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TESTO La pietra scartata

don Fulvio Bertellini

XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (02/10/2005)

Vangelo: Mt 21,33-43 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 33Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. 34Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. 35Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. 36Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. 37Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. 38Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. 39Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. 40Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». 41Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».

42E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:

La pietra che i costruttori hanno scartato

è diventata la pietra d’angolo;

questo è stato fatto dal Signore

ed è una meraviglia ai nostri occhi?

43Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti.

Al posto del padrone

Spesso nelle parabole di Gesù si parla di un padrone e dei suoi servi (o schiavi) per esprimere il nostro rapporto con Dio. La cosa non ci risulta molto simpatica, perché come immagine del Regno di Dio viene scelta una realtà economica di sfruttamento e di tendenziale ingiustizia, e noi sappiamo da Gesù stesso che Dio è Padre, non padrone. Eppure a Gesù piace giocare con le parole e con le immagini, usare realtà economiche per esprimere ciò che non ha nulla di economico (anzi, il Regno di Dio, con la gratuità, il perdono, la sovrabbondanza dell'amore di Dio sembra proprio andar contro ogni legge e consuetudine umana...), far capire con realtà piccole e ordinarie ciò che invece è straordinario e fuori dalla misura della nostra mente. Solo chi ascolta con attenzione le parabole sui servi, capirà più profondamente che cosa vuol dire "non vi chiamo più servi, ma amici".

Oggi in particolare ci è chiesto di identificarci con il padrone della vigna, così come era richiesto agli interlocutori di Gesù: "Quando dunque verrà il padrone della vigna, che farà a quei vignaioli?". Nel gioco della parabola, noi abbiamo il ruolo del padrone. Nel gioco della vita, scopriamo che in realtà siamo i vignaioli, e non è detto che siamo quelli buoni, a cui il padrone affiderà la vigna per farla fruttificare. Ma il gioco della parabola serve a farci capire che esiste un ambito della nostra vita di cui noi siamo i padroni, o meglio: siamo responsabili. Nessun altro può assumersi la nostra responsabilità. Gesù ci invita a prenderla sul serio, e a confrontarci con lui da uomini liberi.

Inspiegabile leggerezza?

Ma perché il padrone affida la vigna ad altri? Chi legge la parabola trova un po' strano che dopo tanta cura, tanta meticolosa dedizione (pianta la vigna, costruisce il muro, il frantoio, la torre...) il nostro padrone della parabola se ne vada, lasciando ad altri la coltivazione. Rileggendo attentamente la parabola, notiamo invece che non c'è nessuna frattura, nessuna incoerenza nell'operato di quest'uomo: affidare la vigna ad altri è l'ultimo gesto di cura affettuosa che egli riserva alla sua vigna, affinché sia nelle migliori condizioni di dare frutti. Il Regno di Dio è affidato alle mani degli uomini. Ma non è allo sbaraglio. Deve essere così, se deve essere un regno di libertà, e non il dominio assoluto e tirannico del Signor Padrone. Il dramma del popolo di Israele - che può essere anche il dramma delle nostre parrocchie, delle nostre Diocesi, della nostra Chiesa - è che i suoi capi troppo spesso non erano all'altezza - o meglio: non avevano l'umiltà necessaria per mettersi a disposizione e prendersi cura del gregge di Dio. Al termine della parabola, la soluzione proposta non è che il padrone venga direttamente a coltivare la vigna, ma il trovare altri vignaioli, capaci di restituire il frutto al padrone.

Il momento decisivo

Il punto di svolta della parabola è la stagione della vendemmia, in cui i vignaioli sono chiamati a consegnare i frutti al padrone. Si tratta di riconoscere che la vigna è affidata a loro, ma non appartiene a loro. Il frutto non è per il loro interesse personale, ma ha un'altra destinazione. I vignaioli della parabola si sentono ormai padroni della situazione, e non più responsabili per conto di un altro.

L'elemento veramente sorprendente è l'invio reiterato di servi e messaggeri per farsi consegnare i frutti. Spesso troviamo nelle parabole un punto di rottura, che contraddice le normali abitudini e i normali stili di comportamento, anche se non è privo di una sua coerenza. Ai dipendenti ribelli è offerta ogni possibilità di ritorno, fino all'invio del figlio. Ma proprio l'estremo atto di fiducia e benevolenza, l'ultima possibilità di ritorno, diviene occasione per manifestare la malvagità di cuore: gli operai vogliono prendersi la vigna, impadronirsi della proprietà.

Noi che non siamo cardinali

Noi sappiamo facilmente riconoscere nei capi di Israele al tempo di Gesù coloro che pretendevano di avere diritto di proprietà sul Regno di Dio, e che furono incapaci di riconoscerlo. E facilmente applichiamo la stessa parabola a tutti quei parroci, vescovi e cardinali che fanno i loro interessi e non quelli del popolo di Dio.

Ma a noi che cosa comunica la parabola? Quale invito ci viene da Gesù, a noi che non siamo né parroci, né vescovi, e tantomeno cardinali? La storia della vigna vale anche per ciascuno di noi: quale posto ci siamo ritagliati nella Chiesa? quale interesse di comodo coltiviamo? quali frutti restituiamo a Dio?

Dio non è padrone, ma padre. A ciascuno di noi, per la sua parte, affida la responsabilità della sua Chiesa. Anche solo essere sposati, avere una famiglia, è già una vocazione grande davanti a Dio, ed è già occupare un posto significativo nella comunità cristiana. Il rischio è di tenere tutto per noi. Fare la nostra vita, le nostre scelte, i nostri errori, senza tener conto di Dio. Gesù, che ci vuol bene, ci raggiunge con la sua parola: che farà il Padre con i suoi figli indifferenti? Potrà pazientare ancora a lungo?

 

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