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TESTO Comporre o scartare?

don Angelo Casati  

Ottava del Natale del Signore - Circoncisione del Signore (01/01/2022)

Vangelo: Lc 2,18-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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18Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. 19Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. 20I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.

21Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.

Dal grembo della notte è sgusciato. Forse più silenzioso, il nuovo anno. Sapete che io non mi perdonerei mai, in un giorno come questo di esibire bilanci dell'anno passato o previsioni per il nuovo, non ne ho né le competenze né l'audacia. Sto con voi, con suggestioni, piccole suggestioni. Dopo aver ringraziato. Tutti insieme a ringraziare, perdutamente ringraziare. Siamo qui e l'anno si è già mosso, ha sgomitolato ore. Ne sgomitolerà altre. E, chissà, forse, per me non tutte.

E come saranno le ore dell'anno? Mi ha molto colpito, in questi giorni, la confessione da parte di autorevoli scienziati, all'unisono - loro lo dicevano a a proposito dell'epidemia - la confessione di non sapere, quasi facessero eco al titolo di un libro di una cara amica: "Questo immenso non sapere". Che se ci pensate non appartiene solo ai giorni del Covid, ma alla vita. E si può reagire al "non sapere", all'incertezza, in tanti modi: lamentandoci, lasciandoci prendere da ansie e paure, da ostilità e insofferenza. Oppure, patendo sì in qualche misura il "non sapere", l'incertezza, ma accogliendola come parte del vivere. Giusto perché non ci immobilizzi, non ci paralizzi, non ci tolga fiato.

Accogliere il movimento insospettato della vita. Non sognare la immobilità delle sicurezze. Stare nel divenire dei giorni. Accompagnati. Da Dio. Da persone care. Da una comunità. Oserei dire da un paese. Dal mondo. Anche la famiglia di Nazaret è nello sgomitolare dei giorni. La vediamo otto giorni dopo la nascita del bambino. Voi potete forse pensare che Giuseppe e Maria siano stati immobili per otto giorni. Chissà se poi Giuseppe già aveva rimediato un altro rifugio e altre fasce per il bambino, quel suo darsi da fare. E Maria a cantare storie al bambino che svegliava le notti in sete di latte e poi a racimolare momenti di vita, quel raccontarsi con Giuseppe.

I giorni erano tutt'altro che immobili, erano incerti, nell'insicurezza, si sgomitolavano così, poco a poco. Ma c'era un modo di guardare i giorni e le cose. Vorrei dirvi che il verbo riferito a Maria da Luca è tutt'altro che verbo di immobilità. Abbiamo letto - e aveva visto arrivare pastori, sì solo pastori -: "Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore". "Meditandole" sembra verbo di quiete, ma c'è come un errore in traduzione. L'errore sta nella versione dal greco. Il verbo greco "symballousa" da "symballo", vorrebbe significare "mettere insieme", "comporre".

Dunque non "meditandole nel suo cuore", ma "componendole nel suo cuore", comporre i tasselli. Le appare qualcosa, ma non è tutto. Così avvenne a Maria quella notte Così ancora più tardi nella vita, nella sua, ma anche nella nostra vita. Non l'immobilità dei giorni, ma vivere con occhi sgranati sulle cose: quel bambino era segno che il sacro era nella vita. Ogni cosa sacra. Cambierebbe il mondo se lo guardessimo come abitato dal sacro. Voi mi capite, Maria componeva il mosaico. Lo componeva con tasselli: la mangiatoia, le fasce, gli occhi innamorati di Giuseppe, quelli stupiti di poveri pastori, la lanterna che dava chiarore dall'alto. Il latte che il bambino le chiedeva strillando. Componeva. Non scartava. Metteva insieme. Come fosse tutto un sacramento.

Vi confesso che dicendo "sacramento" mi sfiora un tenero sorriso. Perché? Perché se lo dici di altro che dei sette, sei a rischio di eresia. Il sorriso, vi confesso, mi è venuto ascoltando l'intervista mandata in onda da Mediaset, il 19 dicembre scorso, l'intervista che papa Francesco diede a quattro "invisibili", prima del Natale: Giovanna, una donna vittima di violenze domestiche; Maria, una senzatetto; Pierdonato, un ergastolano in carcere da 25 anni; Maristella, una scout di 18 anni, ragazza devastata, come tanti ragazzi e ragazze purtroppo, dal distanziamento.

Ecco la frase di Papa Francesco. Dice: "Quando tu guardi in faccia un povero, il tuo cuore cambia perché è arrivato al "sacramento del povero", diciamo "sacramentale" perché non dicano: "eresie!" (cioè che sono un eretico), perché lo sguardo di un povero ti cambia". Come pensasse: "meglio dire "sacramentale" per non farli gridare all'eresia. Che poi è di Gesù, che un giorno disse che lui è nell'affamato, nell'assetato, nello straniero e oltre: "Quello che hai fatto loro, l'hai fatto a me". Una presenza, come nel pane dell'eucaristia. Si tratta di vivere mettendo insieme, componendo, con attenzione, l'attenzione tenera che fa dire: "Lì c'è del sacro". Dicevo a me stesso: "E se nell'anno da poco iniziato, ci proponessimo di onorare questo verbo "comporre", "mettere insieme" che è - voi lo intuite - l'opposto di un altro verbo, da cui spesso papa Francesco ci mette in guardia il verbo "scartare", gli scarti dell'umanità?

Comporre o scartare? Scartiamo quando accecati da un io prevaricatore o da una ideologia impazzita, dalla indifferenza, neghiamo valore a persone, a cose, a gesti. E, vorrei annotare, che scartare è cosa di un attimo. Comporre è questione di giorni, di mesi, di anni e non saremo mai alla fine, se non al compimento ultimo. Che ci accende gli occhi. "Mettere insieme", "comporre", il verbo di Maria, verbo che ha sapore di "artigiano". Fu poi il verbo di Gesù. Immagino, penso, che l'abbia imparato in bottega del cielo, ma poi nella falegnameria di Giuseppe. Che metteva insieme legno dopo legno, legno accanto a legno.

E immagino, perdonate, che l'arte di comporre gliela abbia insegnata anche sua madre, con i discorsi che ricucivano eventi, ma poi anche - vorrei dire - con l'arte del rammendo che è l'opposto dello scartare e del buttare. Anche questa un'arte che chiede tempo. Fare un taglio, scartare e buttare è questione di secondi, io ho visto rammendi che sono diventati opera d'arte. Perdonate, mi sono fermato su un dettaglio del racconto di Luca. Mi sembrava che Maria, la ragazza di Nazaret, symballousa, che metteva insieme, fosse un invito alla fiducia, ma non vaga, un invito a comporre anziché rifiutare, a ricucire tagli, a operare luminosi rammendi, nel mio cuore, ma anche in una umanità a volte sfilacciata e forse anche un po' delusa. Un invito ad avere il cuore dell'artigiano che pazientemente assembla, della donna che genialmente rammenda.

E Dio faccia splendere su di noi il suo volto.

 

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