TESTO L'inizio dei segni
don Alberto Brignoli Amici di Pongo
II Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (16/01/2022)
Vangelo: Gv 2,1-11
In quel tempo, 1vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. 2Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. 3Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». 4E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». 5Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
6Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. 7E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. 8Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. 9Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo 10e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
11Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
“In quel tempo”: da sempre siamo abituati a leggere con questa introduzione il brano di Vangelo che la Liturgia ci propone. Una specie di “c'era una volta” con il quale solitamente introduciamo le favole narrate ai bambini: quelle, però, finiscono con “e vissero tutti felici e contenti”: il Vangelo, invece, non sempre termina con una felicità generale o con una dichiarazione di lunga vita. Termina con un impegno: quello di comprendere chi è per noi Gesù e che cosa vuole da noi. E per questo, non esiste un tempo determinato: “quel” tempo è il tempo di sempre, il tempo in cui ogni uomo e ogni donna sono chiamati a vivere, a conoscere e a credere in Gesù.
Quando, però, abbiamo a che fare con il Vangelo di Giovanni, sarebbe più corretto non iniziare in maniera generica la lettura di un suo brano solamente con l'indicazione “in quel tempo”, soprattutto quando il testo originale inizia con una precisa indicazione temporale. Il secondo capitolo del suo Vangelo, infatti, inizia così: “Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea”. Chiaramente, nei due giorni precedenti Giovanni deve aver narrato qualcos'altro: leggendo il capitolo precedente, si parla di due giorni nei quali Gesù incontra e chiama i suoi primi discepoli, già seguaci di Giovanni il Battista, ovvero lo stesso evangelista Giovanni, Andrea, Simon Pietro, Filippo e Bartolomeo. Tutti quanti della Galilea, la maggior parte di essi pescatori. Di loro e della loro chiamata ci dirà di più, nelle prossime domeniche, l'evangelista Luca, al quale spetta accompagnarci in questo anno liturgico, e che oggi mettiamo un po' in “stand-by” perché Giovanni, con il famoso brano delle nozze di Cana e dell'acqua mutata in vino, ha qualcosa di importante da insegnarci proprio in ordine al cammino che i discepoli - e noi con loro - sono chiamati a fare dietro a Gesù.
Un cammino che inizia con una festa di nozze: una festa che terminò con un segno compiuto da Gesù per mezzo del quale “i suoi discepoli credettero in lui”; una festa che avvenne, appunto, “il terzo giorno”. Non è un giorno a caso, e Giovanni (che non usa mai i numeri senza tenere conto di una simbologia particolare) lo sa bene. Nella narrazione di Dio che si rivela al popolo d'Israele sul monte Sinai (lo troviamo al capitolo 19 di Esodo), “nel terzo giorno” dopo l'arrivo ai piedi del monte, Dio scende sul Sinai attraverso lampi e tuoni, ovvero attraverso una manifestazione della sua gloria, alla quale seguirà il dono delle Tavole dell'Alleanza. E anche nella Liturgia, come facciamo ogni domenica dopo l'omelia recitando il Credo, ricordiamo “il terzo giorno” come quello in cui Gesù “è risuscitato, secondo le Scritture”. Ciò significa che questo “terzo giorno”, a Cana, durante un banchetto di nozze, quello che avviene è una rivelazione importante, qualcosa che manifesta Gesù come il protagonista della Nuova Alleanza tra Dio e il suo popolo, qualcosa che è l'anticipo del giorno di Pasqua, nel quale Gesù, con la sua resurrezione, farà nuove tutte le cose. Qui, di nuovo, c'è l'acqua trasformata in vino, e non un vino qualsiasi, ma un vino buono, di ottima qualità, perché quando Dio in Gesù fa nuove tutte le cose, le fa bene, non tanto per farle. E lo fa attraverso un percorso e con modalità che a noi possono apparire quantomeno strane, poco usuali, a tratti anche sgarbate.
Come nei confronti della Madre, la vera protagonista di queste nozze insieme agli sposi: Gesù e i suoi discepoli vengono invitati “anche” loro, ma perché c'è lei, forse madrina di quel momento di gioia. Un momento di gioia che si trasforma in tristezza a causa di una leggerezza, di una disattenzione che si paga cara (dai... come si fa a rimanere senza vino a un banchetto di nozze? Siamo proprio un'umanità incapace, che senza l'aiuto di Dio non è proprio capace di fare nulla...). Queste situazioni, però, a una Madre non sfuggono. Anzi, a una “Donna”, non sfuggono: perché qui è la Donna a essere esaltata per la sua capacità di farsi carico delle tristezze dell'umanità e dare a esse una svolta positiva. Gesù, infatti, non la chiama “Madre”, ma per ciò che è profondamente, “Donna”: e nel vangelo di Giovanni, Gesù chiamerà “Donna” altri due personaggi femminili che non rispondono certo ai nostri “cliché” di donne ideali, ovvero la pluridivorziata samaritana e l'adultera condannata alla lapidazione, che qualcuno può anche sbizzarrirsi a identificare con la Maddalena, dato che dopo la risurrezione anch'essa viene chiamata “Donna” prima di essere chiamata per nome da Gesù... non sono certo le storie personali, e neppure i propri limiti umani a impedire a Gesù di chiamare “Donna” ogni donna, e di equipararla alla Madre, perché ciò che conta di una vera Donna è il cuore, un cuore capace di amare e attento alle necessità.
Sarà proprio uno straordinario intuito femminile a stravolgere la rispostaccia di Gesù a sua Madre in un'indicazione di salvezza ai servitori del Vangelo: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. Qualsiasi. Anche la più strampalata. Anche quella di riempire di acqua (l'esatto opposto del vino di cui si ha bisogno) le sei anfore di pietra che servivano per la purificazione rituale dei Giudei. Non anfore qualsiasi: anfore per la purificazione rituale, ovvero anfore soggette all'uso rituale e legale prescritto dall'Antica Alleanza, sempre bisognosa di purificarsi finché troverà l'acqua vera che dona vita, quella della Nuova Alleanza sigillata dal Battesimo; una purificazione rituale che non dona salvezza, che è incapace di portare a compimento la salvezza, perché se fosse totale e perfetta, le anfore non sarebbero solo sei (numero dell'imperfezione), bensì sette, il numero della totalità; una Legge, quella dell'Antica Alleanza, che pesa come un macigno sulla vita del popolo d'Israele, proprio come pesano sei anfore di pietra piene fino all'orlo di una quantità di acqua spaventosa (alla fine, calcolatrice alla mano, parliamo di 700 litri di acqua...).
Ma come si fa a pensare che da lì può uscire un vino nuovo, e di qualità eccellente? Non importa: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. Abbiate fiducia, dice la Madre: egli sa quello che fa! Lo sa lui, e lo sanno i servi che hanno attinto l'acqua! Queste cose non le sa “colui che dirige il banchetto”! Nella logica del Vangelo, chi “dirige”, chi “comanda”, resta all'oscuro di tutto, perché “Dio nasconde queste cose ai grandi e ai sapienti e le fa conoscere ai piccoli”. È così che Dio si rivela in Gesù come Signore della storia e dell'umanità: ai piccoli e ai servi.
E questo, avvenuto il terzo giorno, fu solo l'inizio dei segni compiuti da Gesù. Come a dire: ne vedremo delle belle!