferma però i frutti. E' scritto che, nell'ispezione del paese, arrivati in una valle "tagliarono un tralcio con un grappolo d'uva, che portarono in due con una stanga, e presero anche melagrane e fichi. Quel luogo fu chiamato valle di Escol a causa del grappolo d'uva che gli Israeliti vi avevano tagliato". Mi sembra bellissimo: diedero un nome alla valle, "escol", a futura memoria. Quel luogo doveva ricordare nei tempi, a riparo da smemoratezze, il grappolo d'uva, la presenza di un Dio dei cammini. Luoghi e nomi che destino memorie. Ebbene, con uno sconfinamento d'azzardo, il mio pensiero va a un luogo che accende ardore di memorie: il libro che qui ogni domenica apriamo. Oggi celebriamo la domenica della Parola di Dio. Accendiamo luce sulla Parola di Dio.

Ci viene spontaneo pensare quante e quali smemoratezze patiremmo, se non avessimo, tra gli altri, questo luogo, la Parola di Dio, roveto che arde e non si consuma, come il roveto avvistato da Mosè nel deserto. A salvezza da mortali smemoratezze. E trovo aggancio nel vangelo, perché gli esegeti ci fanno notare che Matteo ripete al capitolo quindici del suo vangelo, quasi alla lettera, un racconto che già aveva evocato nel capitolo precedente. E' una suggestione, quasi lo prendesse timore della smemoratezza della sua comunità: troppo importante il segno, andava richiamato. Era un segno che raccontava luminosamente l'identità di Gesù e, di conseguenza, quella dei suoi discepoli. Dunque, a salvezza da smemoratezze, la Parola di Dio. Lasciatemi anche dire che ad inquinare o a velare il significato profondo del nostro racconto ci si è messo, almeno in parte, anche il titolo, dato a questo episodio del vangelo, e cioè la moltiplicazione dei pani. Quando non si parla affatto di pani che si moltiplicano.

Il testo letteralmente dice: "Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, prese i sette pani e i pesci, e fatta la benedizione, li spezzò e li distribuiva ai discepoli e i discepoli alla folla". Non la moltiplicazione, ma la benedizione e la distribuzione. Prima di parlarne, vorrei sfiorare un verbo, che sta all'inizio di tutto, quasi ne fosse la sorgente, limpida, nativa, un verbo che parla di viscere, di viscere di tenerezza. Tutto parte da lì, da uno sguardo. E tu sai che cosa accade quando, a uno sguardo, ti senti preso dentro. Ebbene dopo ore ed ore di guarigioni, sul monte si è fatto tardi, Gesù volge lo sguardo, come se con gli occhi li passasse, uno ad uno. Vede segni di stanchezze. "Sento compassione" dice.

O meglio: "Mi prende tenerezza fin nelle viscere. Ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non vengano meno lungo il cammino". Voi mi capite tutto comincia da uno sguardo: "spezzi il pane" ha scritto un amico "se prima spezzi lo sguardo". E aggiungo: "e se poi ti lasci prendere alle viscere". In prima battuta i discepoli sembrano guardare i numeri, fanno i conti. Ma che cosa dovrebbe stare in primo piano? L'economia dei numeri o la stanchezza dei volti? Se in primo piano sono i volti, stanchi, allora ti prende voglia di inventare, di tentare di inventare anche una nuova economia.

E' storia anche dei nostri giorni: tutti, immagino, abbiamo trasalito a numeri di ricchezze e, poi, di povertà. A volte nascoste, o sottaciute dai mezzi di comunicazione o nel nostro discorrere quotidiano. Nelle nostre strategie. Lo sguardo. A chi lo sguardo? Mi ritorna spesso alla mente quanto scrisse, anni fa, Thimothy Radclif - per anni generale dell'ordine dei domenicani - sulle nostre società che rendono visibili certe persone e ne fanno scomparire altre. "Rendiamo invisibili" diceva "i poveri. Essi non compaiono nelle liste elettorali. Non hanno volto né voce". E offriva un esempio, a mio avviso, inquietante.

Scriveva: "Quando il papa - e si trattava di papa Giovanni Paolo II - andò a visitare la Repubblica Dominicana, il governo fece costruire un muro lungo il tragitto dall'aeroporto al centro città per impedirgli di vedere le baracche dove vivevano i poveri. La gente adesso lo chiama il muro della vergogna". "E noi" si chiedeva "abbiamo il coraggio di guardare i nostri poveri e di lasciarci commuovere da loro? Quali muri della vergogna costruiamo nella nostra società per nascondere i poveri?". Poi, dallo sguardo alla distribuzione: chiamati a distribuire. Pensate, quante cose cambierebbero se, nella vita, ci sentissimo, più che proprietari, distributori. È vero, poi c'è da scoprire come e quando e quanto. Ma distributori.

Mi ha colpito nei testi di oggi una assonanza tra spezzare il pane e benedire. Gesù prima di spezzare il pane fa una benedizione. Quasi a riconoscere che il pane è di Dio e Dio si sente benedetto quando lo vede spezzato a tutti. Spezzare il pane, distribuire, diventa una liturgia. Non è una esagerazione, è quello che insegna Paolo ai Corinzi. Sta promuovendo una colletta per la chiesa povera di Gerusalemme e invita a largheggiare secondo le possibilità e a farlo con gioia. E dà un nome - pensate - alla colletta, la chiama "servizio liturgico", letteralmente "il servizio di questa liturgia", la liturgia del soccorrere. Che ha come effetto quello di suscitare benedizioni per Dio, atto di culto.

Mi sono fermato, ho pensato a quanti atti di culto fuori dalla Divina Liturgia, se si volge lo sguardo, se ci si lascia prendere da tenerezza, se si distribuisce con gioia. Sale la benedizione a Dio. E tu diventi benedizione. In ogni angolo della terra.

 

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